Ludovico Ariosto
L'amore di Angelica e Medoro
(Orlando furioso, XIX, 17-42)
Angelica capita del tutto casualmente sul luogo dove è avvenuta la battaglia tra gli uomini di Zerbino e Cloridano e Medoro, trovando il giovane saraceno ancora in vita e ferito gravemente: decide di soccorrerlo e grazie alle arti mediche in suo possesso inizia a curarlo, aiutata poi da un pastore che conduce entrambi alla sua fattoria. Nei giorni seguenti Angelica si innamora perdutamente del giovane fante e, venendo ricambiata, decide di sposarlo e di partire con lui per il Catai, senza curarsi del fatto che Medoro sia un personaggio di umili origini: i due si dirigono verso la Spagna in procinto di imbarcarsi, quando sul lido di Tarragona fanno un incontro a dir poco inaspettato. Il brano è di importanza essenziale poiché costituisce la premessa della successiva follia di Orlando, che scoprirà la relazione tra la donna che ama e Medoro, mentre è interessante la trasformazione di Angelica che da donna astuta e calcolatrice diventa una giovane innamorata e fedele, segno che l'amore può tramutare in meglio le persone.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso
17
Gli sopravenne a caso una donzella, avolta in pastorale ed umil veste, ma di real presenza e in viso bella, d'alte maniere e accortamente oneste. Tanto è ch'io non ne dissi più novella, ch'a pena riconoscer la dovreste: questa, se non sapete, Angelica era, del gran Can del Catai la figlia altiera. 18 Poi che 'l suo annello Angelica riebbe, di che Brunel l'avea tenuta priva, in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe, ch'esser parea di tutto 'l mondo schiva. Se ne va sola, e non si degnerebbe compagno aver qual più famoso viva: si sdegna a rimembrar che già suo amante abbia Orlando nomato, o Sacripante. 19 E sopra ogn'altro error via più pentita era del ben che già a Rinaldo volse, troppo parendole essersi avilita, ch'a riguardar sì basso gli occhi volse. Tant'arroganza avendo Amor sentita, più lungamente comportar non volse: dove giacea Medor, si pose al varco, e l'aspettò, posto lo strale all'arco. 20 Quando Angelica vide il giovinetto languir ferito, assai vicino a morte, che del suo re che giacea senza tetto, più che del proprio mal si dolea forte; insolita pietade in mezzo al petto si sentì entrar per disusate porte, che le fe' il duro cor tenero e molle, e più, quando il suo caso egli narrolle. 21 E rivocando alla memoria l'arte ch'in India imparò già di chirugia (che par che questo studio in quella parte nobile e degno e di gran laude sia; e senza molto rivoltar di carte, che 'l patre ai figli ereditario il dia), si dispose operar con succo d'erbe, ch'a più matura vita lo riserbe. 22 E ricordossi che passando avea veduta un'erba in una piaggia amena; fosse dittamo, o fosse panacea, o non so qual, di tal effetto piena, che stagna il sangue, e de la piaga rea leva ogni spasmo e perigliosa pena. La trovò non lontana, e quella colta, dove lasciato avea Medor, diè volta. 23 Nel ritornar s'incontra in un pastore ch'a cavallo pel bosco ne veniva, cercando una iuvenca, che già fuore duo dì di mandra e senza guardia giva. Seco lo trasse ove perdea il vigore Medor col sangue che del petto usciva; e già n'avea di tanto il terren tinto, ch'era omai presso a rimanere estinto. 24 Del palafreno Angelica giù scese, e scendere il pastor seco fece anche. Pestò con sassi l'erba, indi la prese, e succo ne cavò fra le man bianche; ne la piaga n'infuse, e ne distese e pel petto e pel ventre e fin a l'anche: e fu di tal virtù questo liquore, che stagnò il sangue, e gli tornò il vigore; 25 e gli diè forza, che poté salire sopra il cavallo che 'l pastor condusse. Non però volse indi Medor partire prima ch'in terra il suo signor non fusse. E Cloridan col re fe' sepelire; e poi dove a lei piacque si ridusse. Ed ella per pietà ne l'umil case del cortese pastor seco rimase. 