Dante Alighieri
Il canto di Casella
(Purgatorio, II, 106-133)
Tra le anime dei penitenti appena scese dalla barca dell'angelo nocchiero sulla spiaggia del Purgatorio c'è anche Casella, musico fiorentino che fu amico di Dante e col quale il poeta scambia alcune parole affettuose, apprendendo tra l'altro dettagli circa il destino delle anime salve (esse si raccolgono alla foce del Tevere, dove l'angelo le raccoglie per portarle sull'isola). Dante chiede poi all'amico di rallegrare la sua anima intonando un canto e Casella esegue la canzone "Amor che ne la mente mi ragiona", commentata nel III trattato del "Convivio". Dante, Virgilio e tutte le anime ascoltano rapite il canto melodioso, quando sopraggiunge Catone (il custode del secondo regno) che li rimprovera aspramente e li sprona a correre "al monte", per purgarsi l'anima dai peccati: il monito si collega alla concezione medievale dell'arte, musica compresa, che non deve infondere piacere ai destinatari come in questo caso ma solo utili insegnamenti morali.
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
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E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l’amoroso canto che mi solea quetar tutte mie doglie, di ciò ti piaccia consolare alquanto l’anima mia, che, con la sua persona venendo qui, è affannata tanto!». Amor che ne la mente mi ragiona cominciò elli allor sì dolcemente, che la dolcezza ancor dentro mi suona. Lo mio maestro e io e quella gente ch’eran con lui parevan sì contenti, come a nessun toccasse altro la mente. Noi eravam tutti fissi e attenti a le sue note; ed ecco il veglio onesto gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? qual negligenza, quale stare è questo? Correte al monte a spogliarvi lo scoglio ch’esser non lascia a voi Dio manifesto». Come quando, cogliendo biado o loglio, li colombi adunati a la pastura, queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, se cosa appare ond’elli abbian paura, subitamente lasciano star l’esca, perch’assaliti son da maggior cura; così vid’io quella masnada fresca lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa, com’om che va, né sa dove riesca: né la nostra partita fu men tosta. |
E io: «Se una nuova legge non ti toglie la memoria o l'abitudine al canto amoroso che era solito placare tutti i miei desideri, con esso ti prego di consolare un poco la mia anima, che venendo qui con il corpo fisico è tanto affaticata!»
Allora egli cominciò a cantare «Amor che ne la mente mi ragiona» così dolcemente, che la dolcezza di quel canto risuona ancora dentro di me. Il mio maestro e io e quelle anime che erano con lui sembravamo così contenti, come se la nostra mente non fosse toccata da alcun pensiero. Noi eravamo tutti intenti alle note, quando ecco che arrivò il vecchio dignitoso [Catone] che gridava: «Che significa questo, spiriti lenti? quale negligenza, quale indugio è questo? Correte al monte a levarvi la scorza [del peccato] che non vi permette di vedere Dio». Come quando i colombi, beccando biada o loglio, radunati per il pasto, tranquilli e senza mostrare il consueto orgoglio, se appare qualcosa che li spaventa lasciano subito il cibo perché sono assaliti da una preoccupazione maggiore; così io vidi quelle anime appena arrivate lasciare il canto, e correre verso la montagna come qualcuno che va senza una meta precisa: e la nostra fuga [mia e di Virgilio] non fu meno precipitosa. |
Interpretazione complessiva
- L'episodio del canto di Casella chiude il Canto II del Purgatorio e assume un chiaro significato allegorico, specie alla luce dell'aspro (e per noi moderni quasi incomprensibile) rimprovero di Catone che sprona le anime a non attardarsi nell'ascoltare la bella musica ma a correre al monte per spogliare l'anima dallo "scoglio" del peccato: nella visione medievale l'arte, quindi anche la poesia e la musica, non deve procurare piacere a chi ne fruisce ma soltanto fornire utili ammaestramenti morali, quindi qualunque funzione edonistica è condannata a vantaggio della sola funzione didattica ammessa da Dante (che in questo, come in molti altri aspetti, è lontanissimo dalla visione dell'arte successivamente elaborata dall'Umanesimo). Tale discorso sull'arte si collega a quello al centro dei Canti X e XII, dove gli esempi di umiltà e superbia punita della prima Cornice sono scolpiti su bassorilievi di marmo, frutto dell'arte divina che è infinitamente più abile di quella umana nell'imitare la natura (l'arte terrena non potrà mai gareggiare con la natura e con Dio, dunque c'è un richiamo alla superbia intellettuale degli artisti).
- La canzone intonata da Casella (Amor che ne la mente mi ragiona) è quella commentata da Dante nel III trattato del Convivio, dove la donna lodata è l'allegoria della filosofia (► VAI AL TESTO): sembra sottinteso che Casella ne avesse realizzato un commento musicale, cosa che forse si era ripetuta per altri testi danteschi, il che consente oltretutto di datare la canzone prima del 1300 che è l'anno in cui Casella è morto secondo quando detto in questo Canto. Del musico si sa assai poco, se non che fu fiorentino (o pistoiese) e amico di Dante, proprio come il liutaio Belacqua incontrato poi in Purg., IV. Non è escluso che il richiamo di Catone sia riferito anche al tema "filosofico" della canzone, che elogiava la sapienza umana mentre nella Commedia essa è subordinata alla teologia.