SCHEDA
Stazio poeta "cristiano"
L'inclusione del poeta latino Stazio fra le anime salve del Purgatorio dantesco rappresenta un caso interessante di quella errata lettura in chiave cristiana del mondo classico operata dalla cultura medievale, alla quale Dante si allinea in vari aspetti della sua opera e nella quale rientra, tra l'altro, la scelta di Virgilio quale guida del poeta nella prima parte del viaggio: proprio Virgilio del resto ha un ruolo attivo (se pure inconsapevole) nella presunta conversione al cristianesimo del poeta latino, attraverso il quale Dante opera un'alta celebrazione del valore della poesia nei canti XXI-XXII della seconda Cantica del poema. Publio Papinio Stazio visse nell'età dei Flavi (45-96 d.C.) e scrisse tra le altre cose il poema epico Tebaide, ispirato all'Eneide di Virgilio e che ebbe un notevole successo nel Medioevo a dispetto della sua mediocrità, tanto che nel Duecento il poeta latino era considerato uno dei più importanti dell'età antica (accanto a Lucano e Ovidio, posti entrambi da Dante insieme a Omero e Orazio nel Limbo); era ovviamente pagano e ignoriamo da dove Dante abbia attinto la leggenda della sua conversione al Cristianesimo, giacché pare improbabile che la cosa sia frutto di una sua invenzione, mentre di certo il poeta fiorentino lo confonde in parte col retore Lucio Stazio Ursolo e non è escluso che si sia rifatto a qualche tarda biografia a noi non nota, in cui era forse esposto il racconto da lui fatto per spiegare la sua inaspettata salvezza. Dante lo colloca tra i prodighi puniti nella quinta cornice del Purgatorio e la sua entrata in scena è annunciata alla fine del canto XX da un terremoto che scuote l'intera montagna, accompagnato dal Gloria intonato a una voce da tutte le anime, che come apprenderemo in seguito è il segnale che un'anima ha cessato la sua purificazione; all'inizio del canto XXI è Stazio stesso a presentarsi agli altri due poeti, spiegando l'origine del terremoto e che lui ha ormai completato il percorso di purgazione, dopo essere rimasto cinquecento anni in quella cornice a espiare il suo peccato (ci verrà poi detto che è quello di prodigalità). In seguito rivela la sua identità e si presenta come l'autore di Tebaide e Achilleide, indicando quale suo maestro e modello quel Virgilio che non sa ancora di avere di fronte, per cui quando Dante gli svelerà la cosa si getterà ai piedi del grande poeta latino e manifesterà tutta la sua ammirazione, non senza qualche imbarazzo da parte di colui che lo ha avviato alla poesia con l'esempio altissimo dell'Eneide.
Nel canto seguente (XXII) è Virgilio a chiedere a Stazio com'è possibile che un poeta della sua sapienza abbia peccato di avarizia e l'altro risponde spiegando che in realtà il peccato in cui è caduto è quello opposto di prodigalità, del quale però si è pentito grazie alla lettura di un passo virgiliano: Stazio cita il libro III dell'Eneide quando Virgilio, parlando dell'uccisione di Polidoro ad opera di Polinestore per rubargli le sue ricchezze, affermava Quid non mortalia pectora cogis, / auri sacra fames? ("A cosa non spingi i petti dei mortali, o esecranda fame dell'oro?"), passo che però Dante fraintende credendo che Virgilio parli della "sacra fame" delle ricchezze, ovvero la giusta brama del denaro che deve bilanciare l'eccessiva prodigalità (non è del resto l'unico caso di fraintendimento del testo latino da parte del poeta fiorentino, complice la sua scarsa padronanza della lingua classica). Quel brano fece capire a Stazio il suo peccato e lo indusse a pentirsi, cosa che dovrebbero fare tutti i prodighi per non ritrovarsi il giorno del Giudizio coi "crini scemi", ovvero i capelli tagliati dopo essere stati dannati all'Inferno (Stazio riprende quanto detto da Virgilio stesso in Inf., VII su avari e prodighi). La risposta suscita un nuovo dubbio di Virgilio, poiché egli sa che Stazio si è sempre mostrato pagano in tutte le sue opere, e l'autore della Tebaide spiega che ancora suo è il merito della conversione al Cristianesimo, poiché la lettura dell'Egloga IV (quella che erroneamente era interpretata