Letteratura italiana
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Guido Cavalcanti


«Perch'i' no spero di tornar giammai»
Rime, 35

È la più celebre ballata di Cavalcanti, scritta durante un periodo di allontanamento da Firenze (è incerto se a Nîmes, colto da una malattia in occasione di un pellegrinaggio a S. Giacomo di Compostella o a Sarzana, durante l'esilio) e con il presentimento angoscioso della morte imminente: il poeta si rivolge direttamente alla lirica e la prega di recarsi in Toscana dalla donna amata, per portarle tristi notizie sul suo conto, facendo bene attenzione a non esporsi alle maldicenze dei suoi nemici. Il "topos" della lontananza dall'amata e del timore della morte sarà in seguito ripreso da Petrarca nel "Canzoniere" e qui si esprime con un certo struggimento accorato, che tuttavia ricorre a un tono dimesso ed elegiaco alquanto diverso dagli altri componimenti dell'autore.

► PERCORSO: La lirica amorosa






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Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.

Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.

Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m’abbandona;
e senti come ’l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.

Deh, ballatetta, a la tu’ amistate
quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».

Tu, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.

Poiché io non spero di tornare più in Toscana, cara ballata, va' tu lieve e affabile, direttamente dalla mia donna, che per la sua cortesia ti accoglierà onorevolmente.



Tu le porterai notizie di sospiri, piene di dolore e di molta paura; ma sta' attenta che non ti veda nessuno che sia nemico della nobiltà: infatti per la mia infelicità tu saresti certo incompresa e tanto criticata che ciò mi causerebbe angoscia; e poi, dopo la mia morte, [mi causerebbe] pianto e nuovo dolore.





Tu, cara ballata, senti che la morte mi stringe a tal punto che la vita mi abbandona; e senti come il cuore batte forte a causa di ciò che esprime ogni mia funzione vitale. La mia persona è già tanto sfatta che io non posso sopportare ulteriormente: se tu vuoi rendermi un servizio, porta con te la mia anima (te ne prego con tutto il cuore) quando uscirà dal mio cuore.



Orsù, cara ballata, raccomando alla tua amicizia quest'anima che trema: portala con te, nella sua angoscia, a quella bella donna alla quale ti mando.
Orsù, cara ballata, dille tra i sospiri quando sarai di fronte a lei: «Questa vostra serva viene per stare con voi, dopo aver lasciato colui che fu servo d'Amore».







Tu, voce sbigottita e flebile che esci piangendo dal mio cuore addolorato, parla [alla donna] con la mia anima e con questa cara ballata della mia anima distrutta.
Voi troverete una piacevole donna, di carattere così dolce che sarà per voi una gioia starle sempre accanto. E tu, anima mia, adorala sempre nella sua virtù.



Interpretazione complessiva

  • Metro: ballata formata da quattro stanze di dieci versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima ABABBccddx; ripresa di sei versi corrispondenti alla sirma di ogni stanza, con schema Abbccx (l'ultimo verso di ogni stanza presenta sempre la stessa rima x). Il tono è dimesso e tendente all'elegiaco, conformemente alla scelta del metro (la ballata era una forma metrica meno solenne della canzone e del sonetto); il linguaggio è semplice e lineare, secondo i dettami del trobar leu abbracciato dagli Stilnovisti.
  • Cavalcanti si rivolge idealmente alla ballata (definita ballatetta, "cara ballata", con un diminutivo-vezzeggiativo frequente nei suoi versi) e la invita a recarsi al suo posto in Toscana, per riferire alla donna amata che lui, prossimo alla morte, non farà più ritorno: il tono è accorato ed è probabile che l'occasione fosse una reale malattia dell'autore, anche se non sappiamo quando il testo sia stato composto (forse a Sarzana, durante l'esilio da cui sarebbe rientrato a Firenze per morire nell'agosto del 1300, o forse in precedenza). La ballata dovrà presentarsi alla donna che l'accoglierà bene in quanto creatura nobile e il testo non dovrà farsi leggere dai nemici del poeta, che lo criticherebbero causandogli dolore (un probabile riferimento ai nemici politici di Cavalcanti?); la descrizione dell'anima distrutta del poeta riprende motivi analoghi delle rime amorose, specie i riferimenti agli spiriti vitali (v. 20), alla persona "distrutta" (v. 21), all'anima "che trema" (v. 28), alla "voce sbigottita e deboletta" (v. 37), il tutto aggravato dalla sensazione di morte incombente (► TESTO: Voi che per li occhi mi passaste 'l core). Nell'ultima stanza che funge da congedo la ballata è invitata a unirsi alla voce del poeta e alla sua anima uscita ormai dal corpo, per recarsi dalla donna come un triste "corteo funebre", mentre l'anima dovrà "adorare" la donna in ragione della sua virtù (il termine rimanda al significato religioso che l'amore assume sempre nella poesia di Cavalcanti, forse anche in riferimento alla paura della morte).


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