Lorenzo de' Medici
Trionfo di Bacco e Arianna
(Canti carnascialeschi)
Scritta in occasione del carnevale del 1490, questa canzone a ballo è una celebrazione della giovinezza e dei piaceri della vita, nonché un invito a godere dell'amore e delle altre gioie terrene quando ve ne è ancora la possibilità, secondo la linea ampiamente sviluppata dalla letteratura umanistica: l'autore sfrutta in tal senso l'allegoria del corteo di Bacco e Arianna e degli altri personaggi citati, che diventano un inno all'amore (rappresentato dai due protagonisti della sfilata) e ai piaceri mondani tra cui il vino e il cibo, specie attraverso le figure di Bacco stesso e del satiro Sileno. Il testo riflette una prospettiva complessivamente positiva e ottimistica, benché l'accenno all'incertezza del futuro veli con una certa malinconia la spensieratezza dei versi (in Lorenzo manca forse l'abbandono sereno alle gioie della vita presente invece nelle liriche di Poliziano).
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Lorenzo de' Medici
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Lorenzo de' Medici
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Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. Quest’è Bacco e Arïanna, belli, e l’un dell’altro ardenti: perché ’l tempo fugge e inganna, sempre insieme stan contenti. Queste ninfe ed altre genti sono allegre tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. Questi lieti satiretti, delle ninfe innamorati, per caverne e per boschetti han lor posto cento agguati; or da Bacco riscaldati ballon, salton tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia di doman non c’è certezza. Queste ninfe anche hanno caro da lor essere ingannate: non può fare a Amor riparo se non gente rozze e ingrate: ora, insieme mescolate, suonon, canton tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. Questa soma, che vien drieto sopra l’asino, è Sileno: così vecchio, è ebbro e lieto, già di carne e d’anni pieno; se non può star ritto, almeno ride e gode tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. Mida vien drieto a costoro: ciò che tocca oro diventa. E che giova aver tesoro, s’altri poi non si contenta? Che dolcezza vuoi che senta chi ha sete tuttavia? Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. Ciascun apra ben gli orecchi, di doman nessun si paschi; oggi siam, giovani e vecchi, lieti ognun, femmine e maschi; ogni tristo pensier caschi: facciam festa tuttavia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. Donne e giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore! Ciascun suoni, balli e canti! Arda di dolcezza il core! Non fatica, non dolore! Ciò c’ha a esser, convien sia. Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza. |
Quant'è bella la giovinezza, che fugge continuamente! Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani.
Questi sono Bacco e Arianna, belli e innamorati l'uno dell'altra: poiché il tempo fugge ed è ingannevole, stanno sempre insieme felici. Queste ninfe e questi altri personaggi sono sempre allegri. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani. Questi lieti satiri, innamorati delle ninfe, hanno teso loro cento agguati per caverne e boschi; ora, riscaldati dal vino, ballano e saltano continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani. Queste ninfe sono ben liete di subire gli agguati dei satiri: nessuno può respingere l'amore, se non persone rozze e sgraziate: ora, mescolate insieme, suonano e cantano continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani. Questo corpo pesante, che viene dietro sopra l'asino, è Sileno: pur così vecchio, è ubriaco e felice, già carico di carne e di anni; se non può stare dritto, almeno ride e gode continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani. Mida segue costoro: quello che tocca, diventa oro. E a cosa serve avere un tesoro, se poi uno non si accontenta? Che dolcezza vuoi che possa sentire chi ha continuamente sete? Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani. Ognuno apra bene le orecchie, nessuno si culli nel pensiero del domani; oggi dobbiamo essere tutti felici, giovani e vecchi, donne e uomini; ogni pensiero triste sia deposto, facciamo festa continuamente. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani. Donne e giovani amanti, viva Bacco e viva l'amore! Ciascuno suoni, balli e canti! Il cuore arda di dolcezza! Non vi siano più la fatica, né il dolore! Ciò che deve accadere, accada pure. Chi vuol essere lieto, lo sia: non ci sono certezze del domani. |
Interpretazione complessiva
- Metro: ballata grande di ottonari piani, formata da una ripresa di quattro versi e da sette strofe di otto versi ciascuna, secondo lo schema XYYX / ABABBYYX (propriamente si tratta di una frottola, metro tipico della tradizione popolare toscana). Gli ultimi due versi di ogni strofa ripetono gli ultimi due della ripresa e il terzultimo verso della strofa termina sempre con l'avverbio "tuttavia", ("continuamente"), tranne l'ultima strofa in cui i vv. 58-59 presentano una rima identica ("sia/sia"). La lingua segue il fiorentino letterario, con uno stile facile e popolare adatto al tipo di componimento.
