Giovanni Boccaccio
La bellezza artificiale delle donne
(Corbaccio)
Il personaggio che parla è l'ombra del defunto marito della nobildonna di cui Boccaccio si è innamorato e dalla quale è stato respinto e deriso, ritrovandosi in un "porcile di Venere": l'interlocutore cerca di distogliere il protagonista da questo amore vano e inconsistente, spiegandogli che le donne nascondono sotto una maschera di bellezza un animo corrotto e descrivendo a tal proposito la propria moglie al risveglio, prima che un pesante "maquillage" copra le magagne dell'età e i difetti fisici. Il passo è interessante in quanto ribalta completamene la prospettiva del "Decameron" lasciando spazio a una accentuata misoginia, inoltre c'è un voluto riferimento alla tradizione del "vituperium" della poesia comica e la ripresa della descrizione di donne brutte in chiave parodistica.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
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Io mi credo assai bene doverti avere soddisfatto a ciò che ti potesse aver messo in dubbio, o per lo futuro potrebbe, del modo e de’ vocaboli del mio parlare. [1] E perciò, tornando al proposito e volendo delle cose di questa donna, nuova posseditrice divenuta dell’anima tua, partitamente alquanto narrare (di quelle, dico, che a te non poterono essere note per veduta [2] né ancora per imaginazione, per ciò che fuggito l’hai), primieramente mi piace da quella bellezza incominciare, la qual, tanto le sue arti valsono che te non solamente, ma molti altri, che meno di te erano presi, abbagliò e di sé mise in falsa oppinione: cioè della freschezza della carne del viso suo. La quale, essendo artificiata [3] e simile alle mattutine rose parendo, con teco molti altri naturale estimarono: la quale se a te e agli altri stolti, come a me, possibile fosse stato d’avere, quando la mattina del letto usciva, veduta, prima che posto s’avesse il fattibello [4], leggiermente il vostro errore avreste riconosciuto. Era costei, e oggi più che mai credo che sia, quando la mattina usciva dal letto, col viso verde, giallo, maltinto d’un colore di fummo di pantano [5], e broccuta quali sono gli uccelli che mudano [6], grinza e crostuta [7] e tutta cascante; in tanto contraria a quello che parea poi che avuto avea spazio di leccarsi, che appena che niuno il potesse credere, che veduta non l’avesse, come vid’io già mille volte. [8] E chi non sa che le mura affumicate, non che i visi delle femine, ponendovi su la biacca, diventano bianche e, oltre a ciò, colorite secondo che al dipintore di quelle piacerà di porre sopra il bianco? E chi non sa che, per lo rimenare, la pasta, che è cosa insensibile, non che le carni vive, gonfia; e, dove mucida [9] parea, diviene rilevata? Ella si stropicciava tanto e tanto si dipigneva e si faceva la buccia, per la quiete della notte in giù caduta, rilevarsi [10] che a me, che veduta l’avea in prima, una strana maraviglia venire facea. E se tu, come io le più delle mattine la vedea, veduta l’avessi colla cappellina fondata in capo [11] e col veluzzo dintorno alla gola, così pantanosa [12] nel viso come ora dissi, e col mantello foderato covare il fuoco [13], in su le calcagna sedendosi, colle occhiaia livide, e tossire e sputare farfalloni [14], io non temo punto che tutte le sue virtù, dal tuo amico udite, avessero tanto potuto farti di lei innamorare che, quello vedendo cento mila cotanti disamorare non t’avesse fatto. [15]
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[1] L'uomo si riferisce alle parole precedenti, quando ha paragonato il suo discorso a una medicina amara ma efficace. [2] Per averle viste. [3] Artificiale, frutto del trucco. [4] Trucco, belletto. [5] Di colorito grigiastro, come la nebbia delle paludi. [6] Bitorzoluta come gli uccelli che mutano il piumaggio. [7] Grinzosa e piena di croste. [8] Che a malapena qualcuno, che non l'avesse vista prima, l'avrebbe riconosciuta.
[9] Floscia, avvizzita. [10] A tal punto faceva gonfiare la pelle, caduta per il riposo notturno. [11] Con la cuffia da notte calcata in testa. [12] Di colorito grigiastro. [13] Accovacciarsi accanto al fuoco. [14] Catarri. [15] sono certo che vedendo tutto ciò ti saresti disamorato centomila volte più di quanto tutte le sue virtù descritte dal tuo amico ti abbiano potuto far innamorare. |
Interpretazione complessiva
- Tutto il passo ruota intorno alla bellezza femminile che è detta essere "artificiata", frutto cioè del trucco e opposta a quella naturale delle "mattutine rose", tale da ingannare gli uomini e irretirli con l'arte della seduzione: il defunto marito della vedova di cui Boccaccio si è invaghito svela questa verità attraverso la testimonianza di ciò che ha visto coi propri occhi (la bruttezza della donna appena sveglia, prima del maquillage), usando parole che saranno per l'autore come una medicina dal sapore amaro, ma efficaci. La descrizione è simile alla parodia della donna stilnovista nella poesia comica del Due-Trecento, in cui la donna veniva presentata con caratteristiche opposte a quelle della donna-angelo e con caratteri di accentuata bruttezza, come appunto il colorito smorto e giallognolo ("col viso verde, giallo") e vari difetti fisici ("broccuta quali sono gli uccelli che mudano"), inoltre Boccaccio presenta la vedova come una vecchia infreddolita che si stringe intorno al fuoco, intenta a "sputare farfalloni" (catarro). Particolarmente caustico il paragone tra il belletto con cui la donna si trucca e la "biacca" che ripulisce le "mura affumicate", mentre la pelle della donna ("buccia", in senso spregiativo) è definita "mucida", flaccida, ma prontamente gonfiata dopo il trattamento di bellezza.
- La descrizione della donna brutta in chiave parodica deriva dalla tradizione della poesia comica del Duecento, in cui soprattutto Rustico di Filippo era particolarmente versato: nel sonetto Dovunque vai conteco l'autore fiorentino descrive una "buggeressa" (una donna vecchia e laida) talmente repellente da allontanare qualunque uomo, e il bersaglio era soprattutto la donna-angelo dello Stilnovo, di cui era proposto il rovesciamento (► PERCORSO: La poesia comica). Qualcosa di simile era proposto dallo stesso Boccaccio in una novella del Decameron, quella di frate Cipolla (VI, 10) in cui è descritta la Nuta, una cuoca di cui è innamorato Guccio e che è presentata come esempio di rara bruttezza, anche se in quel caso si trattava appunto di un testo dal tono comico (► TESTO: Frate Cipolla). Una simile descrizione sarà poi ripresa nel Quattrocento da Luigi Pulci nella Beca da Dicomano, un poemetto in ottave a sua volta parodia della Nencia di Lorenzo de' Medici, in cui l'autore finge di elogiare una contadina di cui, tuttavia, sottolinea i difetti fisici (► AUTORE: Luigi Pulci).
- Il passo in cui Boccaccio definisce la vedova "broccuta" (piena di grinze e rigonfiamenti) dopo la notte e dove dice che la donna, lisciandosi la pelle, riesce a farla "rilevare", cioè a tonificarla, ha forse come fonte i Medicamina faciei femineae di Ovidio, dove l'autore latino suggerisce di mescolare come unguento cosmetico l'incenso al salnitro che ha la proprietà di far sparire i tubera, i rigonfiamenti della pelle (vv. 86-87).