Lorenzo de' Medici detto il Magnifico (Firenze, 1449 - Careggi, 1492) è stato uno dei principali scrittori in volgare del Quattrocento e la sua figura ha rappresentato per certi versi un unicum nella letteratura italiana, essendo al tempo stesso autore di testi letterari e mecenate: sotto la sua signoria la corte di Firenze divenne uno dei centri culturali più attivi e importanti dell'Italia del XV sec. e Lorenzo protesse alcuni dei più importanti poeti del tempo, dall'amico Luigi Pulci al Poliziano, senza dimenticare l'appoggio dato all'accademia neoplatonica di Marsilio Ficino e ai rapporti avuti coi principali artisti del periodo umanistico. Come poeta ha spaziato tra generi molto diversi tra loro, passando dalle rime disimpegnate e comiche del periodo giovanile (sotto l'influsso di Pulci), alle rime d'amore di ispirazione dantesca, sino ai Canti carnascialeschi degli ultimi anni, in cui più forte è stata l'influenza del Savonarola e dei timori religiosi. La sua morte, avvenuta prematuramente nel 1492, segnò la fine della politica dell'equilibrio tra gli Stati italiani da lui tenacemente perseguita e aprì un periodo di crisi per l'Italia che sarebbe stata oggetto di riflessione da parte di importanti scrittori, a cominciare da Machiavelli.
Biografia
L'infanzia e la prima giovinezza
Lorenzo nacque il 1° gennaio 1449 a Firenze, da Piero figlio di Cosimo il Vecchio (colui che nel 1434 aveva portato i Medici all'egemonia in città) e Lucrezia Tornabuoni, letterata e protettrice di poeti tra cui in seguito Luigi Pulci. Il giovane Lorenzo ricevette un'educazione umanistica sotto la guida del suo precettore Gentile Becchi, che gli insegnò il latino (non è certo che imparasse anche il greco), mentre seguì poi le lezioni di Giovanni Argiropulo allo studio fiorentino, dedicandosi così alla filosofia; coltivò anche una grande passione per la musica e pare che suonasse vari strumenti, tra cui soprattutto il liuto. L'amicizia stretta col Pulci, che frequentava abitualmente la corte medicea ed era di qualche anno più vecchio, lo influenzò non poco e originò più tardi una vivace produzione letteraria di stampo comico-realistico, tra cui spicca soprattutto il poemetto di argomento rusticano Nencia da Barberino (sul punto si veda oltre). Nel frattempo il giovane Lorenzo, destinato precocemente a succedere al padre malato come guida dello Stato fiorentino, intraprese una serie di viaggi "diplomatici" che lo portarono a contatto con le principali corti dell'Italia del Quattrocento, durante i quali fu a Milano presso Francesco Sforza (principale alleato di Cosimo il Vecchio, che aveva finanziato la sua ascesa al ducato), a Ferrara, a Roma, a Napoli. Il 10 dic. 1468 sposò per procura la nobildonna romana Clarice Orsini, nell'ambito di un accordo matrimoniale stipulato dalla madre Lucrezia e che aveva lo scopo di procurare al figlio Lorenzo un matrimonio prestigioso, tale da sollevare il blasone dell'intera famiglia; dalle nozze nacquero vari figli, tra cui merita ricordare soprattutto Giovanni, poi papa col nome di Leone X, e Giuliano, che divenne duca di Nemours e a cui Machiavelli dedicò inizialmente il Principe, mentre appare come interlocutore nelle Prose di Bembo e nel Cortegiano di Castiglione. Non c'è dubbio che la parentela coi potenti Orsini aumentò molto il prestigio della famiglia Medici, spiegando in parte come fu possibile l'elezione di Giovanni a cardinale e poi la sua ascesa al soglio pontificio (non va scordato che i Medici avevano origini mercantili, essendo all'inizio banchieri e cambiavalute).
