Giordano Bruno
Difesa di Copernico
(Cena de le ceneri, I)
Ne "La cena de le ceneri" Giordano Bruno immagina un dialogo che avviene a Londra il primo giorno di Quaresima fra quattro interlocutori, il gentiluomo inglese Smitho, l'intellettuale copernicano Teofilo (il "caro a Dio"), il pedante aristotelico Prudenzio e il buffo servitore Frulla, i quali disputano sulle nuove teorie che l'astronomo polacco Niccolò Copernico aveva enunciato in materia cosmografica ipotizzando un sistema eliocentrico. L'autore riconosceva la validità della teoria copernicana e concepiva lui pure un universo privo di un unico centro, infinito, con innumerevoli mondi in cui Dio potesse manifestarsi, conformemente al suo pensiero filosofico. Il passo mostra Prudenzio preoccupato di affermare l'autorità di Aristotele in virtù della sua antichità, cui ribattono Teofilo in termini filosofici e Frulla in tono ironico, anticipando alcune pagine simili nel "Dialogo sopra i due massimi sistemi" di Galileo.
► PERCORSO: La Controriforma
► PERCORSO: La Controriforma
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 |
TEOFILO Lasciamo questi propositi per ora. Sono alcuni altri, che, per qualche credula pazzia, temendo che per vedere non se guastino, vogliono ostinatamente perseverare ne le tenebre di quello c'hanno una volta malamente appreso. Altri poi sono i felici e ben nati ingegni, verso gli quali nisciuno [1] onorato studio è perso: temerariamente non giudicano, hanno libero l'intelletto, terso il vedere e son prodotti dal cielo, si non inventori, degni però esaminatori, scrutatori, giodici [2] e testimoni de la verità. Di questi ha guadagnato, guadagna e guadagnarà l'assenso e l'amore il Nolano. [3] Questi son que' nobilissimi ingegni, che son capaci d'udirlo e disputar co' lui. Perché in vero nisciuno è degno di contrastargli circa queste materie, che, si non vien contento di consentirgli a fatto, per non esser tanto capace, non gli sottoscriva almeno ne le cose molte, maggiori e principali, e confesse che quello, che non può conoscere per più vero, è certo che sii più verisimile. [4] PRUDENZIO Sii come la si vuole, io non voglio discostarmi dal parer de gli antichi, perché, dice il saggio [5], nell'antiquità è la sapienza. TEOFILO E soggionge: in molti anni la prudenza. [6] Si voi intendeste bene quel che dite, vedreste, che dal vostro fondamento s'inferisce [7] il contrario di quel che pensate: voglio dire, che noi siamo più vecchi ed abbiamo più lunga età, che i nostri predecessori: intendo, per quel che appartiene in certi giudizii, come in proposito. Non ha possuto essere sì maturo il giodicio d'Eudosso [8], che visse poco dopo la rinascente astronomia, se pur in esso non rinacque come quello di Calippo [9], che visse trent'anni dopo la morte d'Alessandro magno; il quale come giunse anni ad anni, possea giongere ancora osservanze ad osservanze. Ipparco [10], per la medesma raggione, dovea saperne più di Calippo, perché vedde la mutazione fatta sino a centononantasei anni dopo la morte d'Alessandro. Menelao [11], romano geometra, perché vedde la differenza de moto quatrocentosessantadui anni dopo Alessandro morto, è raggione che n'intendesse più ch'Ipparco. Più ne dovea vedere Macometto Aracense [12] milleducento e dui anni dopo quella. Più n'ha veduto il Copernico quasi a nostri tempi appresso la medesma anni milleottocento quarantanove. Ma che di questi alcuni, che son stati appresso, non siino però stati più accorti, che quei che furon prima, e che la moltitudine di que' che sono a nostri tempi, non ha però più sale [13], questo accade per ciò che quelli non vissero, e questi non vivono gli anni altrui, e, quel che è peggio, vissero morti quelli e questi ne gli anni proprii. PRUDENZIO Dite quel che vi piace, tiratela a vostro bel piacer dove vi pare: io sono amico de l'antiquità; e quanto appartiene a le vostre opinioni o paradossi, non credo che sì molti e sì saggi sien stati ignoranti, come pensate voi ed altri amici di novità. TEOFILO Bene, maestro Prudenzio; si questa volgare e vostra opinione per tanto è vera in quanto che è antica, certo era falsa quando la fu nova. Prima che fusse questa filosofia conforme al vostro cervello, fu quella degli caldei, egizii, maghi, orfici, pitagorici ed altri di prima memoria, conforme al nostro capo [14]; da' quali prima si ribbellorno questi insensati e vani logici e matematici, nemici non tanto de la antiquità, quanto alieni da la verità. Poniamo dunque da canto la raggione de l'antico e novo, atteso che non è cosa nova che non possa esser vecchia, e non è cosa vecchia che non sii stata nova, come ben notò il vostro Aristotele. FRULLA S'io non parlo, scoppiarò, creparò certo. Avete