Giovanni Boccaccio (Certaldo, 1313 - ivi, 1375) è stato il principale narratore della letteratura volgare delle Origini, nonché uno dei principali scrittori in prosa di tutta la nostra tradizione. Il suo nome è legato in modo indissolubile al capolavoro Decameron, la prima compiuta opera di novellistica della prosa trecentesca, tuttavia i suoi scritti comprendono anche poemi epici, opere in versi e trattati di argomento erudito e didascalico. Amico di Petrarca e seguace anch'egli di idee pre-umanistiche, Boccaccio è scrittore moderno che guarda ai valori laici della vita, benché non sia esente da scrupoli religiosi e paure proprie della cultura del suo tempo. Appassionato cultore di Dante, a lui si deve il Trattatello in laude del grande poeta in cui usa l'aggettivo "Divina" per la Commedia, di cui curò anche un'edizione manoscritta, leggendo pubblicamente alcuni canti dell'Inferno. L'influenza della sua opera sulla prosa narrativa italiana è stata grandissima e l'aggettivo "boccaccesco" è diventato sinonimo di provocatorio e dissacrante, forse al di là delle intenzioni dell'autore.
Biografia
La nascita e la formazione
Boccaccio nacque a Firenze (o forse a Certaldo) tra giugno e luglio del 1313, figlio illegittimo del ricco mercante Boccaccino di Chelino che lo riconobbe e lo accolse in casa, facendogli compiere i primi studi; l'uomo lavorava per il banchiere Bardi, finanziatore della corte angioina di Napoli, e si aspettava probabilmente che Giovanni seguisse le sue orme, anche se il giovane Boccaccio ebbe una formazione culturale completa (apprese il latino, mentre del greco ebbe sempre una conoscenza approssimativa) e lesse soprattutto Dante, per il quale maturò un culto che avrebbe mantenuto per tutta la vita. Fondamentalmente Boccaccio è un autodidatta e manifesta fin dai primi anni una decisa propensione per la letteratura, che lo porterà in seguito a crearsi una sua biografia "ideale" con molti elementi leggendari, tra cui quello di una sua nascita a Parigi e delle sue origini nobili, rilanciati soprattutto nel periodo vissuto a Napoli (sul punto di veda oltre). La prima infanzia di Giovanni si svolge comunque in una Firenze dominata dagli interessi mercantili e l'ambiente borghese in cui cresce influenzerà profondamente tutto il suo pensiero e la sua visione della vita e del mondo, sia pure subendo il fascino di quella società nobile che frequenterà soprattutto a Napoli e che sempre rimpiangerà (questi due elementi, della società borghese e di quella aristocratica, finiranno per fondersi in molte sue opere e Boccaccio proporrà l'integrazione di questi due strati sociali, intuendo in parte i successivi sviluppi della società "alta" della Toscana di fine Trecento).
La gioventù a Napoli
Nel 1327 il padre di Boccaccio si trasferisce a Napoli per seguire i propri affari e quelli dei Bardi nel finanziamento alla corte angioina, seguito da Giovanni che inizia a lavorare nella "filiale" della banca ed entra così in contatto con un gran numero di persone di svariata provenienza sociale, esperienza che lo influenzerà molto nella sua visione "mercantile" del mondo; al tempo stesso comincia a frequentare l'ambiente della corte angioina, dove è ben accolto e si occupa prevalentemente di letteratura (scrive le prime opere in volgare e in latino, inoltre consulta spesso la biblioteca reale). Alla corte Boccaccio si appassiona a quel mondo cortese che poi farà da sfondo a varie sue opere e novelle del Decameron, mentre vive i primi amori e alimenta la leggenda di una sua relazione con Fiammetta, senhal di una figlia di re Roberto d'Angiò: da un lato è evidente la sua volontà di rifarsi allo Stilnovo e in generale ai dettami della lirica cortese, per quanto la sua vera vocazione sia la narrativa e non la poesia, dall'altro è chiaro che il tema amoroso diventa quello centrale della sua attività letteraria e il nome Fiammetta ricorrerà spesso nei suoi scritti, fino al Decameron dove una delle novellatrici porta proprio questo nome. A Napoli Boccaccio scrive alcune opere volgari di una certa importanza, tra cui soprattutto il Filocolo, e si trattiene in città sino al 1341, quando finisce la collaborazione del padre coi Bardi e avviene il ritorno a Firenze, anche se Giovanni rimpiangerà sempre la corte angioina e farà vari tentativi per ritornarvi (tutti andati a vuoto).
Il ritorno a Firenze e la peste. Il Decameron e l'attività politica
A Firenze Boccaccio si ritrova in un ambiente mercantile e comunale in parte diverso da quello napoletano, tuttavia lo scrittore si inserisce nella vita politica della città e otterrà alcuni incarichi prestigiosi, mentre non abbandona la letteratura e compone alcune opere significative, tra cui specialmente l'Elegia di Madonna Fiammetta. È in città durante la peste del 1348 e tale drammatica esperienza ispirerà la composizione del Decameron, l'assoluto capolavoro dell'autore che individua nell'epidemia e nel flagello la "cornice" giustificativa delle novelle. Nel 1350 conosce Petrarca, di passaggio a Firenze mentre è diretto a Roma per il Giubileo, e tra i due nasce un rapporto che durerà anni e che influenzerà profondamente Boccaccio: Petrarca, più anziano e famoso di lui, viene visto come un maestro e il suo esempio ispirerà a Boccaccio la composizione di alcune opere erudite in latino, inoltre il Comune incarica Boccaccio di invitare Petrarca a tenere corsi presso lo Studio cittadino, ma il grande poeta non accetterà (il rapporto con Petrarca favorirà forse in lui quella "conversione" religiosa che caratterizzerà gli ultimi anni della sua vita, portandolo a nutrire molte remore morali e a pensare addirittura di bruciare il Decameron). Nel 1354 svolge una missione diplomatica per conto del Comune ad Avignone, per convincere papa Innocenzo VI a rientrare a Roma (senza esito), tuttavia il papa gli concederà più avanti i benefici ecclesiastici che gli garantiranno una certa sicurezza economica. Sono gli anni in cui si dedica alla scrittura di opere erudite e tra queste spicca il Trattatello in laude di Dante, prima biografia "ufficiale" del grande poeta che contiene molti degli elementi leggendari sulla sua vita, poi accettati tradizionalmente.