L'attività politica e la congiura dei Pazzi
La morte del padre Piero il 2 dic. 1469 portò Lorenzo a diventare di fatto signore di Firenze, benché ufficialmente egli rimanesse privato cittadino, per cui il giovane Medici (allora appena ventenne) promosse subito una riforma degli Ordinamenti cittadini in modo da accentrare il potere nelle sue mani e consolidare la sua posizione al vertice dello Stato di Firenze. Dopo il 1472 sorsero dei contrasti politici con papa Sisto IV e fu in questo clima che maturò la congiura dei Pazzi, promossa dalla famiglia fiorentina acerrima rivale dei Medici in combutta con l'arcivescovo di Pisa, Francesco Salviati: il 26 apr. 1478, mentre si trovavano nella chiesa di S. Maria del Fiore alla funzione in onore del cardinale Riario in visita in città, Lorenzo e il fratello Giuliano furono aggrediti da sicari dei Pazzi che uccisero Giuliano, mentre Lorenzo, pur rimanendo ferito, riuscì a salvarsi. Il tentativo di rovesciare i Medici fallì e in seguito ci fu una dura repressione da parte di Lorenzo, che portò all'uccisione sommaria di Salviati (che fu impiccato a una finestra del palazzo della Signoria che aveva cercato di occupare) e a varie esecuzioni e bandi contro la famiglia dei Pazzi, mentre Poliziano fu costretto a interrompere la stesura delle Stanze, il poemetto mitologico dedicato proprio al fratello minore di Lorenzo e destinato a celebrare la potenza della casata medicea. In seguito scoppiò la guerra contro il papa e il suo principale alleato re Ferdinando di Napoli, che pare avesse preso parte alla congiura, conflitto che vide anche la scomunica da parte del papa e che portò alla perdita di alcune città legate a Firenze, causando non pochi problemi interni e opposizioni a Lorenzo (benché il popolo fiorentino si fosse schierato dalla sua parte dopo l'attentato). La guerra finì quando Lorenzo riuscì a staccare Ferdinando dal papa e a ottenere la pace, cosa che risolse in parte i problemi di consenso attorno alla sua leadership, mentre in seguito una nuova riforma degli Ordinamenti rafforzò ulteriormente il potere del signore a capo della città (non tutte le piazzeforti perse durante le ostilità, tuttavia, vennero restituite a Firenze). Non mancarono altri attentati e tentativi di cospirare ai danni di Lorenzo, accusato da più parti di essere un tiranno, che però furono tutti sventati con la messa a morte dei loro artefici.
Gli ultimi anni
Il periodo successivo alla guerra con Sisto IV vide da parte di Lorenzo una politica di equilibrio e di pace con gli altri Stati della Penisola, basata principalmente sull'alleanza col re di Napoli e su una rete di rapporti amichevoli con le principali città del Nord, fatto che guadagnò al signore fiorentino il soprannome di "ago della bilancia d'Italia" (il culmine di questo prestigio fu probabilmente la nomina del figlio Giovanni a cardinale, avvenuta nel 1492 e che fu premessa per la sua successiva elezione a pontefice nel 1513, col nome di Leone X). Questo fu anche il periodo in cui la corte medicea di Firenze divenne un centro culturale di primo piano e uno dei luoghi simbolo dell'Umanesimo in Italia, grazie al mecenatismo di Lorenzo che anche per questo fu detto "Il Magnifico" e che si circondò dei principali letterati e artisti allora attivi nella sua città, tra cui merita ricordare Pulci, Poliziano, il Verrocchio, Botticelli, il Pollaiolo, e poi ancora Cristoforo Landino e Marsilio Ficino (la cui Accademia venne protetta e sovvenzionata dallo stesso signore). Lorenzo alternò la sua opera di mecenate e protettore di artisti con l'attività letteraria in prima persona, che vide soprattutto la produzione di sonetti e poesie liriche e di vari poemetti di argomento pastorale, nonché di numerosi canti carnascialeschi tra cui spicca il capolavoro riconosciuto, il Trionfo di Bacco e Arianna (si veda oltre). Gli ultimi anni furono comunque rattristati dal peggiorare delle sue condizioni di salute, specie della gotta di cui soffriva anche il padre come quasi tutti i membri della famiglia, nonché dall'opposizione a Firenze dei ceti popolari che trovarono nel frate domenicano Girolamo Savonarola un vivace interprete del loro malumore, dal momento che il religioso iniziò una serie di dure prediche in cui esprimeva una posizione anti-medicea e violentemente anti-umanistica (i famosi "falò delle vanità", divenuti simbolo della lotta contro la corruzione dei costumi e intensificatisi dopo la cacciata dei Medici, nel 1494). Lorenzo morì l'8 apr. 1492 nella sua villa di Careggi, dove si era recato sperando di trovare sollievo dai suoi malanni, e la sua scomparsa fu poi vista come l'inizio della crisi italiana che portò due anni dopo (1494) alla discesa in Italia di Carlo VIII di Francia, venendo a mancare l'artefice di quella politica di equilibrio che aveva garantito due decenni di relativa pace e stabilità all'intera Penisola.