26 Né fin che nol tornasse in sanitade, volea partir: così di lui fe' stima, tanto se intenerì de la pietade che n'ebbe, come in terra il vide prima. Poi vistone i costumi e la beltade, roder si sentì il cor d'ascosa lima; roder si sentì il core, e a poco a poco tutto infiammato d'amoroso fuoco. 27 Stava il pastore in assai buona e bella stanza, nel bosco infra duo monti piatta, con la moglie e coi figli; ed avea quella tutta di nuovo e poco inanzi fatta. Quivi a Medoro fu per la donzella la piaga in breve a sanità ritratta: ma in minor tempo si sentì maggiore piaga di questa avere ella nel core. 28 Assai più larga piaga e più profonda nel cor sentì da non veduto strale, che da' begli occhi e da la testa bionda di Medoro aventò l'Arcier c'ha l'ale. Arder si sente, e sempre il fuoco abonda; e più cura l'altrui che 'l proprio male: di sé non cura, e non è ad altro intenta, ch'a risanar chi lei fere e tormenta. 29 La sua piaga più s'apre e più incrudisce, quanto più l'altra si ristringe e salda. Il giovine si sana: ella languisce di nuova febbre, or agghiacciata, or calda. Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce: la misera si strugge, come falda strugger di nieve intempestiva suole, ch'in loco aprico abbia scoperta il sole. 30 Se di disio non vuol morir, bisogna che senza indugio ella se stessa aiti: e ben le par che di quel ch'essa agogna, non sia tempo aspettar ch'altri la 'nviti. Dunque, rotto ogni freno di vergogna, la lingua ebbe non men che gli occhi arditi: e di quel colpo domandò mercede, che, forse non sapendo, esso le diede. 31 O conte Orlando, o re di Circassia, vostra inclita virtù, dite, che giova? Vostro alto onor dite in che prezzo sia, o che mercé vostro servir ritruova. Mostratemi una sola cortesia che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova, per ricompensa e guidardone e merto di quanto avete già per lei sofferto. 32 Oh se potessi ritornar mai vivo, quanto ti parria duro, o re Agricane! che già mostrò costei sì averti a schivo con repulse crudeli ed inumane. O Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo, ch'avete fatto mille pruove vane per questa ingrata, quanto aspro vi fôra, s'a costu' in braccio voi la vedesse ora! 33 Angelica a Medor la prima rosa coglier lasciò, non ancor tocca inante: né persona fu mai sì aventurosa, ch'in quel giardin potesse por le piante. Per adombrar, per onestar la cosa, si celebrò con cerimonie sante il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore, e pronuba la moglie del pastore. 34 Fersi le nozze sotto all'umil tetto le più solenni che vi potean farsi; e più d'un mese poi stero a diletto i duo tranquilli amanti a ricrearsi. Più lunge non vedea del giovinetto la donna, né di lui potea saziarsi; né, per mai sempre pendergli dal collo, il suo disir sentia di lui satollo. 35 Se stava all'ombra o se del tetto usciva, avea dì e notte il bel giovine a lato: matino e sera or questa or quella riva cercando andava, o qualche verde prato: nel mezzo giorno un antro li copriva, forse non men di quel commodo e grato, ch'ebber, fuggendo l'acque, Enea e Dido, de' lor secreti testimonio fido. 36 Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto vedesse ombrare o fonte o rivo puro, v'avea spillo o coltel subito fitto; così, se v'era alcun sasso men duro: ed era fuori in mille luoghi scritto, e così in casa in altritanti il muro, Angelica e Medoro, in vari modi legati insieme di diversi nodi. 37 Poi che le parve aver fatto soggiorno quivi più ch'a bastanza, fe' disegno di fare in India del Catai ritorno, e Medor coronar del suo bel regno. Portava al braccio un cerchio d'oro, adorno di ricche gemme, in testimonio e segno del ben che 'l conte Orlando le volea; e portato gran tempo ve l'avea. 38 Quel donò già Morgana a Ziliante, nel tempo che nel lago ascoso il tenne; ed esso, poi ch'al padre Monodante, per opra e per virtù d'Orlando venne, lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante, di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne, avendo disegnato di donarlo alla regina sua di ch'io vi parlo. 