Il ritiro a Certaldo e gli ultimi anni
Tra il 1360 e il 1361 a Firenze avviene un fallito tentativo di colpo di stato contro il Comune, in cui erano coinvolti vari amici di Boccaccio, per cui i sospetti ricadono anche su di lui (pare però che fosse estraneo) e viene perciò estromesso dalla vita politica della città, essendo costretto a ritirarsi a Certaldo. Gli ultimi anni sono segnati da un progressivo aggravarsi del suo stato di salute (soffriva, pare, di scabbia o forse di diabete), mentre lavora ad opere erudite in latino tra cui rientra la Genealogia deorum gentilium sulla mitologia pagana e incontra alcune volte Petrarca, anche durante un viaggio a Venezia. Nel 1365 il bando contro di lui viene revocato e Boccaccio può tornare a lavorare per il Comune fiorentino, anche se i suoi interessi sono ormai prevalentemente letterari e segnati da una visione pessimistica e misogina, che ispira anche la composizione del Corbaccio; compie alcuni viaggi a Napoli, dove tra l'altro incontra anche la regina Giovanna che gli riserva una calorosa accoglienza, inoltre cura un'edizione manoscritta della Commedia e di altri testi danteschi, cui premette il Trattatello. Sempre al poema di Dante dedica la lettura pubblica dell'Inferno, iniziata il 23 ottobre 1373 nella chiesa di S. Stefano in Badia e interrotta al canto XVII, per l'aggravarsi delle sue condizioni fisiche. La notizia della morte di Petrarca (1374) lo colpisce profondamente e negli ultimi tempi si ritira in modo definitivo a Certaldo, dove lavora alacremente alle sue ultime opere erudite; a Certaldo muore il 21 dicembre 1375, venendo sepolto in quella città dove si trova tuttora la sua tomba.
L'orizzonte culturale e la visione del mondo
Boccaccio è uomo del Trecento e in quanto tale condivide ancora la mentalità propria del mondo medievale, anche se in lui appaiono già i segnali di quella svolta umanistica che sarebbe maturata nel secolo successivo e che ebbe Petrarca tra i grandi precursori, la cui amicizia con il narratore contribuì a influenzarne il pensiero: significativo da questo punto di vista il rapporto con la cultura classica, che in Boccaccio si fonda su una matura conoscenza del latino (a differenza di Dante, anche se entrambi non conoscono il greco) e sulla piena comprensione del significato delle opere pagane, senza quella lettura in chiave cristiana che invece era presente nel secolo precedente (lo stesso vale ovviamente per Petrarca). Diversa anche la visione che Boccaccio ha della società contemporanea, di cui coglie la trasformazione in atto in senso "borghese" e nella quale rivaluta la figura del mercante, prima condannato in senso morale dalla Chiesa (in questo senso il mondo mercantile è criticato anche nella Commedia) e ora invece visto come attore positivo del tessuto sociale, produttore di ricchezza e degno perciò di ampia considerazione. Collegato a questo aspetto vi è anche il parziale superamento di determinate considerazioni morali, poiché il mercante viene esaltato anche quando mente o inganna pur di procacciarsi il proprio guadagno e questo pensiero "laico" di Boccaccio è uno dei caratteri innovatori della sua letteratura, unitamente alla celebrazione dell'arte della parola e del linguaggio anche quando hanno come fine la creazione di beffe o inganni al prossimo.
Nuova e moderna è poi la visione che Boccaccio ha dell'amore e dei suoi risvolti sensuali, per cui se da un lato le sue prime opere risentono molto della tradizione cortese e stilnovistica, dall'altro esse esprimono una decisa rivalutazione dell'eros e dell'amore fisico, non più condannato moralmente e, anzi, esaltato come qualcosa di assolutamente naturale e insopprimibile, anche fra i membri del clero rispetto ai quali è ipocrita pensare che si attengano al celibato ecclesiastico (tutto ciò emerge soprattutto nel Decameron). Legata in parte a questo è anche la polemica anti-ecclesiastica, che riguarda specialmente la corruzione della corte papale, anche se il tema è meno toccato rispetto a Petrarca, e soprattutto il commercio di false reliquie, lo sfruttamento economico del culto popolare dei santi, in generale l'ipocrisia dei religiosi (anche questo è un segno della novità di Boccaccio, che si discosta da Dante che criticava sì la Chiesa, ma non metteva certo in dubbio la validità generale delle sue norme morali). Questo atteggiamento "laico" e innovativo viene comunque bilanciato dalla crisi religiosa subìta negli ultimi anni, in cui Boccaccio si avvicina all'atteggiamento tormentato e pieno di dubbi proprio di Petrarca e vi sarà il riemergere di una certa misoginia, per cui la donna viene nuovamente vista come elemento "perturbante" della vita dell'uomo (significativo a questo riguardo è soprattutto il Corbaccio).
Boccaccio è innovatore anche nel rapporto con la tradizione letteraria, sia nel senso che si dedica alla prosa e alla narrativa (ed è il primo autore volgare di una certa importanza che si occupa prevalentemente di questo genere), sia in quanto contribuisce a creare nuovi generi poetici, come ad es. il poema epico che avrebbe influenzato profondamente gli scrittori del secolo seguente, o la stessa raccolta di novelle inserite in una cornice narrativa (ovviamente il Decameron) che appariva una decisa novità rispetto al Novellino o ad altre opere duecentesche come il Libro dei sette savi, simili solo in parte. Se Dante è un modello che Boccaccio tiene ben presente e che imita volutamente in alcune opere giovanili, sia pure con scarsi risultati, è ovvio che le fonti della sua opera sono anche e soprattutto i testi della letteratura latina e mediolatina più vicini ai suoi interessi, tra cui rientra il romanzo tardo-antico che viene ripreso ad es. nel Filocolo e, almeno in parte, nel Decameron, specie nelle novelle dalla trama più intricata e avventurosa. Alcuni studiosi hanno inoltre ravvisato la fonte della trama di alcune novelle in testi di derivazione araba, che Boccaccio poteva conoscere attraverso alcuni tardi volgarizzamenti o traduzioni in latino, il che pare confermato dall'ambientazione araba o comunque orientale di vari racconti in cui, tra l'altro, non di rado viene offerta una rappresentazione positiva dell'Islam, con un relativismo religioso che è anch'esso segno della modernità dell'autore (per un maggiore approfondimento, ► OPERA: Decameron).
