Letteratura italiana
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Bernardo Dovizi da Bibbiena


L'inganno di Fessenio
(Calandria, atto II, scena IX)

È una della sequenze più note della commedia, in cui l'astuto servo Fessenio attua un incredibile scherzo ai danni dello sciocco e credulone Calandro: questi si è invaghito di Lidio, l'amante della moglie Fulvia, poiché lo crede una donna (Lidio infatti si traveste per i suoi convegni amorosi e si fa chiamare Santilla come la sorella gemella) e Fessenio, il fedele servo di Lidio, lo induce a credere che asseconderà i suoi desideri di sedurre Santilla. Secondo il piano di Fessenio, Calandro dovrà nascondersi dentro un forziere per eludere la sorveglianza della moglie e raggiungere Santilla per un incontro, ed entrando nella cassa dovrà... morire, per poi abilmente resuscitare. Calandro non solo crede a questo assurdo racconto, ma una volta arrivato a casa di Lidio-Santilla si troverà tra le braccia di una bruttissima meretrice, venendo per di più colto in flagrante dalla moglie Fulvia.

► PERCORSO: Il Rinascimento









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ATTO II, SCENA IX
Fessenio servo, Calandro


FESSENIO  Non potria meglio esser ordinata la cosa. Lidio da donna si veste e in la sua camera terrena Calandro espetta, e da fanciulla galantissima se gli mosterrà. Poi, al far quella novella, chiuse le finestre, una scanfarda [1] a canto se gli metterà: attento che di sí grossa pasta è il gocciolone che l'asino dal rosignuolo non discerneria. [2] Vedilo che ne viene tutto allegro.
Contentiti el ciel, patrone.
CALANDRO  E te, Fessenio mio. È in ordine il forzieri?
FESSENIO  Tutto; e vi starai drento sanza snodarti pure un capello, pur che bene vi ti acconci drento.
CALANDRO  Meglio del mondo! Ma dimmi una cosa ch'io non so.
FESSENIO  Che?
CALANDRO  Arò io a stare nel forziero desto o adormentato?
FESSENIO  Oh, salatissimo quesito! Come, desto o adormentato? Ma non sai tu che in su' cavalli si sta desto, nelle strade si camina, alla tavola si mangia, nelle panche si siede, ne' letti si dorme, e ne' forzieri si muore?
CALANDRO  Come, si muore?!
FESSENIO  Si muore, sí. Perché?
CALANDRO  Cagna! [3] L'è mala cosa.
FESSENIO  Moristi tu mai?
CALANDRO  Non, ch'io sappia.
FESSENIO  Come sai, adonque, che l'è mala cosa, se tu mai non moristi?
CALANDRO  E tu, se' mai morto?
FESSENIO  Ooooh! mille millanta, che tutta notte canta. [4]
CALANDRO  È gran pena?
FESSENIO  Come el dormire.
CALANDRO  Ho a morir, io?
FESSENIO  Sí, andando nel forziero.
CALANDRO  E chi morirà me? [5]
FESSENIO  Ti morirai da te stesso.
CALANDRO  E come si fa a morire?
FESSENIO  El morire è una favola. Poi che nol sai, so' contento a dirti el modo.
CALANDRO  Deh, sí! Di', sú.
FESSENIO  Si chiude gli occhi; si tiene le mani cortese [6]; si torce le braccia; stassi fermo fermo, cheto cheto; non si vede, non si sente cosa che altri si faccia o ti dica.
CALANDRO  Intendo. Ma il fatto sta come si fa poi a rivivere.
FESSENIO  Questo è bene uno de' piú profondi secreti che abbi tutto il mondo: e quasi nessuno il sa. E sia certo che ad altri nol direi già mai; ma a te son contento dirlo. Ma vedi, per tua fé, Calandro mio, che ad altra persona del mondo tu non lo palesi mai.
CALANDRO  Io te giuro che io non lo dirò ad alcuno; e anche, se tu vuoi, non lo dirò a me stesso.