Lorenzo mecenate e protettore di artisti
L'interesse per l'architettura
Come detto, Firenze divenne per iniziativa di Lorenzo il Magnifico uno splendido centro culturale e culla dell'Umanesimo e poi del Rinascimento italiano, grazie all'attività di mecenate svolta dal signore della città che si circondò di una ristretta cerchia di artisti e poeti di cui lui era non solo committente, ma in un certo senso "arbitro del gusto" e che facevano della sua corte un luogo di produzione artistica e di confronto che con pochi eguali nell'Italia del XV-XVI secolo. L'interesse di Lorenzo spaziava in tutti i campi del sapere ed era diretto anche all'architettura, come dimostra ad es. il fatto che Leon Battista Alberti gli dedicò l'edizione del 1485 del De re aedificatoria, mentre diversi furono gli architetti da lui protetti e ai quali commissionò importanti progetti: fra loro spicca Giuliano di San Gallo, che realizzò la villa di Poggio a Caiano e la sagrestia di Santo Spirito, mentre il Verrocchio si occupò di costruire la tomba della famiglia Medici tra 1469 e 1472 (il mausoleo ospita le salme di Piero e Giovanni de' Medici). Firenze conobbe sotto i Medici un forte sviluppo edilizio, favorito anche da leggi appositamente approvate durante la signoria di Lorenzo, che portò alla costruzione di nuovi splendidi palazzi (come quelli di Filippo Strozzi e di Bartolomeo Scala influenzati dalle idee laurenziane), mentre nel 1491 fu indetto un concorso per l'edificazione della nuova facciata del Duomo, poi mai realizzata. Sempre a Lorenzo si deve l'idea di una ricostruzione del quartiere di S. Giovanni, con un nuovo palazzo mediceo in via Laura, progetto poi non attuato, mentre fu poi aperto il "giardino delle sculture" in piazza S. Marco (a pochi passi dal Palazzo dei Medici) che divenne una sorta di accademia d'arte in cui si formarono alcuni giovani artisti fiorentini, tra i quali merita ricordare soprattutto Michelangelo Buonarroti.
Libri e oggetti antichi
Grande fu ovviamente l'interesse di Lorenzo per la produzione letteraria, in quanto fu egli stesso poeta e autore di opere (sulle quali si veda oltre) e al tempo stesso protettore di numerosi scrittori e intellettuali facenti parte della sua cerchia, tra i quali spiccavano Angelo Poliziano (che fu autore di opere encomiastiche dei Medici e precettore dei figli del Magnifico), Luigi Pulci (già protetto dalla madre Lucrezia Tornabuoni, a cui aveva dedicato il Morgante) e Marsilio Ficino, l'animatore dell'Accademia Neoplatonica di Firenze le cui riunioni avvenivano nella villa medicea di Careggi, per volontà dello stesso Lorenzo che in quel luogo poi morì assistito, tra gli altri, proprio dal Ficino. Va detto che il neoplatonismo influenzò non poco l'attività di scrittore di Lorenzo, che dopo un'iniziale influenza di Pulci in senso comico-realistico si dedicò alla stesura di liriche di argomento amoroso e religioso, ispirate anche al culto dantesco che egli promosse assieme a quello di Giotto in campo artistico. Molto importante fu anche la raccolta libraria di volumi preziosi che poi divenne il cuore della futura Biblioteca Laurenziana di Firenze, interesse testimoniato dalla preziosa antologia di poeti volgari dalle Origini al Quattrocento (la cosiddetta Raccolta aragonese) che egli inviò nel 