Nuova e moderna è poi la visione che Boccaccio ha dell'amore e dei suoi risvolti sensuali, per cui se da un lato le sue prime opere risentono molto della tradizione cortese e stilnovistica, dall'altro esse esprimono una decisa rivalutazione dell'eros e dell'amore fisico, non più condannato moralmente e, anzi, esaltato come qualcosa di assolutamente naturale e insopprimibile, anche fra i membri del clero rispetto ai quali è ipocrita pensare che si attengano al celibato ecclesiastico (tutto ciò emerge soprattutto nel Decameron). Legata in parte a questo è anche la polemica anti-ecclesiastica, che riguarda specialmente la corruzione della corte papale, anche se il tema è meno toccato rispetto a Petrarca, e soprattutto il commercio di false reliquie, lo sfruttamento economico del culto popolare dei santi, in generale l'ipocrisia dei religiosi (anche questo è un segno della novità di Boccaccio, che si discosta da Dante che criticava sì la Chiesa, ma non metteva certo in dubbio la validità generale delle sue norme morali). Questo atteggiamento "laico" e innovativo viene comunque bilanciato dalla crisi religiosa subìta negli ultimi anni, in cui Boccaccio si avvicina all'atteggiamento tormentato e pieno di dubbi proprio di Petrarca e vi sarà il riemergere di una certa misoginia, per cui la donna viene nuovamente vista come elemento "perturbante" della vita dell'uomo (significativo a questo riguardo è soprattutto il Corbaccio).
Boccaccio è innovatore anche nel rapporto con la tradizione letteraria, sia nel senso che si dedica alla prosa e alla narrativa (ed è il primo autore volgare di una certa importanza che si occupa prevalentemente di questo genere), sia in quanto contribuisce a creare nuovi generi poetici, come ad es. il poema epico che avrebbe influenzato profondamente gli scrittori del secolo seguente, o la stessa raccolta di novelle inserite in una cornice narrativa (ovviamente il Decameron) che appariva una decisa novità rispetto al Novellino o ad altre opere duecentesche come il Libro dei sette savi, simili solo in parte. Se Dante è un modello che Boccaccio tiene ben presente e che imita volutamente in alcune opere giovanili, sia pure con scarsi risultati, è ovvio che le fonti della sua opera sono anche e soprattutto i testi della letteratura latina e mediolatina più vicini ai suoi interessi, tra cui rientra il romanzo tardo-antico che viene ripreso ad es. nel Filocolo e, almeno in parte, nel Decameron, specie nelle novelle dalla trama più intricata e avventurosa. Alcuni studiosi hanno inoltre ravvisato la fonte della trama di alcune novelle in testi di derivazione araba, che Boccaccio poteva conoscere attraverso alcuni tardi volgarizzamenti o traduzioni in latino, il che pare confermato dall'ambientazione araba o comunque orientale di vari racconti in cui, tra l'altro, non di rado viene offerta una rappresentazione positiva dell'Islam, con un relativismo religioso che è anch'esso segno della modernità dell'autore (per un maggiore approfondimento, ► OPERA: Decameron).
Le opere del periodo napoletano (1327-1340)
Sono i testi prodotti dall'autore negli anni giovanili, quando aveva seguito il padre a Napoli e si divideva tra il lavoro al banco dei Bardi e la frequentazione della corte angioina, e da un lato risentono molto del fascino che l'ambiente aristocratico esercitava su Boccaccio, dall'altro mostrano ancora elementi di immaturità che verranno via via smussati nelle opere del periodo successivo. Si tratta per lo più di opere volgari in versi e l'unico testo in prosa è il Filocolo, che rappresenta anche la meglio riuscita e più interessanti di queste prime prove letterarie dello scrittore.
Caccia di Diana
È un poemetto in terza rima (terzine dantesche) in diciotto canti, scritto forse intorno al 1334 e incentrato su una battuta di caccia svolta dalla dea Diana e dalle più belle donne della corte napoletana, che si ribellano alla legge della castità imposta dalla divinità e invocano l'aiuto di Venere: questa interviene e trasforma gli animali uccisi negli uomini amati dalle donne, tra i quali vi è anche Boccaccio che da cervo ritorna uomo. L'operetta è interessante non tanto per l'ispirazione dantesca (anche se vi è forse un riferimento alla perduta epistola in forma di sirventese di cui Dante parla nella Vita nuova e che conteneva l'elenco delle sessanta donne più belle di Firenze), ma anche per la celebrazione dell'ambiente di corte e per il trionfo dell'eros sull'ideale di castità, attraverso la trasformazione delle bestie in uomini che rovescia in modo quasi parodico quella operata da Circe nell'Odissea. Il testo anticipa in parte l'atmosfera delle opere del maturo Umanesimo, in cui vi sarà l'esaltazione dell'amore fisico privo ormai di dubbi e remore morali.
Filostrato
È un poemetto in ottave diviso in nove libri, di argomento epico e ispirato alla tradizione due-trecentesca dei "cantari", ovvero i poemi recitati dai giullari a un pubblico popolare da cui riprende appunto il metro: racconta una vicenda ispirata al ciclo troiano, che ha come protagonista il giovane Troiolo (Troilo), figlio del re Priamo, che si innamora della bella Criseida ed è riamato da lei, ma poi ne è tradito e cerca la morte gettandosi in uno scontro con Achille (la trama è tratta dal Roman de Troie di Bénoît de Sainte-Maure). Scritto forse intorno al 1335, il Filostrato (il cui titolo secondo una pseudo-etimologia greca significa "vinto da amore") è interessante in quanto è il primo esempio colto di poema epico in volgare della nostra letteratura, poi ampiamente sviluppato nel periodo umanistico-rinascimentale e che riprenderà da Boccaccio il metro, quell'ottava di endecasillabi che sarà proprio detta "ottava epica". Boccaccio inoltre mostra una morale nuova e più moderna rispetto ai modelli cui si ispira, infatti non condanna Criseida per il suo comportamento e descrive la ragazza come un personaggio astuto e calcolatore, tipo femminile di cui vi saranno molti altri esempi nelle novelle del Decameron (nell'Introduzione alla 6ª Giornata del libro, tra l'altro, Dioneo e Lauretta cantano proprio della materia del poemetto, mentre uno dei novellatori dell'opera matura avrà nome di Filostrato e rappresenterà l'amante infelice).