39 Non per amor del paladino, quanto perch'era ricco e d'artificio egregio, caro avuto l'avea la donna tanto, che più non si può aver cosa di pregio. Se lo serbò ne l'Isola del pianto, non so già dirvi con che privilegio, là dove esposta al marin mostro nuda fu da la gente inospitale e cruda. 40 Quivi non si trovando altra mercede ch'al buon pastor ed alla moglie dessi, che serviti gli avea con sì gran fede dal dì che nel suo albergo si fur messi, levò dal braccio il cerchio e gli lo diede, e volse per suo amor che lo tenessi. Indi saliron verso la montagna che divide la Francia da la Spagna. 41 Dentro a Valenza o dentro a Barcellona per qualche giorno avea pensato porsi, fin che accadesse alcuna nave buona che per Levante apparecchiasse a sciorsi. Videro il mar scoprir sotto a Girona ne lo smontar giù dei montani dorsi; e costeggiando a man sinistra il lito, a Barcellona andar pel camin trito. 42 Ma non vi giunser prima, ch'un uom pazzo giacer trovato in su l'estreme arene, che, come porco, di loto e di guazzo tutto era brutto e volto e petto e schene. Costui si scagliò lor come cagnazzo ch'assalir forestier subito viene; e diè lor noia, e fu per far lor scorno. Ma di Marfisa a ricontarvi torno. |
Per caso sopraggiunse una fanciulla, avvolta in una veste umile e pastorale, ma con atteggiamento regale e bella in viso, di maniere nobili e altamente dignitose. È talmente tanto che non ne parlo più, che la dovreste a malapena riconoscere: questa, se non lo sapete, era Angelica, la figlia altera del gran re del Catai. Dopo che Angelica aveva recuperato il suo anello che le era stato rubato da Brunello, divenne così altera e orgogliosa che sembrava avesse in disdegno il mondo intero. Se ne va da sola e non si degnerebbe di avere per compagno neppure l'uomo più famoso: si sdegna a ricordare che abbia chiamato Orlando o Sacripante come suo amante. E più di ogni altra cosa si pente di aver voluto bene a Rinaldo, sembrandole di essersi umiliata troppo, poiché volse gli occhi a guardare così in basso. Amore, avendo sentito una tale arroganza, non volle sopportarla oltre: si appostò là dove giaceva Medoro e aspettò Angelica, dopo aver incoccato la freccia nell'arco. Quando Angelica vide il ragazzo languire ferito, molto vicino alla morte e che si rammaricava fortemente del fatto che il suo re giaceva insepolto, assai più che del proprio male, lei si sentì entrare un'insolita pietà nel petto da porte da lei non usate, che le intenerì e ammorbidì il cuore duro, ancor più quando lui le narrò la sua storia. E riportando alla memoria l'arte medica che aveva imparato in India (infatti sembra che questo studio laggiù sia nobile, degno e assai lodato, e senza spendere troppo parole pare che si erediti di padre in figlio), decise di curarlo con un succo d'erbe, per far sì che potesse vivere a lungo. E si ricordò che passando aveva visto in una bella radura un'erba, forse dittamo o forse panacea o non so quale, dotata dell'effetto di far fermare il sangue e di levare ogni spasimo e dolore da una grave ferita. La trovò non lontano da lì e, dopo averla raccolta, si precipitò dove aveva lasciato Medoro. Mentre tornava incontrò un pastore che attraversava il bosco a cavallo, cercando una giovenca che già da due giorni aveva lasciato la mandria e andava senza scorta. Lo portò con sé dove Medoro perdeva forze insieme al sangue che colava dal petto; e con esso aveva a tal punto bagnato il terreno che ormai era vicino alla