FESSENIO  Ah! ah! A te stesso sono io ben contento che tu 'l dica; ma solo ad uno orecchio, a l'altro non già.
CALANDRO  Or insegnamelo.
FESSENIO  Tu sai, Calandro, che altra differenzia non è dal vivo al morto se none in quanto che il morto non se move mai, e il vivo sí. E però, quando tu faccia come io ti dirò, sempre risusciterai.
CALANDRO  Di', sú.
FESSENIO  Col viso tutto alzato al cielo si sputa in sú; poi con tutta la persona si dà una scossa, cosí; poi s'apre gli occhi, si parla, e si muove i membri: allor la Morte si va con Dio, e l'omo ritorna vivo. E sta' sicuro, Calandro mio, che chi fa questo non è mai, mai morto. Or puoi tu ben dire d'avere cosí bel secreto quanto sia in tutto l'universo, e in Maremma.
CALANDRO  Certo, io l'ho ben caro. E or saprò morire e rivivere a mie posta.
FESSENIO  Madesí, patron buaccio. [7]
CALANDRO  E tutto farò benissimo.
FESSENIO  Credolo.
CALANDRO  Vuo' tu, per veder se io so ben far, ch'i' provi un poco?
FESSENIO  Ah! ah! Non sarà male; ma guarda a farlo bene.
CALANDRO  Tu 'l vedrai. Or guarda. Eccomi.
FESSENIO  Torci la bocca; piú ancora; torci bene; per l'altro verso; piú basso. Oh! oh! Or muori a posta tua. Oh! Bene. Che cosa è a far con savii! [8] Chi aría mai imparato a morir sí bene come ha fatto questo valente omo? El quale more di fuora eccellentemente. Se cosí bene di drento more, non sentirà cosa che io gli faccia; e cognoscerello a questo. Zas! [9] Bene. Zas! Benissimo. Zas! Optime.  Calandro! oh, Calandro! Calandro!
CALANDRO  Io son morto, i' son morto.
FESSENIO  Diventa vivo, diventa vivo. Su! su! ché, alla fé, tu muori galantemente. Sputa in sú.
CALANDRO  Oh! oh! uh! oh! oh! uh! uh! Certo, gran male hai fatto a rinvivermi. [10]
FESSENIO  Perché?
CALANDRO  Cominciavo a vedere l'altro mondo di là.
FESSENIO  Tu lo vedrai bene a tuo agio nel forziero.
CALANDRO  Mi par mill'anni. [11]
FESSENIO  Orsú! Poi che tu sai sí ben morire e risuscitare, non è da perder tempo.
CALANDRO  Or via! su!
FESSENIO  Nooo! Con ordine vuol farsi tutto, a fin che Fulvia non se ne acorga. Con lei fingendo andare in villa, a casa di Menicuccio te ne vieni; ove ne troverrai me con tutte le cose che fanno di mestiero. [12]
CALANDRO  Ben di'. Cosí farò or ora, ché la bestia sta parata. [13]
FESSENIO  Monstra: che l'hai in ordine?
CALANDRO  Ah! ah! Dico che 'l mulo, drento a l'uscio, è sellato.
FESSENIO  Ah! ah! ah! Intendeva quella novella.
CALANDRO  Mi par mille anni esser a cavallo: ma in su quella angioletta di paradiso.
FESSENIO  Angioletta, ah? Va' pur là. Se io non mi inganno, la castroneria si congiungerà oggi con la lordezza. E debbe or montare a cavallo. Voglio avviarmi inanzi e dire a quella vezzosa porca [14] che in ordine sia e me aspetti. Oh! oh! oh! Vedi Calandro già montato. Miraculosa gagliardia di quel muletto che porta cosí sconcio elefantaccio!






[1] Donnaccia, meretrice.

[2]
Attenti, che è così sciocco che non distinguerebbe l'asino dall'usignolo.











[3] Accidenti.




[4] Frase senza senso, mutuata dal Decameron.


[5] E chi mi ucciderà?




[6] Con le mani appoggiate al petto.















[7] Certo che sì, padrone sciocco.





[8] Che bello aver a che fare con persone sagge!
[9] Onomatopea che indica un leggere colpo.


[10] A resuscitarmi.



[11] Non vedo l'ora.




[12] Che sono necessarie.
[13] Allusione sessuale.





[14] Si riferisce alla meretrice da cui Calandro sta per andare.