Teseida
È anch'esso un poemetto di argomento epico come il Filostrato, diviso in dodici libri in ottave e dedicato a Fiammetta, la donna amata da Boccaccio che in base alla leggenda da lui alimentata sarebbe stata la figlia naturale di re Roberto d'Angiò: scritto intorno al 1339-40, tratta la materia del Roman de Thèbe (anche se è forte l'influenza della Tebaide del poeta latino Stazio) e i protagonisti sono due giovani tebani, Arcita e Palemone, prigionieri ad Atene e innamorati entrambi di Emilia, sorella della regina delle Amazzoni, Ippolita, a sua volta moglie di Teseo, duca della città. È proprio Teseo a proporre come soluzione per stabilire chi sarà lo sposo di Emilia un torneo, cui parteciperanno i due contendenti (spalleggiati dai migliori guerrieri provenienti da ogni luogo della Grecia); il vincitore è Arcita, che celebra le nozze anche se per le ferite ricevute è in fin di vita, così il giovane morente, con un gesto di straordinaria generosità, lascia la sposa all'amico rivale. Il poema si conclude con le esequie di Arcita e le nozze di Emilia e Palemone. L'opera è interessante come precedente dei poemi epico-cavallereschi dei secc. XV-XVI, e anche per la curiosa mescolanza di elementi del mito classico e temi moderni (i personaggi, pur vivendo nella Grecia antica, si comportano come uomini del Trecento e lo stesso torneo al centro della vicenda sembra una giostra medievale).
Filocolo
È l'opera più interessante del periodo napoletano ed è anche la prima in prosa prodotta dall'autore, che anticipa in parte alcune tematiche del Decameron: è un romanzo in cinque libri, scritto (così almeno riferisce Boccaccio) su invito di Maria, figlia di re Roberto d'Angiò e definita «gentilissima donna», identificata con la Fiammetta amata dallo scrittore a Napoli. Il libro racconta una storia tratta dal poemetto francese Floire et Blanchefleur del XII sec. e già ripresa dal Cantare di Florio e Biancifiore, scritto in toscano nel XIV sec. (l'autore si ispira anche allo schema del romanzo tardo-antico), mentre il titolo, secondo una pseudo-etimologia greca significa "fatica d'amore", con riferimento alle peripezie affrontate dal protagonista maschile Florio. Questi è figlio del re saraceno di Spagna, Felice, e si innamora di una fanciulla cristiana, Biancifiore, insieme alla quale è cresciuto e che poi viene venduta dal re a dei pirati che la cedono all'ammiraglio di Alessandria: Florio non si arrende e inizia la sua "fatica" cercandola in molti paesi e alla fine ritrovandola, anche se i due rischiano di essere giustiziati e si salvano grazie al fatto che si scopre che l'ammiraglio è lo zio di Florio e la fanciulla è nobili origini (è la tipica agnitio, il riconoscimento del romanzo tardo-antico che porta allo scioglimento dell'intreccio). Alla fine i due giovani possono sposarsi, dopo che Florio, in seguito alla morte del padre, si è convertito al Cristianesimo. L'opera riprende lo schema avventuroso e pieno di peripezie caratteristico del romanzo antico ed è interessante anche perché Florio, capitato a Napoli durante la sua ricerca, partecipa al gioco delle questioni amorose indetto da una nobildonna chiamata Fiammetta, in cui una brigata di giovani (fra cui l'alter ego di Boccaccio, Colèon) discute tredici problemi d'amore sottoposti al giudizio della donna e ciascuno espone la propria tesi raccontando delle novelle, per cui lo schema narrativo anticipa già quello della cornice del Decameron in cui due dei racconti saranno ripresi fra quelli della 10ª Giornata. La narrazione è piuttosto disorganica e piena di episodi secondari, rivelando al tempo stesso una certa immaturità dello scrittore (il testo è forse del 1336-38), ma anche una interessante novità nel trattare la materia, in cui del resto confluiscono elementi comici, poetici, narrativi (► TESTO: L'amore di Florio e Biancifiore).
Le opere del periodo fiorentino (1341-1349)
Risalgono agli anni in cui l'autore torna a Firenze al termine della sua esperienza napoletana e si trova in un ambiente mercantile dominato da un pubblico molto diverso da quello raffinato della corte angioina, che in parte influenza la nuova fase letteraria: sono testi per lo più in versi, tra cui spicca l'Elegia di Madonna Fiammetta che è l'unico testo interamente in prosa, oltre ad essere l'opera più interessante e moderna prima del Decameron.
Ninfale d'Ameto (Comedìa de le ninfe fiorentine)
Composto probabilmente subito dopo il ritorno a Firenze (1341-1342), il testo si presenta come un prosimetro che alterna passi in prosa a brani in terzine dantesche, riprendendo in minima parte il modello dantesco della Vita nuova: la vicenda narrata si svolge in un ambiente idillico-pastorale tra Arno e Mugnone, dove il pastore Ameto (un ragazzo ancora rozzo e incivile) incontra sette bellissime ninfe e si innamora di una di loro, Lia. Nel giorno in cui si celebra la festa di Venere le ninfe si radunano intorno ad Ameto e ad altri pastori per raccontare a turno le loro storie amorose, in una situazione che si riallaccia al gioco delle questioni amorose del Filocolo e anticipa ovviamente la cornice del Decameron; all'elemento erotico-amoroso si aggiunge anche quello celebrativo, poiché una delle ninfe, Fiammetta, parla delle origini di Napoli, mentre Lia descrive quelle di Firenze. Alla fine delle narrazioni Ameto è immerso in un bagno purificatore e diventa così un individuo nobile e ingentilito, in grado di comprendere l'allegoria che si cela dietro i racconti: le sette ninfe sono in realtà le virtù cardinali e teologali e attraverso il loro insegnamento l'uomo può raggiungere Dio, mentre i pastori innamorati di loro sono l'immagine dei vizi che alle virtù si oppongono. L'intento allegorico è un involucro puramente esteriore, poiché il vero interesse dell'opera è nel gusto della narrazione (dunque nell'elemento novellistico-romanzesco) e nella descrizione sensuale della bellezza delle ninfe, che traspare dalle loro vesti discinte permettendo ad Ameto di ammirarle durante il racconto delle novelle.