detto il vostro Aristotele, parlando a mastro Prudenzio. Sapete, come intendo, che Aristotele sii suo, idest [15] lui sii peripatetico? (Di grazia, facciamo questo poco di digressione per modo di parentesi). Come di dui ciechi mendichi a la porta de l'arcivescovato di Napoli l'uno se diceva guelfo e l'altro ghibellino; e con questo si cominciorno sì crudamente a toccar l'un l'altro con que' bastoni ch'aveano, che, si non fussero stati divisi, non so come sarebbe passato il negozio. In questo se gli accosta un uom da bene, e li disse: - Venite qua, tu e tu, orbo mascalzone: che cosa è guelfo? che cosa è ghibellino? che vuol dir esser guelfo ed esser ghibellino? - In verità, l'uno non seppe punto che rispondere, né che dire. L'altro si risolse dicendo: - Il signor Pietro Costanzo, che è mio padrone, ed al quale io voglio molto bene, è un ghibellino. - Cossì a punto molti sono peripatetici [16], che si adirano, se scaldano e s'imbraggiano [17] per Aristotele, voglion defendere la dottrina d'Aristotele, son inimici de que' che non sono amici d'Aristotele, voglion vivere e morire per Aristotele; i quali non intendono né anche quel che significano i titoli de' libri d'Aristotele. Se volete ch'io ve ne dimostri uno, ecco costui, al quale avete detto il vostro Aristotele, e che a volte a volte ti sfodra un Aristoteles noster, Peripateticorum princeps, un Plato noster, et ultra. [18] |
[1] Nessuno (campanismo). [2] Giudici. [3] Giordano Bruno, originario di Nola in Campania. [4] Nessuno è in grado di discutere con lui, al punto che se forse non gli darà ragione, ma ammetterà almeno che molte delle cose che dici sono verosimili. [5] Giobbe, XII.12. [6] La vera conoscenza nasce dall'accumularsi dell'esperienza negli anni. [7] Si ricava, si deduce. [8] Eudosso di Cnido, astronomo del IV sec. a.C. [9] Callippo di Cizico, attivo nel IV sec. a.C. [10] Ipparco di Nicea, astronomo del II sec. a.C. [11] Menelao di Alessandria, attivo nel I sec. a.C. [12] Astronomo arabo del IX sec. d.C. [13] Non ha maggiori conoscenze. [14] Allude al fatto che altri astronomi e filosofi nel passato teorizzarono il sistema eliocentrico. [15] Cioè. [16] Peripatetici erano detti gli aristotelici nel XVI-XVII sec. [17] Vengono alle mani. [18] "Il nostro Aristotele, principe dei peripatetici", "Il nostro Platone, e altro". |
Interpretazione complessiva
- Il passo, tratto dalla prima parte del dialogo, mostra il pedante Prudenzio fedele al principio di autorità che individua nelle teorie di Aristotele un punto fermo irrinunciabile in virtù della loro antichità, e cita a sostegno di questa sua convinzione un passo biblico (Giobbe, XII.12) in cui tale principio è affermato, subito corretto da Teofilo che completa la citazione e ricorda che non tanto l'antichità forma la conoscenza, quanto l'esperienza accumulata negli anni (il testo biblico recita: In senibus est sapientia, / et in longaevis prudentia). Teofilo ribalta il concetto di Prudenzio e spiega che i dotti del passato dovevano necessariamente saperne meno di quelli venuti dopo, che hanno avuto più tempo per studiare e sono giunti a conclusioni più esatte, dunque Copernico vissuto nel XVI sec. non deve essere svalutato a vantaggio degli astronomi del passato, le cui conoscenze erano imperfette. Questo discorso sta alla base dell'idea moderna di progresso che sarebbe stata enunciata nel Seicento, ad es. da Tommaso Campanella che nella Città del Sole afferma che "ha più storia in cento anni che non ebbe il mondo in quattro mila", ma anche da Galileo che nel Saggiatore definisce lo scibile umano come illimitato, essendoci ancora moltissime scoperte da fare per la scienza. Inutile dire che la figura del "pedante" Prudenzio ricorda troppo da vicino il Simplicio del Dialogo di Galileo, lui pure ridicolmente attaccato al principio di autorità aristotelico e sempre pronto a negare validità al sistema copernicano in virtù della "antichità" di quello tolemaico.
- Alle argomentazioni serie e gravi di Teofilo aggiunge la sua ironia Frulla, il quale paragona le dispute degli aristotelici a quelle dei guelfi e dei ghibellini nel Medioevo, i quali non sapevano neppure bene cosa volessero dire quei termini: allo stesso modo i seguaci di Aristotele lo difendono a qualunque costo, ma spesso non conoscono neanche il significato dei titoli dei suoi libri, per cui lo stesso Prudenzio è sbeffeggiato nel momento in cui dice Aristoteles noster, dal momento che questa appartenenza è puramente fittizia. Anche questo passo ricorda molto il Dialogo galileiano, quando Salviati irride i filosofi "peripatetici" che fanno dire ad Aristotele quello che vogliono, interpretando in modo capzioso passi molto lontani delle sue opere.