Letteratura italiana
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Traiano Boccalini


Gli occhiali di Tacito
(Ragguagli di Parnaso, II, 71)

Dopo il processo a Machiavelli nel "ragguaglio" 89 della prima centuria, qui tocca allo storico latino Tacito doversi difendere di fronte al tribunale di Parnaso, reo di aver fabbricato degli occhiali in grado di far vedere a chi li indossa gli intimi pensieri dei potenti, per cui sono gli stessi sovrani a citarlo in giudizio in quanto le sue opere mettono a serio rischio la stabilità dei loro governi. Questa volta l'accusato viene assolto, con la raccomandazione però di non dare i suoi occhiali a tutti ma solo ai consiglieri dei principi, poiché se finissero sul naso di individui sediziosi ciò potrebbe provocare pericolose rivoluzioni.

► PERCORSO: La Controriforma










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II, 71
Cornelio Tacito, per querela datagli da alcuni prencipi grandi per alcuni occhiali politici fabbricati da lui, pregiudicialissimi [1] al loro governo, essendo stato carcerato, da Apollo vien liberato.

Gran maraviglia al collegio tutto de' letterati ha dato la cattura che la notte passata, di espresso ordine de' signori censori, seguì nella persona di Cornelio Tacito, soggetto tanto insigne in Parnaso, tanto caro ad Apollo, primo consegliere di Stato, cronichista maggiore e maestro delle sentenze di Sua Maestà. Si seppe subito il tutto esser seguito per querela datali [2] da alcuni potentissimi prencipi, i quali grandemente si sono doluti che Tacito con la sediziosa materia de' suoi Annali e delle sue Istorie fabbricava certi occhiali, che perniziosissimi effetti operavano per li prencipi; perché, posti al naso delle persone semplici, di modo assottigliavano loro la vista, che fino dentro le budelle facevano veder gl'intimi e più reconditi pensieri altrui: e quello ch'essi in modo alcuno dicevano di non potere e di non voler sopportare, era che alle genti mostravano la pura essenza e la qualità degli animi de' prencipi, quali essi erano di dentro, non quali con gli artifici necessari per regnare si sforzavano di far parer di fuori. Ieri mattina l'avvocato de' maggiori monarchi che si truovino in questo Stato, comparve avanti gli eccellentissimi signori censori: tra i quali, per riputazione della persona di Tacito che doveva esser giudicato, volle intervenire Apollo ancora. [3]
Questi con esaggerate parole [4] fece saper loro che agl'intendenti tutti delle cose di Stato era noto che per la pace e quiete de' regni i suoi prencipi spesse volte erano forzati far azioni poco lodevoli, le quali, per mantenersi appresso i popoli in quel concetto di prencipi dabbene, nel quale è necessario che sia tenuto chi regna, solevano ricoprir co' preciosi [5] pretesti della santa intenzione e dello sviscerato zelo verso il ben comune: tutti artifici che più non averebbono potuto usare, qualora il vero senso degli animi loro fosse venuto in cognizione di ognuno [6]; e che, se possibil era che i popoli, senza sottoporsi all'altrui imperio, da essi stessi si fossero potuti governare, che i prencipi di buonissimo animo averebbono rinunciato il nome reale e tutta l'autorità del comandare, come quelli che si erano finalmente chiariti che i principati altro non sono che pesi insopportabili, materie piene di tante difficultadi e di tanti pericoli, che in quelle loro laute mense, dagli uomini golosi tanto invidiate, boccone alcuno non gustavano, che loro non puzzasse di arsenico. Ma che, se l'esperienza al mondo tutto aveva fatto conoscere che il governo del genere umano, senza l'intervento di un saggio prencipe che lo regga, tosto si sarebbe empiuto di lacrimevoli confusioni, era anco conveniente che fossero conceduti loro tutti que' giusti mezzi, che per rettamente governar i sudditi loro erano necessari; perché, se per coltivar i campi all'agricoltore non si negava il bue, l'aratro e la zappa, se al sarto per tagliare e cucir i vestimenti si concedeva l'aco e la forfìce, e al fabbro il martello con le tanaglie, per qual cagione alle monarchie toglier si doveva il poter per l'avvenire gettar la polvere negli occhi ai sudditi loro: benefìcio il più prestante, istromento [7] per rettamente governar gl'imperi il più necessario che politico alcuno giammai abbia saputo inventare in tutta la ragione di Stato anco più eccellente? Tutte cose che i prencipi, per cagione della sediziosa invenzione di Tacito, più non averebbono potuto fare: chiara mente vedendosi che i diabolici occhiali fabbricati da quell'uomo sempre sedizioso, oltre il primo, che si era detto, di assottigliar la vista de' popoli, facevano anco il secondo perniziosissimo ef- fetto di cosi bene sigillare al naso degli uomini, che a' prencipi non più, come per lo passato con non minore loro facilità che utilità grande avevano fatto, era possibile poter gettar la polvere negli occhi a' loro sudditi, ancor che ella fosse stata della più artificiosa e della più soprafìna, senza che essi si accorgessero di essere ingannati.
E ad Apollo e al venerando collegio de' censori verissime parvero le querele delle Monarchie, e però degne le stimarono di molto maturamente esser considerate [8]; e, nel lungo discorso che sopra negocio di tanto rilievo [9] fu fatto, parve che l'opinione di quelli prevalesse, che votarono che Tacito co' suoi scandalosi Annali e con le sue sediziose Istorie fosse scacciato dal consorzio degli uomini. Ma Sua Maestà [10], per non invilire il prencipe degl' istorici politici e per non disgustare i galantuomini privandoli delle loro delizie, si contentò che fosse fatto sapere a Tacito: che degl' istromenti di quegli occhiali, ai prencipi veramente perniciosi, meno numero ne fabbricasse che gli fosse stato possibile; e che sopra tutte le cose ben aprisse gli occhi a non ne far parte [11] eccetto che a persone scelte, ai secretari e a' conseglieri de' prencipi (tutto affine che servissero per facilitar loro il buon governo de' popoli); e che sopra tutte le cose, per quanto amava la buona grazia di Sua Maestà, si guardasse di non li comunicar a quei sediziosi, che ne' tempi torbidi per lucentissimi fanali [12] potevano servir a quella semplice razza di uomini, che con facilità grande si governava quando, non avendo la luce delle lettere, si poteva dire che fosse orba e senza la guida.



