Letteratura italiana
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Francesco Guicciardini


Il problema degli eserciti
(Ricordi, 64, 67, 205)

Sulla questione militare Guicciardini parla per esperienza diretta, avendo avuto in almeno due occasioni la responsabilità di guidare delle soldatesche, e le sue considerazioni sono assai diverse da quelle di Machiavelli specie riguardo alle artiglierie, da lui considerate determinanti nelle guerre moderne. Quanto al paragone con le milizie del mondo antico, di Roma soprattutto, egli ritiene l'accostamento impossibile, in particolare per l'evoluzione delle tecniche militari che ha ormai mutato profondamente le competenze che devono avere i capitani del suo tempo.

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Francesco Guicciardini



64
Innanzi al 1494 [1] erano le guerre lunghe, le giornate non sanguinose, e modi dello espugnare terre, lenti e difficili; e se bene erano già in uso le artiglierie, si maneggiavano con sì poca attitudine che non offendevano molto; in modo che chi aveva uno stato era quasi impossibile lo perdessi. Vennono e Franzesi in Italia e introdussono nelle guerre tanta vivezza [2], in modo che insino al '21, perduta la campagna, era perduto lo stato. Primo el signor Prospero [3], cacciandosi a difesa di Milano, insegnò frustrare gli impeti degli eserciti, in modo che da questo esemplo è tornata a chi è padrone degli stati la medesima sicurtà che era innanzi al '94, ma per diverse ragione: procedeva allora da non avere bene gli uomini l'arte dell'offendere, ora procede dall'avere bene l'arte del difendere.

67
Non è faccenda, o amministrazione del mondo nella quale bisogni più virtù che in uno capitano di eserciti, sì [4] per la importanza del caso, come perché bisogna che pensi e ponga ordine a infinite cose e variissime; in modo è necessario e prevegga [5] assai da discosto e sappia riparare subito.

205
Io sono stato dua volte [6] con grandissima autorità negli eserciti in su imprese importantissime, ed in effetto n'ho cavato questo construtto [7], che se sono vere, come in gran parte io credo, le cose che si scrivono della milizia antica, questa a comparazione di quella è una ombra. Non hanno e' capitani moderni virtú, non hanno industria; procedesi sanza arte, sanza stratagemmi, come camminare a lento passo per una strada maestra; in modo che non fuora di proposito io dissi al signor Prospero Colonna capitano della prima impresa, che mi diceva che io non ero stato piú in guerra alcuna, che mi doleva anche in questa non avere imparato niente.

[1] Prima della discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia.

[2] Un tale impeto, tali innovazioni
.
[3] Prospero Colonna, capitano di ventura del Cinquecento, capeggiò le forze del papa e dell'imperatore contro i Francesi alla Bicocca (1522).



[4] Sia.
[5] In modo tale che è necessario sappia prevedere.


[6] Nel 1521, quando difese Parma da Francesco I, e nel 1526, quando fu luogotenente generale del papa contro Carlo V. [7] Questa considerazione.


Interpretazione complessiva

  • Guicciardini parla della questione delle milizie con una certa competenza, avendo lui comandato eserciti in due occasioni definite "importantissime" (nel 1521 e nel 1526, all'epoca della Lega di Cognac finita in modo inglorioso), per cui si rende conto dell'importanza delle artiglierie che hanno rivoluzionato il modo di combattere le guerre moderne, almeno a partire dal fatidico 1494 quando re Carlo VIII scese in Italia e segnò l'inizio del declino degli Stati italiani, tesi sostenuta anche nella Storia d'Italia. Guicciardini indica anche l'opera del capitano Prospero Colonna come decisiva nel trovare le giuste contromisure per la difesa contro le nuove armi, durante la battaglia della Bicocca del 1521 in cui venne difesa con successo la città di Milano. Sotto questo aspetto l'autore si mostra molto più consapevole di Machiavelli circa l'evoluzione delle guerre in ambito moderno, pensiero condiviso (per altre ragioni) anche da Ludovico Ariosto; ► SCHEDA: Armi da fuoco e cavalleria; TESTO: L'importanza delle artiglierie.
  • Guicciardini esalta il ruolo delicatissimo che i capitani di eserciti rivestono nel mondo contemporaneo, da lui stesso sperimentato in prima persona in almeno due occasioni, e ciò lo spinge a fare un raffronto tra la "milizia antica" e quella moderna, concludendo che gli eserciti del Cinquecento sono assai meno efficienti di quelli del passato: l'osservazione non vuol essere un rimpianto dell'abilità dei condottieri antichi o una celebrazione del modo di fare la guerra dei Romani (secondo il modello di Machiavelli), bensì procede dalla consapevolezza che nel XVI sec. combattere è un'operazione assai più complessa per l'evoluzione delle tecniche militari, per cui qualunque paragone tra presente e passato risulta fuorviante e poco utile per vincere le battaglie. Anche in questo Guicciardini prende le distanze dal suo amico Machiavelli, il quale era troppo legato al modello politico-militare di Roma antica che, invece, è inapplicabile al mondo contemporaneo.



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