1476-77 in dono a Federico figlio del re Ferdinando d'Aragona, con una lettera dedicatoria stesa probabilmente dalla mano di Poliziano (il testo è un abbozzo di storia della letteratura volgare, di grande importanza dopo il De vulgari eloquentia di Dante). Del resto l'interesse di Lorenzo per gli oggetti rari e da collezione era assai vario e lo indusse negli anni a mettere insieme una vera raccolta di antichità, che comprendeva cammei, vasi, gemme, statue in marmo e altri oggetti custoditi a Palazzo Medici ed esibiti agli ospiti illustri; tali oggetti erano frutto di una vera passione di Lorenzo per le "anticaglie" e provenivano in gran parte da donazioni di potenti amici e alleati della famiglia Medici, pezzi che venivano in genere affidati ad importanti artisti per il restauro (il Verrocchio, ad es., sistemò un marmo antico noto come "Marsia" e otto busti antichi) e poi collocati nel Giardino di Palazzo Medici, come anche nel "giardino delle sculture" dove si occupava della loro sistemazione Bertoldo di Giovanni, scultore esperto e protetto del signore di Firenze.
Produzione artistica
Altrettanto importante fu l'attività di mecenate svolta in campo più propriamente artistico, dal momento che la corte di Lorenzo raccolse una nutrita cerchia coi più significativi pittori attivi nell'ultimo Quattrocento (i nomi più rilevanti furono quelli del Ghirlandaio, del Pollaiolo, del Verrocchio e soprattutto di Sandro Botticelli, il più attivo esecutore di opere celebrative della famiglia Medici e della sua potenza). Botticelli realizzò diverse opere su diretta committenza dei Medici, tra cui spiccano specialmente la Primavera (1478) e la Nascita di Venere (1485), interessanti per il collegamento con l'opera contemporanea di Poliziano (il volto femminile delle protagoniste sembra ispirato a quello di Simonetta Cattaneo, la donna amata da Lorenzo e Giuliano protagonista delle Stanze, per cui si veda oltre). Sempre su incarico dei Medici l'artista eseguì alcuni disegni illustrativi della Commedia, nell'ambito di quel culto di Dante che in parte Lorenzo promosse (del resto alla Vita nuova era ispirato il Comento ad alcuni suoi sonetti), mentre nel 1481 circa Botticelli realizzò la prima decorazione della Cappella Sistina a Roma, opera che rientrava nella politica di prestigio dei Medici e che contribuì non poco ad accrescere la fama della famiglia fiorentina nella città dei papi. Tale opera rientrava in un progetto di Lorenzo che mirava a intrecciare relazioni politico-culturali coi principali Stati della Penisola, per cui altri artisti vennero inviati in alcune importanti città a realizzare opere significative, come Leonardo che andò a Milano presso gli Sforza, Ghirlandaio e Pollaiolo che si recarono a Roma e il Perugino che andò a Volterra (spesso gli artisti erano accompagnati da lettere di presentazione firmate da Lorenzo). Rientravano nella politica artistica dei Medici anche le feste pubbliche che si tenevano a Firenze, di argomento sacro e profano, per le quali artisti come Verrocchio e Botticelli realizzavano apparati, drappi e stendardi per i giochi cavallereschi e le giostre che si svolgevano in città (tra queste ad es. l'importante giostra del 1475 cui prese parte Giuliano, oggetto poi della celebrazione di Poliziano nelle Stanze).