[1] Assolutamente nocivi.





[2] Per la denuncia sporta contro di lui.







[3] Volle essere presente anche Apollo.
[4] Questi (l'avvocato dei monarchi) con un discorso solenne.
[5] Preziosi, speciosi.

[6] Fosse stato noto a tutti.











[7] Strumento.








[8] Perciò ritennero di doverle esaminare con grande attenzione.
[9] Una questione tanto importante. [10] Apollo.


[11] A non consegnarli.



[12] Come una guida luminosa.


Interpretazione complessiva

  • Strettamente legato al passo in cui è presentato in termini ironici il processo a Machiavelli (I.89), questo "ragguaglio" è dedicato a Tacito la cui opera era generalmente oggetto di ammirazione nel Cinquecento (tanto che si parlava di "tacitismo", l'atteggiamento di chi vedeva negli Annales e nelle Historiae un utile insegnamento per la politica dei governi) e che qui è citato in giudizio dai monarchi che vedono invece nei suoi scritti una grave minaccia alla stabilità dei loro domini. L'accusa è di aver fabbricato speciali "occhiali" che permettono di assottigliare la vista, sino a vedere gli intimi pensieri dei sovrani, che fuor di metafora indica l'insegnamento dell'opera tacitiana che consente di interpretare correttamente le azioni dei potenti, in modo simile all'interpretazione "obliqua" che alcuni proponevano anche per gli scritti di Machiavelli. Nella sua lunga arringa l'avvocato dei monarchi dichiara che il governo dei popoli è impresa ardua e che spesso i sovrani sono "forzati far azioni poco lodevoli", dovendo poi mascherarle dietro pretesti cavillosi che altro non sono che artifici volti a mascherare la realtà della politica, ma tutto ciò sarà impossibile se la verità delle loro azioni sarà nota a tutti attraverso le opere di Tacito, per cui sarebbe come negare agli agricoltori "il bue, l'aratro e la zappa" quali strumenti necessari del loro lavoro. Alla fine Tacito viene liberato da Apollo che gli raccomanda di non dare gli occhiali a tutti, ma solo a "persone scelte" come i consiglieri dei principi, mentre non dovranno assolutamente finire sul naso di uomini "sediziosi" che potrebbero causare una rivoluzione, facendo da guida a chi vive nell'ignoranza (e deve restarci per la sopravvivenza dello Stato). Boccalini ribalta in modo sarcastico il concetto di "tacitismo" tanto diffuso ai suoi tempi e critica ironicamente lo stesso concetto di "ragion di Stato", ovvero la necessità per l'uomo politico di compiere malefatte in nome del bene pubblico, che era stato teorizzato da Machiavelli nel Principe e in gran parte ripreso da Botero nel trattato Della ragion di Stato, sia pure affermando che l'azione del sovrano deve attenersi ai principi etici.
  • La metafora ironica degli occhiali era usata dall'autore anche nel "ragguaglio" dedicato a Machiavelli (► TESTO: Machiavelli in Parnaso), intendendo che le opere del fiorentino insegnavano agli uomini a interpretare le azioni dei potenti, mentre in un passo successivo (II.89) un letterato presenta ad Apollo un'orazione che magnifica le azioni dei principi del mondo moderno e il dio, dopo avergli fatto indossare gli occhiali fabbricati da Tacito, gli fa vedere come in realtà gli uomini siano "pieni d'inganni, di artifici e di macchinazioni", per cui il poeta si rammarica di aver lodato un mondo che gli appare ora nella sua desolante aridità. Boccalini vuole rimarcare il fatto che il potere politico compia raggiri e macchinazioni non già per il bene pubblico ma per la sua stessa sopravvivenza, e secondo lui le opere di scrittori come Tacito e Machiavelli sono utili a decodificare questa realtà, benché egli non proponga alcuna sostanziale alternativa e si limiti a uno sconsolato sarcasmo.

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