morte. Angelica smontò da cavallo e fece scendere anche il pastore. Pestò l'erba con sassi e poi la prese, ricavandone un succo con le mani bianche; la infuse nella ferita e la spalmò anche sul petto, sul ventre e persino sui fianchi: e questo liquido fu di tale potere, che fermò il sangue e a Medoro tornarono le forze. Gli diede forza, al punto che Medoro poté salire sul cavallo portato dal pastore. Medoro però non volle andarsene da lì prima di aver sepolto il suo re. Fece seppellire insieme a lui anche Cloridano e poi accettò di seguire Angelica dove lei volesse. Lei per pietà di lui rimase nell'umile dimora del pastore. E non voleva partire prima che lui guarisse: così lo stimava e a tal punto la intenerì la pietà che sentiva per lui, da quando lo aveva visto a terra. Poi, dopo aver visto gli atteggiamenti e la bellezza di Medoro, sentì il cuore consumato da una lima nascosta; sentì il cuore consumato e, poco a poco, acceso tutto dal fuoco della passione. Il pastore abitava in una bella fattoria, stretta nel bosco tra due monti, con la moglie e i figli; e aveva costruito quella casa nuova da poco tempo. Qui la ferita di Medoro fu in poco tempo guarita dalla fanciulla, ma lei in un tempo più breve sentì di avere una ferita più profonda nel cuore. Angelica sentì nel cuore una piaga più larga e più profonda causata da una freccia invisibile, che l'arciere alato [Amore] le scagliò attraverso i begli occhi e la testa bionda di Medoro. Lei si sente bruciare e il fuoco è sempre vivo: e si cura più del male del giovane che del proprio: non si cura di se stessa e non è attenta ad altro ne non a curare chi la ferisce e la tormenta [d'amore]. La sua ferita si apre e si aggrava tanto più, quanto più l'altra guarisce e si salda. Il giovane guarisce, lei soffre per una nuova febbre, ora fredda, ora accaldata. In lui la beltà rifiorisce di giorno in giorno: la povera Angelica si strugge, come una falda di neve fuori stagione si scioglie quando il sole l'abbia sorpresa in un luogo assolato. Se non vuole morire di desiderio, bisogna che aiuti se stessa senza esitare; e le sembra che non debba aspettare che altri la inviti a godere di quello che lei desidera. Dunque, abbandonata ogni ritrosia, ebbe la lingua non meno ardita degli occhi: e chiese a Medoro pietà di quella ferita [amorosa] che lui, forse senza saperlo, le aveva inferta. O conte Orlando, o re di Circassia [Sacripante], ditemi, a cosa serve la vostra nobile virtù? Ditemi qual è il valore del vostro alto onore, o che ricompensa ottiene il vostro servizio ad Angelica. Mostratemi un solo atto cortese che costei vi abbia mai usato, o in passato o più di recente, come compenso o riconoscimento di quanto avete sofferto per lei. Oh, se tu potessi tornare in vita, o re Agricane, quanto tutto ciò ti sembrerebbe crudele! Infatti costei mostrò di non volerti, con un rifiuto crudele e inumano. O Ferraù, o mille altri che non cito, che avete compiuto mille imprese inutili per questa donna ingrata, quanto duro per voi sarebbe se la vedeste ora in braccio a costui [Medoro]! Angelica lasciò che Medoro cogliesse la sua prima rosa [la verginità], non ancora toccata da nessuno: e nessuno era stato così fortunato da potersi avventurare in quel giardino [da aver potuto sfiorarla]. Per coprire e rendere legittima la cosa, si celebrò un matrimonio con una santa cerimonia, che ebbe come auspice l'Amore e come testimone la moglie del pastore. Le nozze furono celebrate sotto l'umile tetto e furono le più solenni possibile; e poi i due tranquilli amanti rimasero lì più di un mese piacevolmente a dilettarsi. La donna non vedeva più in là del giovane e non riusciva a saziarsi di lui: e non sentiva soddisfatto il suo desiderio di lui, anche se era sempre abbracciata al suo collo. Se Angelica stava in casa oppure ne usciva, aveva