Tommaso Campanella
«A' poeti»
(Scelta di alcune poesie filosofiche di Settimontano Squilla, 2)
In questo sonetto scritto nel 1596 l'autore della "Città del Sole" si scaglia polemicamente contro i poeti del suo tempo, colpevoli ai suoi occhi di scrivere "bugie e sciocchezze" anziché cantare la grandezza di Dio e i misteri della Natura, nel che si vede un attacco contro il petrarchismo del Cinquecento e contro l'aristotelismo imperante. Campanella condanna le favole poetiche solo a condizione che non mascherino la verità e spingano gli uomini a ribellarsi ai vizi, prendendo le distanze dalla lirica colta e aristocratica che caratterizzava la sua epoca (la successiva esposizione in prosa, che egli finge di aver aggiunto alla lirica scritta dal suo "alter ego" Settimonano Squilla, ribadisce in altri termini lo stesso concetto).
► PERCORSO: La Controriforma
► PERCORSO: La Controriforma
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In superbia il valor, la santitate
passò in ipocrisia, le gentilezze in cerimonie, e 'l senno in sottigliezze, l'amor in zelo, e 'n liscio la beltate, mercé vostra, poeti, che cantate finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze, non le virtù, gli arcani e le grandezze di Dio, come facea la prisca etate. Son più stupende di Natura l'opre che 'l finger vostro, e più dolci a cantarsi, onde ogni inganno e verità si scuopre. Quella favola sol dée approvarsi che di menzogne l'istoria non cuopre, e fa le genti contra i vizi armarsi. |
Il valore si è trasformato in superbia, la santità in ipocrisia, la cortesia in cerimonia, il senno in ragionamenti speciosi, l'amore in zelo e la bellezza in belletto,
grazie a voi, poeti, che cantate eroi fasulli, ardori infami, bugie e sciocchezze, non le virtù, i misteri e le grandezze di Dio, come faceva l'età antica. Le opere di Natura sono più belle delle vostre finzioni e più dolci a cantarsi, per cui si scopre ogni inganno e ogni verità. Si deve approvare solo quella favola che non cela la storia con menzogne e induce le persone ad armarsi contro i vizi. |
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Come scrisse l’autore nella sua Poetica [1], i poeti moderni hanno con le bugie perniciose contraffatto la virtù, ed ornato i vizi con la veste di quelle. E grida loro contro, che tornino al prisco poetare. [2] E perché pensano che le favole sono degne di cantarsi per l’ammirazione, dice che più mirabili sono l’opere di Natura. E qui condanna Aristotele, che fece la favola essenziale al poeta [3]: poiché questa si deve fingere solo dove si teme dir il vero per conto de' tiranni, come Natan parlò in favola a David; o a chi non vuol sapere il vero, si propone con gusto di favole burlesche o mirabili; o a chi non può capirlo, si parla con parabole grosse, come Esopo e Socrate usaro, e più il santo Vangelo. Talché l’autore lauda quella favola solo che non falsifica l’istoria, come è quella di Dido in Virgilio bruttissima [4]; ed ammonisce la gente contro i vizi propri o strani [5], e l’accende alla virtù. Laonde [6] questo ultimo verso dicea nel primo esemplare [7]: E fa le genti di virtù infiammarsi.
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[1] L'opera in cui Campanella condannava la lirica marinista.
[2] Alla poesia antica. [3] Nella Poetica. [4] Condanna l'episodio del libro IV dell'Eneide. [5] Di altri. [6] Perciò. [7] Nella prima stesura della poesia. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDC, DCD. La prima quartina è tutta giocata sulle opposizioni antitetiche rette dal verbo "passò", con enjambement tra i vv. 2-3 e chiasmo nel v. 4, così come all'inizio del v. 6. La lingua corrisponde a quella letteraria della proposta di Bembo, coi latinismi "beltate" (v. 4) e "prisca" (v. 8).
- L'autore propone un confronto polemico tra la poesia petrarchista del suo secolo, tutta impegnata a celebrare "finti eroi" e amori "infami", nonché a trasformare il "senno in sottigliezze", e quella dell'età antica, che invece cantava la grandezza di Dio e i misteri della Natura, le cui opere sono "stupende" e infinitamente superiori a ogni finzione poetica moderna. Campanella prende le distanze dalla lirica colta del Cinquecento (che proponeva ancora il modello petrarchesco, anche se esasperato nelle forme del Manierismo) e dall'aristotelismo, nell'ambito del quale gli intellettuali si perdevano in infinite discussioni teoriche senza costrutto, mentre il pensiero filosofico deve sforzarsi di penetrare i segreti del mondo quale espressione della grandezza divina. L'accenno alla "favola" che non deve mascherare la storia ricalca le polemiche letterarie sul poema eroico e ricorda il proemio della Gerusalemme liberata di Tasso, in cui il poeta chiedeva perdono alla Musa per aver aggiunto "fregi al ver" (gli intermezzi idillici e amorosi accanto al racconto della prima Crociata).