Matteo Maria Boiardo
«Tra il Sonno e Amor non è tregua né pace»
(Amorum libri tres, II, 30)
In questo sonetto del secondo libro, in cui si narra della disillusione del poeta per l'infedeltà dell'amata e la sofferenza causata dalla gelosia, Boiardo dichiara di non poter riposare la notte per via delle pene amorose e tutto il componimento si gioca sul confronto antitetico tra sonno e amore, dedito alla quiete e al riposo il primo, incline all'affanno e al movimento il secondo. Anche qui l'imitazione petrarchesca è evidente, anche se l'esito della poesia boiardesca è alquanto più banale e "scolastico" rispetto all'illustre modello.
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Matteo Maria Boiardo
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Matteo Maria Boiardo
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Tra il Sonno e Amor non è tregua né pace,
che quel riposo, e questo vuol fatica; il foco l'uno, e l'altro umor nutrica; quel crida e piagne, e questo eterno tace: l'un sempre vola, e l'altro sempre jace; questo la cura soglie, e quello intrica; a l'un la luce, a l'altro è l'umbra amica; pigrizia a quel diletta, a questo spiace. Quiete universal de li animali, che domi e tigri e rigidi leoni, né pòi domar un amoroso core, come la notte sempre me abandoni, com'éi del petto mio bandito fore, per che io non abbia sosta ne' mie' mali? |
Tra il sonno e l'amore non c'è mai tregua o pace, poiché il sonno vuole il riposo e l'amore vuole la fatica; l'amore vuole il fuoco [della passione], il sonno è favorito dalla frescura; l'amore grida e piange, il sonno tace in eterno:
l'amore vola sempre, il sonno sempre giace; il sonno scioglie ogni affanno, l'amore lo alimenta; all'amore è amica la luce, al sonno l'ombra; la pigrizia piace al sonno, spiace all'amore. O riposo universale delle creature, che domi [fai dormire] le tigri e i crudeli leoni, ma non puoi domare un cuore innamorato, perché la notte mi abbandoni sempre, perché sei messa al bando dal mio cuore, cosicché io trovo mai tregua dalle mie sofferenze? |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, DEC (le terzine hanno una struttura inconsueta rispetto alla tradizione del Due-Trecento). Presenza di elementi lessicali propri del volgare emiliano, come "crida" (v. 4), "abandoni" (v. 12). Vi sono alcuni latinismi, tra cui "jace" (v. 5, giace), "soglie" (v. 6, da solvit), "umbra" (v. 7). Le due quartine sono costruite su una serie di opposizioni in antitesi dal paragone tra sonno e amore, mentre le terzine contengono un unico periodo in cui l'autore si rivolge in modo enfatico alla "quiete" e l'accusa di abbandonarlo di notte, non permettendogli di dormire a causa delle pene d'amore.
- Il sonno e l'amore sono messi in antitesi in quanto il primo cerca il riposo, è favorito dalla frescura ("umore"), tace, resta fermo, risolve gli affanni, è amico dell'ombra e della pigrizia, invece l'amore ovviamente è incline alla fatica, cerca il fuoco della passione, grida, vola, imbroglia le cose e ama la luce e non la pigrizia (il poeta intende dire che le sue notti sono travagliate a causa delle sofferenze amorose e non può riposare). La lirica ricorda volutamente alcuni testi del Canzoniere petrarchesco, specie il sonetto Pace non trovo, et non ò da far guerra (134) anch'esso tutto costruito su una serie di antitesi, con il poeta che alternava una serie di sentimenti opposti a causa del suo amore infelice per Laura, ma anche il sonetto O cameretta, che già fosti un porto (234) in cui in modo analogo Petrarca diceva di rifuggire la quiete della sua stanza in quanto la solitudine gli rinnovava la pena per l'amore non corrisposto (► VAI AL TESTO). La "quiete universal" invocata da Boiardo fa riposare tigri e leoni, mentre non riesce a domare un cuore innamorato, immagine questa che rimanda indirettamente ancora a Petrarca (Laura era spesso paragonata a una "fiera" per la sua crudeltà e la metafora della "tigre" per indicare la donna amata diventerà consueta nella lirica petrarchista del Cinquecento).