Lorenzo scrittore: la poesia comica
Lorenzo de' Medici affiancò sempre l'attività di mecenate a quella di scrittore e produttore di letteratura, per quanto le sue opere si collochino su un piano più modesto rispetto a quelle degli altri intellettuali di corte, e negli anni giovanili egli subì soprattutto l'influsso di Luigi Pulci, il poeta squattrinato già protetto dalla madre Lucrezia Tornabuoni e di cui diventò amico, pur essendo più giovane di lui. Tale influsso spinse Lorenzo a scrivere poesie di carattere giocoso e comico-realistico, nello stile dissacrante e parodistico del suo amico Pulci, e l'opera forse più interessante di questo periodo è la Nencia da Barberino, un poemetto in ottave di argomento "rusticano" in cui un rozzo pastore, Vallèra, intona un lamento amoroso per l'amata Nencia, che disdegna le sue attenzioni (l'opera, la cui attribuzione è stata messa in dubbio, risalirebbe agli anni dopo il 1470). La Nencia è un bell'esempio di parodia del genere lirico più elevato e, forse, dello Stilnovo, mentre la lingua imita il volgare del Mugello dove la vicenda è ambientata e presenta un notevole sperimentalismo, anch'esso vicino allo stile del Pulci che apprezzò l'opera e rispose ironicamente col poemetto Beca da Dicomano, di argomento analogo (► TESTO: Nencia da Barberino).
Rientrano in questa produzione comica anche il poemetto in terzine Simposio (noto anche col titolo I Beoni), sorta di rassegna ironica dei più famosi ubriaconi di Firenze, nonché l'Uccellagione di starne, poemetto in ottave che descrive in toni altrettanto ironici e burleschi una giornata di caccia. Da ricordare anche due novelle, intitolate Giacoppo e Ginevra, delle quali la prima è ispirata a Boccaccio e narra una beffa a sfondo erotico, mentre la seconda è incompiuta e racconta una vicenda di taglio più sentimentale.
Rientrano in questa produzione comica anche il poemetto in terzine Simposio (noto anche col titolo I Beoni), sorta di rassegna ironica dei più famosi ubriaconi di Firenze, nonché l'Uccellagione di starne, poemetto in ottave che descrive in toni altrettanto ironici e burleschi una giornata di caccia. Da ricordare anche due novelle, intitolate Giacoppo e Ginevra, delle quali la prima è ispirata a Boccaccio e narra una beffa a sfondo erotico, mentre la seconda è incompiuta e racconta una vicenda di taglio più sentimentale.
Le rime di ispirazione neoplatonica e classica
L'allontanamento di Pulci dalla corte di Firenze dopo il 1473 fece mutare gli interessi culturali di Lorenzo e in seguito egli subì l'influenza del tutto diversa di Marsilio Ficino e della sua Accademia neoplatonica, le cui riunioni si tennero abitualmente nella villa dei Medici di Careggi: frutto di questa nuova fase letteraria furono anzitutto numerose liriche di argomento amoroso (in cui sono evidenti i richiami al neoplatonismo del Ficino), dedicate a donne amate da Lorenzo tra cui soprattutto Lucrezia Donati e Simonetta Cattaneo, la bellissima nobildonna genovese che fu moglie del fiorentino Marco Vespucci e morì giovanissima di tisi, nel 1475. La donna, amata anche da Giuliano de' Medici e protagonista delle Stanze di Poliziano nelle vesti di una splendida ninfa, fu ritratta da Botticelli che forse si ispirò alla sua figura nel realizzare le opere più importanti su committenza medicea, vale a dire la Primavera e la Nascita di Venere (si veda sopra). Le liriche amorose di Lorenzo risentono molto anche del modello dantesco e petrarchesco, al punto che l'autore inserì 41 sonetti in un Comento in prosa evidentemente ispirato alla Vita nuova di Dante, in cui tra l'altro la morte della Cattaneo diventa oggetto di un compianto universale e la sua figura è idealizzata al pari di Beatrice, sia pure in un contesto profondamente diverso e privo di riferimenti religiosi (► TESTO: O chiara stella, che coi raggi tuoi).
Negli anni Ottanta del Quattrocento Lorenzo subì molto anche l'influenza umanistica e classica di Poliziano, il principale poeta alla corte medicea, e frutto di questa ispirazione furono alcuni poemetti di argomento pastorale come Apollo e Pan (in terzine) e l'egloga Corinto, anch'essa in terzine e incentrata sull'amore infelice del protagonista per la bella ninfa Galatea, con riferimenti alla poesia latina di Teocrito e Virgilio nonché al Ninfale d'Ameto e al Ninfale fiesolano di Boccaccio (► TESTO: Il lamento di Corinto); in ottave è invece l'Ambra, sull'amore del dio fluviale Ombrone per la ninfa che dà titolo all'opera (anche qui non mancano riferimenti alla poesia di Boccaccio). Le Selve d'amore, anch'esse in ottave, si ispirano invece alle Sylvae di Stazio e presentano varie divagazioni liriche, tra neoplatonismo e classicismo.