Amorosa visione
È un poemetto allegorico diviso in cinquanta canti di terzine dantesche, composto probabilmente dopo l'Ameto e prima dell'Elegia: descrive un sogno in l'autore si ritrova in un luogo deserto e incontra una giovane donna bellissima, che lo conduce alle soglie di un castello dotato di due porte, una stretta che immette alla virtù e l'altra più ampia che porta alla gloria mondana. Lo scrittore entra da quest'ultima e viene introdotto in una magnifica sala, dove ci sono affreschi che celebrano i trionfi della scienza, della gloria, della ricchezza e dell'amore, mentre in un'altra stanza contempla l'immagine della Fortuna tra le sue vittime. In un meraviglioso giardino incontra poi la sua amata Fiammetta e sta per unirsi a lei, ma si sveglia ed è ricondotto dalla sua guida al cammino che conduce alla virtù. L'opera è piuttosto arida ed è la meno riuscita di Boccaccio, che si ispira all'allegorismo dantesco senza molta convinzione e si dilunga in elenchi di personaggi e situazioni tipici dell'enciclopedismo medievale, in forme però stanche e puramente esteriori. Tutto il poemetto inoltre è costruito come un enorme acrostico, poiché le lettere iniziali di ciascuna terzina formano tre sonetti di dedica, i primi due indirizzati a "madama Maria" (cioè a Fiammetta) e il terzo ai lettori.
Elegia di Madonna Fiammetta
È la più interessante tra le opere del periodo fiorentino (risale forse al 1345) e in generale tra tutte quelle che precedono il Decameron, presentandosi inoltre come la prima compiuta opera di narrativa in prosa della letteratura volgare del XIV sec.: diviso in nove libri, il testo è una sorta di romanzo narrato in prima persona dalla protagonista, la nobildonna napoletana Fiammetta, che in tal modo racconta la vicenda amorosa dal suo punto di vista e offre uno spaccato della psicologia femminile che costituisce il primo esempio in tal senso della narrativa italiana. La vicenda ricorda quella vissuta da Boccaccio a Napoli salvo invertire le parti, poiché la narratrice impersona in realtà il ruolo avuto dallo scrittore: Fiammetta ama il giovane fiorentino Panfilo che è a Napoli per affari e ha una relazione adultera con lui, che si interrompe nel momento in cui lui deve tornare nella sua città con la promessa di ritornare; in realtà il giovane non torna più e quando Fiammetta ha la certezza del tradimento cade in un profondo abbattimento morale, giungendo persino a meditare il suicidio e venendo consolata dal marito, col quale non può evidentemente confidarsi. La conclusione è amara e vede la donna consapevole della propria sventura, in cui detiene orgogliosamente una sorta di primato.
L'opera si rifà a varie fonti antiche (tra cui spiccano le Heroides di Ovidio, anche per la forma "epistolare" data dal fatto che la protagonista si rivolge idealmente alle altre donne come in una lettera) ed è interessante per la sua modernità scandalosa, anzitutto per la non condanna dell'adulterio che anticipa casi analoghi del capolavoro, e poi per l'indagine sottile dell'animo femminile che porta l'autore a disegnare una eroina tragica piena di dignità e fierezza, che ricorda personaggi come Ghismunda (► TESTO: Tancredi e Ghismunda). La prosa, anche se mantiene uno stile aulico e classicheggiante ricorrendo anche ai dettami delle artes dictandi, presenta già la fluidità del Decameron e appare dunque lontana dalla pesantezza di un'opera giovanile come il Filocolo, mostrando ormai una raggiunta maturità letteraria (► TESTO: L'amore di Fiammetta).
L'opera si rifà a varie fonti antiche (tra cui spiccano le Heroides di Ovidio, anche per la forma "epistolare" data dal fatto che la protagonista si rivolge idealmente alle altre donne come in una lettera) ed è interessante per la sua modernità scandalosa, anzitutto per la non condanna dell'adulterio che anticipa casi analoghi del capolavoro, e poi per l'indagine sottile dell'animo femminile che porta l'autore a disegnare una eroina tragica piena di dignità e fierezza, che ricorda personaggi come Ghismunda (► TESTO: Tancredi e Ghismunda). La prosa, anche se mantiene uno stile aulico e classicheggiante ricorrendo anche ai dettami delle artes dictandi, presenta già la fluidità del Decameron e appare dunque lontana dalla pesantezza di un'opera giovanile come il Filocolo, mostrando ormai una raggiunta maturità letteraria (► TESTO: L'amore di Fiammetta).
Ninfale fiesolano
È probabilmente l'ultima delle opere che precedono il Decameron e si presenta come un poemetto costituito da 473 ottave, lo stesso metro usato nel Teseida e nel Filostrato: il tema è eziologico e narra le mitiche origini dei torrenti Africo e Mensola, nonché della città di Fiesole la cui fondazione era attribuita tradizionalmente ad Atlante, dunque l'opera risente del clima culturale fiorentino e si imporrà in seguito come modello di testi simili della letteratura volgare, sino alla Nencia di Lorenzo de' Medici e alle Stanze di Poliziano. La vicenda narra del giovane pastore Africo che scopre di nascosto tra le ninfe la quindicenne Mensola, innamorandosi di lei (► TESTO: Africo e Mensola): invano il padre cerca di distoglierlo da questa passione, ricordandogli che la dea Diana è vendicativa nei confronti delle ninfe che infrangono la promessa di castità, perciò Africo continua a inseguire Mensola nei boschi e nelle foreste senza riuscire mai a raggiungerla. Su consiglio di Venere, il pastore si traveste da donna e si mescola alle ninfe che fanno il bagno, riuscendo a sedurre Mensola con l'inganno: la ragazza, che resterà incinta, è disperata per aver disobbedito a Diana e decide di non vedere più il pastore che, per la disperazione, si uccide, mentre il suo corpo cade nel fiume che prenderà il suo nome. Intanto Mensola vede crescere il proprio ventre e si confida con la ninfa Sinidecchia, che le consiglia di nascondere il proprio stato: subito dopo il parto, tuttavia, la cosa viene scoperta da Diana che per punizione trasforma Mensola nel fiume che lei tenta di attraversare per fuggire e che si chiamerà come la ninfa (è evidente l'influsso delle Metamorfosi di Ovidio e in particolare dell'episodio di Apollo e Dafne). Il bambino, Pruneo, sarà allevato dai vecchi genitori di Africo e, diventato adulto, si metterà al servizio di Attalante (Atlante) che sarà il mitico fondatore di Fiesole e libererà le ninfe dalle leggi di Diana, ponendole sotto la signoria di Venere.
