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Matteo Maria Boiardo


«Amor, che me scaldava al suo bel sole»
(Amorum libri tres, I, 1)

È il sonetto proemiale dell'opera, in cui l'autore rievoca a distanza di anni l'amore giovanile per Antonia Caprara e lo rimpiange come "puerile errore", avendo sperimentato a suo danno l'infedeltà della donna ed essendo prostrato dalla sofferenza patita. L'amore viene comunque elogiato in quanto unica ragione di vita per chi è giovane, anche se nel caso del poeta il sentimento non è stato corrisposto da chi ne era oggetto. Fin troppo evidenti le analogie con il sonetto iniziale del "Canzoniere" petrarchesco, modello dichiarato dell'opera di Boiardo.

► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Matteo Maria Boiardo





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Amor, che me scaldava al suo bel sole
nel dolce tempo de mia età fiorita,

a ripensar ancor oggi me invita
quel che alora mi piacque, ora mi dole.

Così racolto ho ciò che il pensier fole
meco parlava a l'amorosa vita,
quando con voce or leta or sbigotita

formava sospirando le parole.

Ora de amara fede e dolci inganni
l'alma mia consumata, non che lassa,
fuge sdegnosa il puerile errore.

Ma certo chi nel fior de' soi primi anni

sanza caldo de amore il tempo passa,
se in vista è vivo, vivo è sanza core.
L'amore, che nel dolce tempo della mia giovinezza mi riscaldava al suo bel sole, ancora oggi mi invita a ripensare a ciò che allora mi piaceva, e adesso mi fa soffrire.


Così ho raccolto [in questi versi] ciò che il mio folle pensiero mi diceva nella vita amorosa, quando con voce ora lieta, ora piena di paura formava le parole tra i sospiri.

Ora la mia anima consumata e prostrata a causa della fedeltà amara [violata] e dei dolci inganni, fugge sdegnata i suoi errori di gioventù.

Ma certo chi nel fiore dei suoi primi anni trascorre il tempo senza il calore dell'amore, se in apparenza è vivo in realtà non possiede il cuore
.


Interpretazione complessiva

  • Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, CDE (A ed E sono una quasi-rima, -ole/-ore). La lingua è il volgare emiliano usato dal Boiardo anche nel poema, sia pure privo dei caratteri più popolari: ne sono indizio forme quali "alora" (v. 4), "racolto" e "fole" (v. 5, folle), "sbigotita" (v. 7), "fuge" (v. 11), con lo scempiamento delle geminate. Lo stile è ricco di artifici retorici di imitazione petrarchesca, come la metafora dell'amore che è il sole che scalda la vita del poeta e la fa fiorire (vv. 1-2), e le molte antitesi tra cui "mi piacque/mi dole" (v. 4), "or leta or sbigotita" (v. 7), "amara fede e dolci inganni" (v. 9). L'immagine dell'amore che scalda è ripresa circolarmente al v. 13, mentre il v. 14 presenta allitterazione di "vi" ("se in vista è vivo, vivo") e contiene un elegante chiasmo.
  • Il testo rappresenta una visione retrospettiva sul sentimento amoroso del poeta per Antonia, rivelatosi infelice e fonte di sofferenza e per questo condannato come "puerile errore", in maniera quindi del tutto simile al sonetto proemiale del Canzoniere di Petrarca di cui riprende anche la struttura metrica: anche il poeta del Trecento condannava il suo amore per Laura in quanto "primo giovenile errore" e preannunciava il contenuto delle "rime sparse" rivolgendosi al suo pubblico, nella speranza di trovare comprensione e perdono (► TESTO: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono). L'immagine del "pensier fole" che parlava d'amore a Boiardo rimanda invece alla personificazione degli "spiriti" presente negli Stilnovisti, in particolare in Cavalcanti che in un sonetto dava voce alle "triste penne isbigottite", anche se l'aggettivo "folle" fa pensare ancora al sonetto di Petrarca, in cui il poeta definiva "vaneggiar" il suo precedente comportamento da uomo innamorato.
  • Il v. 14 verrà ripreso letteralmente da Boiardo nell'Orlando innamorato (I, XVIII, 46.7-8), nelle parole con cui Agricane chiederà a Orlando prima del duello se lui sia o meno innamorato (il paladino cristiano risponderà ovviamente di amare Angelica, suscitando la viva gelosia del re pagano; ► TESTO: Il duello di Orlando e Agricane).


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