nel Medioevo come preannuncio della venuta di Cristo) lo spinse a guardare con occhi nuovi i cristiani che cominciavano a diffondersi e a predicare nel I sec., per cui egli divenne uno di loro ma nascose la sua fede per timore delle persecuzioni, macchiandosi del peccato di accidia che ha scontato nella cornice sottostante dove è rimasto più di quattrocento anni. Il racconto di Stazio si conclude con un solenne ringraziamento nei confronti di Virgilio, che è stato per lui prima fonte di ispirazione poetica e poi di conversione alla vera fede e di pentimento ("per te poeta fui, per te cristiano"), e con un'altissima celebrazione del valore della poesia che non è solo modello di comportamento morale ma addirittura strumento di salvezza spirituale, valore che implicitamente Dante attribuisce al suo stesso poema per il quale, non va dimenticato, una delle fonti poetiche principali è ancora l'Eneide di Virgilio.
L'episodio è interessante anche per la particolare interpretazione della figura di Virgilio che spiega, tra l'altro, perché Dante abbia scelto lui come guida per i due terzi del viaggio al centro della Commedia e come allegoria della ragione umana dei filosofi, anche in questo accodandosi a una lunga tradizione esegetica che riconosceva nell'autore di Egloghe e Eneide uno dei grandi saggi dell'antichità: l'errata lettura dell'Egloga IV (in cui si profetizzava una sorta di rinnovamento generale per la nascita di un puer, che ovviamente non era Cristo ma il figlio di Asinio Pollione protettore del poeta latino) aveva diffuso nel Medioevo la leggenda di un Virgilio "mago e profeta" del Cristianesimo, totalmente sbagliata ma tale da accrescere ancor di più la sua fama di grande poeta e pensatore, facendo sì che il suo poema venisse sottoposto a una quantità notevole di riletture e interpretazioni in chiave religiosa. Dante accoglie in parte questa tradizione non facendo di Virgilio un cristiano, dal momento che lo relega nel Limbo assieme a Omero e Orazio, ma ipotizzando che nella sua opera potesse aver toccato in modo inconsapevole quelle verità di fede da lui non ancora conosciute, ma intuite ed espresse in modo che altri potessero coglierle e fruirne per la propria salvezza, come accaduto a Stazio che, infatti, afferma che Virgilio ha fatto come colui che procede di notte con un lume dietro di sé, illuminando il cammino di chi lo segue e non giovando a se stesso. Tutto ciò appare molto lontano dal nostro modo di pensare e dalla nostra conoscenza "scientifica" delle opere del periodo classico, ma Dante appartiene a un'età in cui tale consapevolezza ancora non esiste e il mondo antico viene sottoposto a una rilettura in chiave cristiana che risulta "deformante" e incompatibile con il pensiero moderno che di lì a poco l'Umanesimo avrebbe plasmato, anche se occorre tenere conto di questo atteggiamento per capire tanti aspetti della poesia dantesca che altrimenti risulterebbero incomprensibili, e soprattutto per evitare una loro interpretazione in chiave "moderna" che sarebbe altrettanto fuorviante e rischiosa dal punto di vista critico. Il rapporto "falsato" di Dante e del suo tempo con la cultura classica spiega inoltre la presenza più o meno distorta di tante altre figure del mondo antico e della mitologia nel poema, a cominciare dalle divinità demonizzate e incluse nella descrizione dell'Inferno (Caronte, Minosse, Cerbero...), nonché la salvezza inattesa e per certi versi scandalosa di Catone l'Uticense a dispetto del suo essere pagano e suicida (è posto addirittura come custode del Purgatorio) e di alcuni personaggi pagani che troviamo persino tra i beati del Paradiso, tra cui soprattutto Rifeo e l'imperatore Traiano, per il quale Dante giustifica la salvezza ricorrendo a una leggenda assai diffusa in ambito cristiano nel Medioevo (anche in questo Dante si allinea alle interpretazioni consolidate della sua cultura, per cui nulla di ciò che scrive appare totalmente gratuito e lo "scandalo" suscitato si appoggia sempre ad autorità scritturali e teologiche, conformemente al carattere "rivelato" di tutta la sua opera).