Il testo mostra una raggiunta maturazione dello scrittore e l'opera, benché in versi, mostra un ritmo narrativo che anticipa il Decameron e non è appesantito dall'apparato allegorico tipico dell'Amorosa visione o dell'Ameto, mentre l'opposizione Diana-Venere che si risolve a vantaggio della seconda vuole essere una celebrazione dell'eros e la sua vittoria sulla castità, idea già espressa nell'operetta giovanile Caccia di Diana.
Il testo mostra una raggiunta maturazione dello scrittore e l'opera, benché in versi, mostra un ritmo narrativo che anticipa il Decameron e non è appesantito dall'apparato allegorico tipico dell'Amorosa visione o dell'Ameto, mentre l'opposizione Diana-Venere che si risolve a vantaggio della seconda vuole essere una celebrazione dell'eros e la sua vittoria sulla castità, idea già espressa nell'operetta giovanile Caccia di Diana.
Il capolavoro della narrativa volgare: il Decameron
Boccaccio si dedicò alla stesura dell'opera nel 1349-51, subito dopo la devastante esperienza della peste a Firenze (1348) che lo segnò profondamente e che costituisce la "cornice" narrativa del libro, giustificando il racconto delle novelle: il Decameron si presenta dunque come una raccolta di racconti in prosa e come tale è la prima opera compiuta di narrativa della nostra tradizione, destinata in seguito a influenzare profondamente la lingua e la letteratura italiana (all'opera è dedicata un'apposita sezione del sito, a cui si rimanda per una trattazione dettagliata). Il testo è l'approdo quasi inevitabile di tutta la precedente produzione dell'autore, il quale aveva offerto le prove più convincenti proprio nelle opere in prosa (specialmente nell'Elegia di Madonna Fiammetta, il testo più interessante che precede il Decameron) inserendo in alcune di esse anche degli "abbozzi" di cornici narrative in cui una serie di personaggi narravano a turno una storia, come la brigata di giovani alla corte di Fiammetta nel Filocolo e le ninfe nell'Ameto, benché in quei casi si trattasse di intermezzi narrativi in un'opera diversa e più complessa. Il Decameron presenta molte interessanti novità che rendono il libro moderno e scandaloso, come la celebrazione dell'eros e dei risvolti fisici dell'amore, la rivalutazione della figura del mercante e del mondo borghese (talvolta in competizione con quello dell'aristocrazia), la critica agli aspetti più ipocriti della morale cristiana, la condanna della corruzione ecclesiastica; è presente anche una esaltazione del potere della parola e della dialettica che risente dell'ambiente culturale fiorentino, così come il gusto per la beffa e per l'inganno che si riallaccia alla tradizione della poesia comico-realistica di cui riprende forme e modi (ma nel libro non manca la celebrazione del mondo alto e tragico dell'aristocrazia feudale). Il "relativismo morale" dell'autore anticipa vari aspetti dell'Umanesimo del XV sec., così come la prospettiva laica e mondana in cui le novelle sono sempre immerse, dal momento che Dio è lontano dagli interessi di Boccaccio e l'aspetto religioso è relegato in una dimensione "altra" rispetto all'orizzonte terreno delle vicende narrate. Il tema sensuale ed erotico di tante novelle del Decameron ha determinato il successo ma anche la condanna morale dell'opera nei secoli successivi, mentre l'aggettivo "boccaccesco" ha finito per diventare sinonimo di malizioso e volgare, forse al di là dell'effettiva volontà dell'autore che, indubbiamente, rispetto al tema amoroso segna un distacco profondo dalla tradizione precedente e dalla cultura medievale, espressa ad es. da Dante nella Commedia.
Per approfondire: ► OPERA: Decameron
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Dopo il Decameron: la produzione erudita
L'incontro con Petrarca nel 1350 e l'amicizia nata col grande poeta lirico influenza profondamente il pensiero di Boccaccio, che da un lato è colto da ansie e dubbi di natura religiosa, dall'altra inizia a comporre opere di tipo erudito sull'esempio del maestro, che rivelano il nuovo e moderno rapporto dello scrittore con il patrimonio della letteratura classica (soprattutto latina, poiché Boccaccio aveva una conoscenza imprecisa del greco). Frutto di questo periodo sono alcune operette didascaliche in latino di scarso peso, tuttavia interessanti in quanto mostrano l'inclinazione già pre-umanistica dello scrittore che anticipa molti temi poi affrontati dalla letteratura del XV sec., tra cui si possono citare il De claris mulieribus (biografie di donne famose dell'antichità e del mondo moderno), il De casibus virorum illustrium (che narra vicende di personaggi passati dalla felicità all'infelicità), il Buccolicum carmen (raccolta di sedici egloghe pastorali di ispirazione virgiliana e dantesca). Tra i testi di questa fase spicca soprattutto la Genealogia deorum gentilium, sorta di trattato mitografico in 15 libri che descrive e spiega le origini degli dei pagani proponendo talvolta un'interpretazione allegorica, anche se l'ispirazione è decisamente pre-umanistica (Boccaccio lo terminò negli ultimi anni della vita); da ricordare inoltre la composizione di 26 Epistole quasi tutte in latino, molte delle quali indirizzate all'amico Petrarca e tutte interessanti per l'amore verso la cultura classica, intesa appunto in senso moderno. Il pre-umanesimo di Boccaccio è comunque diverso da quello petrarchesco, in quanto per Petrarca il culto dei classici aveva spesso un risvolto religioso al fine di migliorare moralmente l'animo umano (come nel caso famoso del Secretum), mentre in Boccaccio l'erudizione ha soprattutto un aspetto laico, con l'ammirazione della virtù degli antichi e la ricerca di modelli di comportamento non sempre in accordo con le norme della morale, in ciò davvero segnando un distacco profondo rispetto al Medioevo e all'atteggiamento di Dante. Boccaccio tentò negli ultimi anni anche di apprendere il greco, senza riuscirvi pienamente, inoltre va detto che le sue opere mancano di quel rigore filologico che caratterizza invece quelle di Petrarca, mostrando non di rado una curiosa mescolanza di dati storici e invenzioni romanzesche.