- Il testo è uno dei Canti carnascialeschi di Lorenzo e fu composto per il carnevale del 1490, dunque negli ultimi anni della vita dell'autore: si tratta di una canzone a ballo che celebra il "trionfo" del dio Bacco e della sua sposa Arianna, che aprono un corteo festoso su un carro seguiti da altri personaggi della mitologia classica legati alla loro storia (la canzone aveva probabilmente un accompagnamento musicale e doveva essere eseguita mentre per le strade di Firenze sfilavano i carri allegorici, tra il popolo in festa). Secondo il mito Bacco aveva raccolto Arianna sull'isola di Nasso dopo che questa era stata abbandonata da Teseo e ne aveva fatto la sua sposa, portandola con sé in cielo; tra gli altri personaggi compaiono il satiro Sileno, maestro di Bacco in gioventù, e Mida re della Frigia, che aveva ritrovato Sileno quando questo si era perso ubriaco nei boschi e lo aveva riportato al dio, ottenendo da lui il dono funesto di tramutare tutto in oro. I satiri e le ninfe appartengono anch'essi al "tiaso" dionisiaco, il corteo festoso di Bacco.
- Il componimento celebra i piaceri terreni della vita come l'amore e il vino, invitando edonisticamente a godere di essi finché si è giovani e a non sprecare la vita nell'attesa incerta del domani: l'amore è rappresentato anzitutto dalla felice unione di Bacco e Arianna, ma anche dei satiri che tendono tranelli alle ninfe che, a loro volta, sono ben felici di concedersi a loro; il vino è raffigurato da Bacco stesso, ovviamente, e da Sileno che secondo la rappresentazione tradizionale era sempre grasso e ubriaco (il satiro è troppo vecchio per darsi all'amore, che classicamente è proprio dei giovani, quindi si consola con l'alcool). L'inno alla gioia di vivere ha il suo contrappunto nel re Mida, il quale al contrario è infelice perché tramuta tutto in oro e la sua avidità è stata punita dal dono di Bacco, anche secondo la visione della poesia cortese per cui chi è nobile d'animo deve rifuggire l'avarizia. L'invito ad essere felici rientra nella visione tipica del carnevale, la festa popolare in cui ci si dimentica delle avversità della vita e ci si abbandona alla gioia e al divertimento, anche se solo per un giorno (talvolta con un rovesciamento dei ruoli, per cui chi normalmente ubbidisce può comandare e viceversa, anche se qui questo aspetto pare del tutto assente).
- Il testo riflette la stessa prospettiva mondana ed umanistica di altre poesie quattrocentesche, a cominciare dalla ballata delle rose di Poliziano (► TESTO: I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino), anche se qui è presente una leggera velatura malinconica dovuta all'incertezza del futuro e forse influenzata dal fatto che l'autore era già malato e alla fine della sua vita: l'invito a godere della giovinezza e a non "pascersi" del domani, poiché il tempo fugge e porta tutto con sé, deriva ovviamente da una lunga tradizione letteraria ed è sufficiente citare solo il carme di Orazio (Carm., I, 11) in cui è presente il richiamo del carpe diem, con la raccomandazione di non credere troppo al giorno che verrà (Dum loquimur, fugerit invida / aetas: carpe diem, quam minimum credula postero: "Mentre parliamo, ecco, il tempo invidioso di noi è già fuggito: approfitta di questo giorno, senza confidare troppo in quello che verrà domani").