Negli anni Ottanta del Quattrocento Lorenzo subì molto anche l'influenza umanistica e classica di Poliziano, il principale poeta alla corte medicea, e frutto di questa ispirazione furono alcuni poemetti di argomento pastorale come Apollo e Pan (in terzine) e l'egloga Corinto, anch'essa in terzine e incentrata sull'amore infelice del protagonista per la bella ninfa Galatea, con riferimenti alla poesia latina di Teocrito e Virgilio nonché al Ninfale d'Ameto e al Ninfale fiesolano di Boccaccio (► TESTO: Il lamento di Corinto); in ottave è invece l'Ambra, sull'amore del dio fluviale Ombrone per la ninfa che dà titolo all'opera (anche qui non mancano riferimenti alla poesia di Boccaccio). Le Selve d'amore, anch'esse in ottave, si ispirano invece alle Sylvae di Stazio e presentano varie divagazioni liriche, tra neoplatonismo e classicismo.
Le opere di ispirazione religiosa e i Canti carnascialeschi
Gli ultimi anni videro un maggiore interesse da parte di Lorenzo per le questioni più propriamente religiose, forse anche a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute, e videro pertanto la luce alcune opere di argomento devoto tra cui la Rappresentazione dei santi Giovanni e Paolo, sacra rappresentazione recitata nel 1491, cui vanno aggiunte delle Laude spirituali che si rifacevano alla letteratura del XIII-XIV sec. (già nel 1473-74 aveva scritto l'Altercazione, un poemetto in terzine di argomento religioso sul sommo bene in forma di dialogo, ispirato senza dubbio dal neoplatonismo del Ficino). Sempre dell'ultimo periodo e apparentemente di argomento più profano e lieto sono i Canti carnascialeschi, delle canzoni a ballo scritte per le sfilate del carnevale fiorentino in cui c'è una sorta di inno alla vita e alla giovinezza e un invito a godere in modo edonistico dei piaceri terreni, anche se l'atmosfera carnevalesca è velata da una sottile malinconia e da una sorta di presagio di morte influenzato, forse, dalle vicende autobiografiche dell'autore. Tra di essi il più celebre è senza dubbio il Trionfo di Bacco e Arianna, scritto per il carnevale del 1490, in cui la descrizione del corteo del dio Bacco e degli altri personaggi festosi (Arianna, i satiri, le ninfe, Sileno...) vuol essere, sì, un invito a godere della vita e dell'amore, ma anche un monito a non sprecare il tempo che "fugge e inganna" e quindi con un richiamo al motivo oraziano del carpe diem, così come alla massima tempus fugit ampiamente ricorrente nella poesia latina classica (► TESTO: Trionfo di Bacco e Arianna). Gli altri canti, meno noti al pubblico, risalgono più o meno allo stesso periodo e sono dedicati rispettivamente ai Confortini e ai Cialdoni (dolciumi venduti durante il carnevale, con allusioni e doppi sensi erotici), ai Profumi, agli Innestatori (ancora con significato licenzioso), allo Zibetto (l'animale da cui si ricavava un profumo, anche qui con allusioni equivoche), alle Foreste, ai Sette pianeti (da cui derivano gli influssi astrali nel mondo), alle Cicale, ai Visi addrieto (sulla necessità di guardarsi dagli inganni, specie delle donne), ai Fornai (ancora con doppi sensi osceni).