Il Trattatello in laude di Dante
Il culto di Dante accompagnò sempre l'opera di Boccaccio e si concretizzò nella seconda parte della sua vita in alcune interessanti attività, tra cui rientra un'edizione manoscritta della Commedia e di altre opere dantesche che contribuì non poco a stabilire la tradizione dei testi (è noto che di Dante non è sopravvissuto alcun autografo), inoltre allo scrittore trecentesco si deve l'aggiunta dell'aggettivo "divina" al titolo del poema che poi, al di là delle intenzioni dell'autore, rimase parte integrante di esso. Nel 1373 iniziò inoltre su richiesta del Comune fiorentino una serie di pubbliche letture dell'Inferno nella chiesa di S. Stefano in Badia, arrivando solo fino al canto XVII e interrompendo l'attività per le aggravate condizioni di salute.
L'opera più interessante scritta da Boccaccio sul grande poeta suo concittadino resta comunque il Trattatello in laude di Dante, sorta di biografia dell'autore della Commedia che, da un lato, ha il merito di fornire preziose informazioni sulla vita dell'Alighieri, dall'altro mescola verità e leggenda "romanzando" in modo improbabile alcuni aneddoti che poi divennero famosi, senza tuttavia aggiungere molto alla conoscenza degli anni "oscuri" della vita dell'esule (il più celebre tra questi episodi è certo il ritrovamento, ad opera del figlio Jacopo, dei codici degli ultimi canti del Paradiso, che gli sarebbero stati indicati dall'ombra del padre apparsagli in sogno). Nell'opera Boccaccio tratteggia soprattutto la figura di Dante come exul immeritus e fulgido esempio morale, contribuendo non poco a creare l'immagine dell'uomo sdegnoso e fustigatore di vizi che tanto piacerà agli intellettuali del Romanticismo, mentre traspare evidente l'esaltazione della poesia e dell'amore di entrambi gli autori per i classici, con un'ispirazione dunque che almeno in parte è condivisa con le opere erudite in latino.
L'opera più interessante scritta da Boccaccio sul grande poeta suo concittadino resta comunque il Trattatello in laude di Dante, sorta di biografia dell'autore della Commedia che, da un lato, ha il merito di fornire preziose informazioni sulla vita dell'Alighieri, dall'altro mescola verità e leggenda "romanzando" in modo improbabile alcuni aneddoti che poi divennero famosi, senza tuttavia aggiungere molto alla conoscenza degli anni "oscuri" della vita dell'esule (il più celebre tra questi episodi è certo il ritrovamento, ad opera del figlio Jacopo, dei codici degli ultimi canti del Paradiso, che gli sarebbero stati indicati dall'ombra del padre apparsagli in sogno). Nell'opera Boccaccio tratteggia soprattutto la figura di Dante come exul immeritus e fulgido esempio morale, contribuendo non poco a creare l'immagine dell'uomo sdegnoso e fustigatore di vizi che tanto piacerà agli intellettuali del Romanticismo, mentre traspare evidente l'esaltazione della poesia e dell'amore di entrambi gli autori per i classici, con un'ispirazione dunque che almeno in parte è condivisa con le opere erudite in latino.
La crisi interiore degli ultimi anni: il Corbaccio
Di ispirazione vagamente dantesca anche un'opera in prosa scritta da Boccaccio nella seconda parte della sua vita, la cui datazione è incerta (tra il 1355 e il 1365) come incerto è il significato del titolo, ovvero il Corbaccio: potrebbe alludere al corvo come simbolo di maldicenza e uccello che strappa gli occhi delle carogne di cui si ciba, con riferimento al potere accecante dell'amore, oppure allo spagnolo corbacho (scudiscio) che indicherebbe il carattere violento e satirico dell'opera. Il testo è narrato in prima persona dall'autore che racconta di essersi innamorato di una vedova, la quale non solo ha respinto il suo amore ma lo ha pubblicamente deriso ed esposto alla vergogna: a Boccaccio, abbattuto per questa esperienza e smarrito in un "porcile di Venere" che ricorda la "selva oscura" della Commedia, appare in sogno il defunto marito della donna che gli svela la natura maligna della moglie e in generale di tutte le donne, che celano sotto una maschera di bellezza un'indole corrotta e malvagia (► TESTO: La bellezza artificiale delle donne); l'opera si conclude con il proposito da parte dell'autore di liberarsi dal fascino femminile e di dedicare la propria vita alla letteratura e al culto dei classici, in una sorta di "ascetismo" letterario. Il Corbaccio risente dunque di una visione profondamente misogina che ribalta quasi del tutto la prospettiva del Decameron, dedicato alle donne e dominato da una concezione serena e positiva dell'amore, mentre qui il sentimento è descritto come passione che ottenebra la ragione e porta alla sofferenza: non è escluso che l'opera nasca da una reale esperienza negativa vissuta da Boccaccio, mentre è evidente che il rapporto con Petrarca abbia influenzato non poco tale riflessione, benché la visione della donna come "tentatrice diabolica" rimandi piuttosto alla letteratura latina pagana e cristiana, soprattutto a Giovenale e S. Girolamo. L'opera risente inoltre di una certa crisi religiosa che colse Boccaccio negli ultimi anni della vita, probabilmente accentuata dalle cattive condizioni di salute e che lo porterà addirittura a meditare di distruggere il Decameron.