giorno e notte il bel giovane al suo fianco: mattina e sera lei andava cercando un fiume, o qualche verde prato: nel pomeriggio si riparavano in una grotta, forse non meno comoda di quella che Enea e Didone trovarono fuggendo il temporale, fidata complice dei loro segreti. Fra tanti piaceri, ovunque Angelica vedesse un albero dritto che faceva ombra a un puro ruscello o a una fonte, lo incideva subito con uno spillone o un coltello; così faceva anche se c'era un sasso morbido: e lì intorno erano scritti in mille posti i nomi di Angelica e Medoro e in altrettanti posti il muro in casa, legati insieme da diversi nodi. Quando ad Angelica sembrò di aver soggiornato abbastanza tempo in quei luoghi, decise di tornare in India, nel Catai, e di rendere Medoro sovrano del suo bel regno. Lei portava al braccio un bracciale d'oro, ornato di ricche gemme, come testimonianza e segno dell'amore che il conte Orlando provava per lei; e lo portava ormai da parecchio tempo. Un tempo Morgana donò tale bracciale a Ziliante, nel tempo in cui lo tenne nascosto nel lago; e dopo che Morgana era tornata al padre Monodante per opera e valore di Orlando, diede il bracciale al paladino: Orlando, che amava Angelica, accettò di tenerlo al braccio, avendo deciso di donarlo alla sua regina di cui ora vi parlo. La donna l'aveva avuto caro non per amore del paladino, ma perché era prezioso e di egregia fattura, al punto che non si può avere più cura di un oggetto pregiato. Lei lo serbò nell'isola di Ebuda, non saprei dirvi per quale privilegio, là dove venne esposta nuda al mostro marino [l'orca] dalla gente crudele e inospitale. Qui, non trovando altra ricompensa da offrire al buon pastore e alla moglie, che li avevano serviti con tale fedeltà dal giorno che li aveva ospitati in casa sua, si tolse il bracciale e glielo donò, e volle che lo tenesse per amor suo. Poi salirono verso le montagne che dividono Francia e Spagna [i Pirenei]. Angelica aveva pensato di soggiornare qualche giorno a Valenza o a Barcellona, finché arrivasse una nave pronta a salpare per l'Oriente. Mentre scendevano dalle montagne videro aprirsi il mare sotto a Girona; e costeggiando la costa a sinistra, andarono verso Barcellona lungo il cammino consueto. Ma non vi arrivarono prima di trovare un uomo pazzo, sdraiato sulla spiaggia e che, simile a un maiale, era tutto sporco di fango e acqua sudicia, sul volto, sul petto e sulla schiena. Costui si scagliò contro di loro come un cane arrabbiato che assale subito uno straniero; e diede loro noia e fu sul punto di danneggiarli. Ma ora riprendo a raccontarvi di Marfisa. |
Interpretazione complessiva
- L'episodio è la continuazione di quello di Cloridano e Medoro, conclusosi con l'uccisione del primo e il ferimento mortale del secondo ad opera del guerriero di Zerbino, fuggito e inseguito dal suo comandante: tutti credono che il giovane fante saraceno sia morto, invece è ancora vivo ed è soccorso da Angelica, capitata lì in seguito ad uno dei frequenti colpi di scena del poema (► TESTO: Cloridano e Medoro). La principessa del Catai riappare nella trama dopo aver sventato l'inganno del palazzo di Atlante ed essersi riappropriata del suo anello magico (XII), col quale pensa di tornare in Oriente, ma cade nella trappola di Amore che la fa innamorare del giovane saraceno, per vendicarsi del disdegno da lei mostrato finora nei suoi confronti (Angelica si è sempre dimostrata donna astuta e calcolatrice, pronta a servirsi della sua bellezza per irretire gli uomini a suo vantaggio). L'amore per Medoro la riscatta parzialmente e opera su di lei una trasformazione, poiché la donna non solo si concede a Medoro ma accetta addirittura di sposarlo senza riguardo alla sua umile condizione, col proposito di portarlo con sé nel Catai e incoronarlo del proprio regno.