Lorenzo nel giudizio dei contemporanei
Lorenzo de' Medici ebbe larga fama tra gli uomini del suo tempo e la sua reputazione era dovuta più alla sua azione politica e al suo mecenatismo che non alle sue opere letterarie, che infatti furono in parte oscurate da quelle dei letterati suoi protetti: ciò non impedì ad alcuni intellettuali di spendere parole di elogio per i suoi versi volgari, come nel caso di Giovanni Pico della Mirandola che in una lettera del 1484 si rivolge al signore accostandolo addirittura a Dante e Petrarca, col dire che la poesia di Lorenzo "persuade per la sua profondità non meno di quel che alletti nell'aspetto esteriore" e aggiungendo che lui ha composto le sue opere non "negli ombrosi ritiri di pacifici studi" ma "tra i tumulti e gli strepiti della curia", sottolineando quindi la sua duplice natura di uomo politico e scrittore (trad. di E. Garin, Milano-Napoli 1952). Il benevolo giudizio di Pico è dovuto certo all'ammirazione per il signore rinascimentale e per il mecenate, se non proprio per uno scopo dichiaratamente encomiastico, tuttavia è evidente che Lorenzo veniva celebrato dai contemporanei non solo come letterato e protettore di altri letterati, ma anche come signore capace di offrire di sé un'immagine di liberalità ed equilibrio (per quanto non sempre ciò corrispondesse alla verità dei fatti) e come tale il suo modello ispirò gli ambienti di corte dell'Italia del primo Rinascimento, anche se in essi non si respirava più l'atmosfera di apparente libertà concessa agli intellettuali nella Firenze del Quattrocento. Del resto anche le doti di Lorenzo come diplomatico e fautore della politica dell'equilibrio furono altamente apprezzate, anche se, com'è ovvio, egli suscitò l'opposizione e le critiche di molti suoi contemporanei, prima e dopo il fallito attentato di cui fu oggetto ad opera dei Pazzi: a tal proposito il Poliziano nel suo Pactianae coniurationis commentarium scritto subito dopo i tragici fatti del 1478 sottolinea la magnanimità e la fermezza dell'uomo di Stato di fronte all'accaduto, rimarcando soprattutto il favore del popolo fiorentino attorno a lui e alla sua famiglia ("A Lorenzo medesimo, né la ferita, né la paura, e il dolore che sentito avea grandissimo della morte del fratello, lo tennero dal provvedere alle sue bisogne; rende grazie a tutti i cittadini: a ciascun di loro ei si mostra strettamente tenuto: dichiara di riconoscer solo da loro la ottenuta salvezza... Egli a tutto era intento: non si perdea né di animo, né di consiglio"; trad. in fiorentino di A. De Mandato).
Nonostante le molte critiche ricevute soprattutto dal Savonarola nell'ultima fase del suo potere, quando il frate domenicano attaccava in modo violento la famiglia Medici nelle sue prediche e nei "falò delle vanità", gli intellettuali del primo Cinquecento riconobbero nell'azione politica di Lorenzo un positivo effetto per la pace e la stabilità dell'Italia intera e affermarono che fu proprio la sua morte precoce, nel 1492, a dare inizio a quel declino politico e militare che precipitò la Penisola in un turbine di guerre disastrose. Così ad esempio si esprimeva Niccolò Machiavelli nel finale delle Istorie fiorentine, l'opera di stampo encomiastico commissionata dai Medici che ricostruiva la storia di Firenze dall'antichità sino al fatidico anno della morte di Lorenzo: "...di aprile, nel 1492, morì, l'anno quarantaquattro della sua età. Né morì mai alcuno, non solamente in Firenze, ma in Italia, con tanta fama di prudenza, né che tanto alla sua patria dolesse... perché, restata Italia priva del consiglio suo... subito morto Lorenzo cominciorono a nascere quegli cattivi semi i quali, non dopo molto tempo, non sendo vivo chi gli sapesse spegnere, rovinorono, e ancora rovinano, la Italia" (l. VIII, cap. 36). E un giudizio non diverso proponeva qualche anno dopo Francesco Guicciardini nella sua Storia d'Italia, che invece iniziava il racconto degli avvenimenti nazionali dal 1492 e riconosceva nello stesso evento (la morte prematura del Magnifico) l'inizio della rovina politica dell'Italia: "Tale era lo stato delle cose, tali erano i fondamenti della tranquillità d’Italia, disposti e contrapesati in modo che non solo di alterazione presente non si temeva ma né si poteva facilmente congetturare da quali consigli o per quali casi o con quali armi s’avesse a muovere tanta quiete. Quando, nel mese di aprile dell’anno mille quattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lorenzo de’ Medici... fu morte incomodissima al resto d’Italia" (I, 2). Tale celebrazione nasceva senza dubbio dagli effettivi meriti politici dell'uomo, che come tali erano riconosciuti e sottolineati dagli scrittori che riflettevano sulle cause del declino dell'Italia nel XVI sec., tuttavia è innegabile che questo giudizio derivava in parte anche dalla "mitizzazione" del signore rinascimentale che garantiva libertà agli intellettuali della sua corte, a differenza di quanto avveniva nel Cinquecento in cui la corte diventava uno spazio di minore libertà e i cui gentiluomini erano ormai funzionari allo stretto servizio del signore, in un'atmosfera assai meno liberale rispetto alla Firenze del XV sec. (in tal senso è significativa la presa di posizione di L. Ariosto nella Satira I, in cui lamenta la triste condizione del cortigiano sottoposto agli arbitri del suo sovrano; ► TESTO: La vita del cortigiano).