Interpretazione complessiva

  • La scena è un interessante esempio di "contaminazione" letteraria, poiché l'autore si ispira con evidenza alla commedia latina e soprattutto a Plauto, cui rimanda la figura del "servo astuto" (servus callidus) qui impersonata da Fessenio, con l'inserzione tuttavia di elementi propri della letteratura volgare moderna e in particolare di Boccaccio, poiché il personaggio di Calandro è fin troppo simile al pittore Calandrino protagonista di una serie di novelle del Decameron (► TESTO: Calandrino e l'elitropia). Fessenio attua una complessa burla ai danni dell'ingenuo Calandro, che si è innamorato del suo padrone Lidio (che lui crede una donna poiché il giovane si traveste e si fa chiamare Santilla) e al quale il servo fa credere che lo aiuterà a unirsi alla giovane: Calandro dovrà entrare in una cassa per eludere la sorveglianza della moglie Fulvia e raggiungere la casa di Lidio-Santilla, dove tuttavia l'uomo finirà nelle braccia di una laida meretrice complice di Fessenio. Il colmo dell'ironia sta nel fatto che Calandro crede di "morire" entrando nella cassa e di poter "resuscitare" a suo piacimento, proprio come nelle scene precedenti aveva creduto di poterci entrare fatto a pezzi, e la sua ingenuità ricorda quella di molti protagonisti delle commedie plautine, ad es. Teopropide cui nella Mostellaria il servo Tranione faceva credere che la sua casa era infestata da uno spettro. Alla fine della beffa il povero Calandro non solo troverà la meretrice al posto della ragazza sognata, ma verrà anche sorpreso dalla moglie avvertita dal malvagio Fessenio.
  • Nonostante la vicinanza al teatro plautino, la commedia presenta molti elementi di modernità a cominciare dalla forma in prosa (Ariosto scriverà la Lena e il Negromante in versi), mentre l'ambientazione è moderna ed è collocata nella città di Roma, come anche alcune commedie di Pietro Aretino (la Cortigiana, ad es.); la lingua è poi il volgare toscano del tempo dell'autore, pieno di espressioni gergali e popolari che danno un'impressione di forte realismo alla scena e ricordano la felicità espressive delle commedie di altri autori del secolo, da Machiavelli allo stesso Aretino. Molte le voci proprie del vernacolo, come "scanfarda" (persona sconcia, qui riferito alla prostituta), "moccicone" (sciocco), "Madesí, patron buaccio", ed espressioni proverbiali quali "l'asino dal rosignuolo non discerneria" ed altre. La battuta di Fessenio "mille millanta, che tutta notte canta" è ripresa letterale del Decameron (VIII, 3: "Haccene più di millanta, che tutta notte canta", la risposta di Maso del Saggio a Calandrino; ► VAI AL TESTO), inoltre anche l'espressione popolare "mi par mill'anni" è largamente usata da Boccaccio nelle sue novelle. L'inganno di Fessenio che fa credere a Calandro di poter morire e resuscitare ricorda in parte la novella di Ferondo e l'Abate (Dec., III, 8), in cui l'ingenuo protagonista pensa di essere finito in Purgatorio e di poter poi tornare alla vita, mentre è tutto un imbroglio che consente all'Abate di godersi sua moglie.
  • La beffa erotica al centro di questa scena ricorre spesso nelle commedie del Cinquecento ed è sufficiente citare la Mandragola di Machiavelli, in cui lo sciocco Nicia viene raggirato al solo scopo di consentire a Callimaco di andare a letto con sua moglie Lucrezia (► AUTORE: Niccolò Machiavelli), mentre burle anche più sconce animano le commedie dell'Aretino in cui, tra l'altro, compaiono anche servi astuti e imbroglioni assai simili al Fessenio della Calandria, lontani parenti dei servi callidi del teatro latino. La figura del servo subirà una complessa evoluzione del teatro comico del XVI-XVII sec. e diventerà una delle "maschere" protagoniste della commedia dell'arte, almeno sino alla riforma di Goldoni (in cui tali personaggi tuttavia non mancheranno: cfr. la maschera di Arlecchino, goffo servitore di due padroni).


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