- L'innamoramento di Angelica è narrato con la consueta simbologia della freccia amorosa che la colpisce al cuore e le produce una ferita che non si rimargina, a differenza di quella fisica di Medoro che invece è lei stessa a guarire: l'autore attribuisce alla donna pratiche mediche e chirurgiche che avrebbe appreso in Oriente e grazie alle quali produce una specie di decotto curativo con erbe officinali (il dittamo e la panacea, già citate negli erbari medievali), mentre è già apparsa spesso nelle vesti di incantatrice e maga anche nell'Innamorato. L'amore trasforma radicalmente Angelica, dato che è lei stessa a dichiararsi a Medoro per porre fine alle sue sofferenze sentimentali e lascia che il giovane colga la sua verginità, sino a quel momento gelosamente protetta dalle insidie di uomini ben più nobili come Orlando e il re Sacripante, irrisi dall'autore nel passo.
- I luoghi dove si consuma l'amore di Angelica e Medoro sono gli stessi dove Orlando capiterà casualmente nel canto XXIII e dove il paladino non tarderà ad apprendere della loro relazione, fatto centrale nel poema in quanto causerà la sua follia: qui si spiega che Angelica incide la corteccia degli alberi coi nomi di lei e Medoro, scritte che saranno poi lette da Orlando, mentre l'"antro" citato all'ott. 35 è la grotta alla cui entrata Medoro scolpirà un "epigramma" amoroso, anch'esso letto da Orlando nel successivo episodio (► TESTO: La follia di Orlando). Il pastore che invece ospita i due amanti e nella cui casa vengono celebrate le nozze è lo stesso che narrerà il fatto a Orlando togliendogli ogni dubbio, specie quando gli mostrerà il bracciale d'oro che Angelica gli ha donato come ricompensa e che era a sua volta un pegno amoroso del paladino: Ariosto sottolinea il fatto che Angelica lo ha tenuto con sé solo perché è un oggetto prezioso e di bella fattura, non certo per amore di Orlando, e infatti non esita un solo istante a donarlo al pastore senza riguardo per l'uomo che gliel'aveva regalato. La storia del gioiello raccontata da Ariosto si rifà all'Innamorato di Boiardo, dove nel libro II si parla della vicenda di Morgana e Ziliante.
- L'"uom pazzo" con cui Angelica e Medoro hanno un incontro imprevisto sulla spiaggia lungo la costa spagnola non è altri che Orlando, fuori di senno dopo aver appreso della loro relazione a casa del pastore: la cosa verrà spiegata solo nel canto XXIX, quando l'autore, dopo aver a lungo descritto le follie di Orlando in giro per il mondo, racconta che sul lido di Tarragona si imbatte casualmente nei due amanti (che non lo riconoscono, a tal punto è abbrutito) e tenta senza successo di catturare Angelica, che riuscirà a sfuggirgli grazie all'anello incantato (► TESTO: Orlando e Angelica a Tarragona). L'episodio è un buon esempio della tecnica dell'intreccio usata dall'autore, con una anticipazione che verrà svelata solo molto più tardi con un classico colpo di scena.