Dante Alighieri
«Oltre la spera che più larga gira»
(Vita nuova, cap. XLI)
È il capitolo che contiene l'ultima lirica inserita nel "libello", che celebra la gloria di Beatrice in Paradiso e segna la fine dell'infatuazione di Dante per la "donna gentile", peraltro dopo che il poeta ha già avuto una visione che gli mostrava la sua donna come nel primo incontro. Il sonetto viene scritto dall'autore come risposta alla richiesta di due "donne gentili" di inviare loro delle rime ed è il componimento che meglio sintetizza la nuova poesia che celebra Beatrice come creatura sovrumana, al tempo stesso superamento dello Stilnovo più classico e anticipazione della poesia alta e impegnata del "Paradiso".
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
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Poi mandaro due donne gentili a me pregando che io mandasse loro di queste mie parole rimate; [1] onde io, pensando la loro nobilitade, propuosi di mandare loro e di fare una cosa nuova, la quale io mandasse a loro con esse, acciò che più onorevolemente adempiesse li loro prieghi. E dissi allora uno sonetto, lo quale narra del mio stato, e manda’lo a loro co lo precedente sonetto accompagnato, e con un altro che comincia: Venite a intender. [2] Lo sonetto lo quale io feci allora, comincia: Oltre la spera; lo quale ha in sé cinque parti. Ne la prima dico ove va lo mio pensero, nominandolo per lo nome d’alcuno suo effetto. Ne la seconda dico perché va là suso, cioè chi lo fa così andare. Ne la terza dico quello che vide, cioè una donna onorata là suso; e chiamolo allora ’spirito peregrino’, acciò che spiritualmente va là suso, e sì come peregrino lo quale è fuori de la sua patria, vi stae. [3] Ne la quarta dico come elli la vede tale, cioè in tale qualitade, che io non lo posso intendere, cioè a dire che lo mio pensero sale ne la qualitade di costei in grado che lo mio intelletto no lo puote comprendere; con ciò sia cosa che lo nostro intelletto s’abbia a quelle benedette anime sì come l’occhio debole a lo sole: [4] e ciò dice lo Filosofo nel secondo de la Metafisica. [5] Ne la quinta dico che, avvegna che [6] io non possa intendere là ove lo pensero mi trae, cioè a la sua mirabile qualitade, almeno intendo questo, cioè che tutto è lo cotale pensare de la mia donna, però ch’io sento lo suo nome spesso nel mio pensero: e nel fine di questa quinta parte dico ’donne mie care’, a dare ad intendere che sono donne coloro a cui io parlo. La seconda parte comincia quivi: intelligenza nova; la terza quivi: Quand’elli è giunto; la quarta quivi: Vedela tal; la quinta quivi: So io che parla. Potrebbesi più sottilmente ancora dividere, e più sottilmente fare intendere; ma puotesi passare con questa divisa, [7] e però non m’intrametto di più dividerlo.
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[1] Due nobildonne mi mandarono a pregare di mandar loro alcuni miei testi poetici.
[2] Con il sonetto del cap. XL e quello del cap. XXXII. [3] Vi sta. [4] Poiché il nostro intelletto si pone di fronte a quelle anime benedette come l'occhio debole di fronte al sole. [5] Aristotele, nel libro II della Metafisica. [6] Benché. [7] Può essere sufficiente questa spiegazione. |
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Oltre la spera che più larga gira
passa ’l sospiro ch’esce del mio core: intelligenza nova, che l’Amore piangendo mette in lui, pur su lo tira. Quand’elli è giunto là dove disira, vede una donna, che riceve onore, e luce sì, che per lo suo splendore lo peregrino spirito la mira. Vedela tal, che quando ’l mi ridice, io no lo intendo, sì parla sottile al cor dolente, che lo fa parlare. So io che parla di quella gentile, però che spesso ricorda Beatrice, sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care. |
Il pensiero che esce dal mio cuore passa oltre il cielo che ruota più largamente [il Primo Mobile]: una nuova capacità di comprendere, che l'amore mette in lui tra le lacrime, lo tira su.
Quando è arrivato là dove desidera [nell'Empireo], vede una donna che viene onorata e riluce a tal punto che lo spirito pellegrino la ammira per il suo splendore. La vede in tal modo, che quando me lo riferisce io non lo capisco, a tal punto parla in modo complesso al cuore dolente che lo spinge a raccontare. Io so che parla di quella nobildonna dal momento che ricorda spesso Beatrice, cosicché io lo capisco bene, mie care donne. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, DCE (A, B ed E sono in assonanza, come anche C e D). Non sono presenti particolarità linguistiche di rilievo, mentre lo schema della rima è analogo a quello dei sonetti inclusi negli ultimi capp. dell'opera (da XXXVI a XL, quest'ultimo inviato alle due donne insieme a quello incluso nel cap. XLI).
- La prosa che precede il sonetto riferisce della richiesta rivolta a Dante da due nobildonne di inviare loro dei testi poetici, per cui l'autore mette insieme una piccola antologia che comprende i sonetti dei capp. XXXII e XL, più quello che segue composto per l'occasione: quest'ultimo è una solenne celebrazione di Beatrice assisa nello splendore dell'Empireo, attraverso la finzione del pensiero di Dante (definito attraverso il "sospiro", ossia "per lo nome d'alcuno suo effetto") che esce dal suo cuore e attraversa il Primo Mobile arrivando alla sede dei beati, dove vede una donna onorata che risplende a tal punto che Dante non riesce a riconoscerla. La lirica racconta un'esperienza mistica che va molto al di là dello schema classico dello Stilnovo e anticipa decisamente la poesia elevata del Paradiso, specie quando Dante afferma di non comprendere ciò che il suo pensiero gli riferisce in quanto parla "sottile", in modo troppo complesso (è il motivo dell'indicibilità già espresso da Cavalcanti e ripreso da Dante in molte liriche stilnoviste, ma che sarà ulteriormente sviluppato nel Paradiso soprattutto nella descrizione di Beatrice; ► TESTO: Chi è questa che vèn).
- La seconda parte della prosa è la divisione del sonetto, ossia la spiegazione testuale in cui c'è l'interessante riferimento al libro II della Metafisica di Aristotele, probabilmente non conosciuta da Dante in forma diretta ma attraverso la mediazione di Averroè: il poeta spiega che l'intelletto umano non può sostenere la vista delle anime beate del Paradiso per l'evidente sproporzione tra l'altezza della cosa vista e la capacità mentale, proprio come l'occhio non può fissare a lungo il sole (similitudini analoghe si avranno spesso in descrizioni del Purgatorio e soprattutto del Paradiso, riferite allo splendore dei cieli e dei beati della "candida rosa").