Nonostante le molte critiche ricevute soprattutto dal Savonarola nell'ultima fase del suo potere, quando il frate domenicano attaccava in modo violento la famiglia Medici nelle sue prediche e nei "falò delle vanità", gli intellettuali del primo Cinquecento riconobbero nell'azione politica di Lorenzo un positivo effetto per la pace e la stabilità dell'Italia intera e affermarono che fu proprio la sua morte precoce, nel 1492, a dare inizio a quel declino politico e militare che precipitò la Penisola in un turbine di guerre disastrose. Così ad esempio si esprimeva Niccolò Machiavelli nel finale delle Istorie fiorentine, l'opera di stampo encomiastico commissionata dai Medici che ricostruiva la storia di Firenze dall'antichità sino al fatidico anno della morte di Lorenzo: "...di aprile, nel 1492, morì, l'anno quarantaquattro della sua età. Né morì mai alcuno, non solamente in Firenze, ma in Italia, con tanta fama di prudenza, né che tanto alla sua patria dolesse... perché, restata Italia priva del consiglio suo... subito morto Lorenzo cominciorono a nascere quegli cattivi semi i quali, non dopo molto tempo, non sendo vivo chi gli sapesse spegnere, rovinorono, e ancora rovinano, la Italia" (l. VIII, cap. 36). E un giudizio non diverso proponeva qualche anno dopo Francesco Guicciardini nella sua Storia d'Italia, che invece iniziava il racconto degli avvenimenti nazionali dal 1492 e riconosceva nello stesso evento (la morte prematura del Magnifico) l'inizio della rovina politica dell'Italia: "Tale era lo stato delle cose, tali erano i fondamenti della tranquillità d’Italia, disposti e contrapesati in modo che non solo di alterazione presente non si temeva ma né si poteva facilmente congetturare da quali consigli o per quali casi o con quali armi s’avesse a muovere tanta quiete. Quando, nel mese di aprile dell’anno mille quattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lorenzo de’ Medici... fu morte incomodissima al resto d’Italia" (I, 2). Tale celebrazione nasceva senza dubbio dagli effettivi meriti politici dell'uomo, che come tali erano riconosciuti e sottolineati dagli scrittori che riflettevano sulle cause del declino dell'Italia nel XVI sec., tuttavia è innegabile che questo giudizio derivava in parte anche dalla "mitizzazione" del signore rinascimentale che garantiva libertà agli intellettuali della sua corte, a differenza di quanto avveniva nel Cinquecento in cui la corte diventava uno spazio di minore libertà e i cui gentiluomini erano ormai funzionari allo stretto servizio del signore, in un'atmosfera assai meno liberale rispetto alla Firenze del XV sec. (in tal senso è significativa la presa di posizione di L. Ariosto nella Satira I, in cui lamenta la triste condizione del cortigiano sottoposto agli arbitri del suo sovrano; ► TESTO: La vita del cortigiano).