Fama e fortuna critica
La fama di Boccaccio fu subito legata in modo indissolubile al capolavoro Decameron, già diffuso e conosciuto quanto era ancora in vita (anzi, l'Introduzione alla 4ª Giornata testimonia che le novelle avevano creato polemiche legate all'argomento erotico di molte di esse, accusa da cui l'autore si difende) e molto apprezzato soprattutto dal pubblico mercantile e borghese, cui l'opera era in fondo destinata e che si rispecchiava nella visione del mondo espressa nel libro. Tale successo non impedì a Boccaccio di rammaricarsi dell'avere scritto l'opera, specie negli ultimi anni quando fu colto da una crisi religiosa che lo portò persino a pensare di distruggere il libro, proposito dal quale lo dissuase l'amico Petrarca: tuttavia il grande poeta, scrivendogli una lettera in cui gli presentava una traduzione in latino della novella di Griselda (Seniles, XVII, 3) espresse le sue riserve sul Decameron, giudicandolo un "libro giovanile" scritto a beneficio del popolo e la cui imperfezione era dovuta alla "leggerezza dell'argomento e alla qualità dei lettori cui era destinato", manifestando quel distacco tra la letteratura volgare del Trecento e il nascente Umanesimo di cui Petrarca, e in parte lo stesso Boccaccio, erano in fondo anticipatori. Ciò spiega perché il libro sia stato preso a modello dai novellieri volgari del XV sec., tra cui merita citare soprattutto Masuccio Salernitano autore del Novellino, mentre l'Umanesimo più alto e cortese ignorò sostanzialmente l'opera e a Boccaccio preferì soprattutto il modello petrarchesco, salvando dell'autore del Decameron solamente la produzione erudita in latino. Boccaccio venne in parte riscoperto nel Cinquecento nell'ambito della questione della lingua, specie ad opera di Pietro Bembo che nelle Prose della volgar lingua individuò proprio Petrarca e Boccaccio come modelli rispettivamente della poesia lirica e della prosa, anche se va detto il Decameron veniva proposto come esempio soprattutto nei passi in cui l'autore si esprimeva in forme auliche ed elevate (nella cornice e nel proemio di alcune novelle), non tanto nelle parti in cui lo stile era più popolare e vicino alla parlata del volgo. Bembo consacrò comunque Boccaccio come una delle "tre corone" del volgare fiorentino accanto a Petrarca e Dante, per cui è innegabile che la sua fama sia stata almeno in parte rinnovata dalle Prose e che il Decameron sia stato a lungo indicato come un modello, benché il peso di Boccaccio nella tradizione italiana sia sempre stato nettamente inferiore a quello della poesia petrarchesca.
Lo spirito della Controriforma, specie dopo il Concilio di Trento del 1545-1563, individuò nel Decameron aspetti scandalosi e impudichi e perciò l'opera subì pesanti tagli dalla censura, con una prima edizione riveduta e corretta del 1573 e una successiva del 1582, che presentava addirittura dei rifacimenti (altri rimaneggiamenti ebbero ragioni linguistiche, per espungere quelle parti troppo popolari o gergali nello spirito del bembismo). Nel Seicento il libro venne poi generalmente trascurato, non solo per ragioni moralistiche ma per via della polemica anticlassicista del Barocco che rifiutava Boccaccio come modello da imitare, mentre nel secolo successivo l'interesse per il Decameron e il suo autore rinacque, ma assieme a nuove polemiche per il carattere licenzioso dell'opera: Giuseppe Parini ne condannò «le infamie oscene e irreligiose» e osservò che esse «meritamente son condannate non meno dalla religione che dalla pubblica onestà» (al contrario Ugo Foscolo vide nel libro l'espressione di un atteggiamento amorale ed evasivo che sarebbe stato all'origine della crisi del Rinascimento, posizione poi ripresa anche da Francesco De Sanctis).
Nel XX sec. caddero le remore di carattere religioso o moralistico e Boccaccio apparve come modello di vita libera e spregiudicata, fonte di ispirazione per altri scrittori: fra questi è da ricordare Luigi Pirandello, che si rifece al tema della beffa erotica e alla comicità popolare in alcune delle Novelle per un anno e nelle opere di teatro, fornendo una interpretazione in senso vitalistico dell'opera dello scrittore; più tardi sarà l'intellettuale e cineasta Pier Paolo Pasolini a seguire la stessa linea nel film Decameron (1971), in cui vengono messi in scena dieci novelle del libro fra le quali spiccano quelle di tema erotico (tre di esse sono narrate da Dioneo a chiusura di altrettante Giornate): fra le altre vi sono quelle di Ciappelletto, Andreuccio, Elisabetta e Giotto e in tutto il film è evidente una nota gioiosa e vitalistica che non sempre è presente in Boccaccio. La pellicola subì tagli e censure per le molte scene scabrose, anche se riscosse un ottimo successo di pubblico e fu premiata con l'Orso d'Argento al Festival del Cinema di Berlino (per ulteriori approfondimenti, ► OPERA: Decameron).
Nel XX sec. caddero le remore di carattere religioso o moralistico e Boccaccio apparve come modello di vita libera e spregiudicata, fonte di ispirazione per altri scrittori: fra questi è da ricordare Luigi Pirandello, che si rifece al tema della beffa erotica e alla comicità popolare in alcune delle Novelle per un anno e nelle opere di teatro, fornendo una interpretazione in senso vitalistico dell'opera dello scrittore; più tardi sarà l'intellettuale e cineasta Pier Paolo Pasolini a seguire la stessa linea nel film Decameron (1971), in cui vengono messi in scena dieci novelle del libro fra le quali spiccano quelle di tema erotico (tre di esse sono narrate da Dioneo a chiusura di altrettante Giornate): fra le altre vi sono quelle di Ciappelletto, Andreuccio, Elisabetta e Giotto e in tutto il film è evidente una nota gioiosa e vitalistica che non sempre è presente in Boccaccio. La pellicola subì tagli e censure per le molte scene scabrose, anche se riscosse un ottimo successo di pubblico e fu premiata con l'Orso d'Argento al Festival del Cinema di Berlino (per ulteriori approfondimenti, ► OPERA: Decameron).