Nel canto seguente (XXII) è Virgilio a chiedere a Stazio com'è possibile che un poeta della sua sapienza abbia peccato di avarizia e l'altro risponde spiegando che in realtà il peccato in cui è caduto è quello opposto di prodigalità, del quale però si è pentito grazie alla lettura di un passo virgiliano: Stazio cita il libro III dell'Eneide quando Virgilio, parlando dell'uccisione di Polidoro ad opera di Polinestore per rubargli le sue ricchezze, affermava Quid non mortalia pectora cogis, / auri sacra fames? ("A cosa non spingi i petti dei mortali, o esecranda fame dell'oro?"), passo che però Dante fraintende credendo che Virgilio parli della "sacra fame" delle ricchezze, ovvero la giusta brama del denaro che deve bilanciare l'eccessiva prodigalità (non è del resto l'unico caso di fraintendimento del testo latino da parte del poeta fiorentino, complice la sua scarsa padronanza della lingua classica). Quel brano fece capire a Stazio il suo peccato e lo indusse a pentirsi, cosa che dovrebbero fare tutti i prodighi per non ritrovarsi il giorno del Giudizio coi "crini scemi", ovvero i capelli tagliati dopo essere stati dannati all'Inferno (Stazio riprende quanto detto da Virgilio stesso in Inf., VII su avari e prodighi). La risposta suscita un nuovo dubbio di Virgilio, poiché egli sa che Stazio si è sempre mostrato pagano in tutte le sue opere, e l'autore della Tebaide spiega che ancora suo è il merito della conversione al Cristianesimo, poiché la lettura dell'Egloga IV (quella che erroneamente era interpretata nel Medioevo come preannuncio della venuta di Cristo) lo spinse a guardare con occhi nuovi i cristiani che cominciavano a diffondersi e a predicare nel I sec., per cui egli divenne uno di loro ma nascose la sua fede per timore delle persecuzioni, macchiandosi del peccato di accidia che ha scontato nella cornice sottostante dove è rimasto più di quattrocento anni. Il racconto di Stazio si conclude con un solenne ringraziamento nei confronti di Virgilio, che è stato per lui prima fonte di ispirazione poetica e poi di conversione alla vera fede e di pentimento ("per te poeta fui, per te cristiano"), e con un'altissima celebrazione del valore della poesia che non è solo modello di comportamento morale ma addirittura strumento di salvezza spirituale, valore che implicitamente Dante attribuisce al suo stesso poema per il quale, non va dimenticato, una delle fonti poetiche principali è ancora l'Eneide di Virgilio.
L'episodio è interessante anche per la particolare interpretazione della figura di Virgilio che spiega, tra l'altro, perché Dante abbia scelto lui come guida per i due terzi del viaggio al centro della Commedia e come allegoria della ragione umana dei filosofi, anche in questo accodandosi a una lunga tradizione esegetica che riconosceva nell'autore di Egloghe e Eneide uno dei grandi saggi dell'antichità: l'errata lettura dell'Egloga IV (in cui si profetizzava una sorta di rinnovamento generale per la nascita di un puer, che ovviamente non era Cristo ma il figlio di Asinio Pollione protettore del poeta latino) aveva diffuso nel Medioevo la leggenda di un Virgilio "mago e profeta" del Cristianesimo, totalmente sbagliata ma tale da accrescere ancor di più la sua fama di grande poeta e pensatore, facendo sì che il suo poema venisse sottoposto a una quantità notevole di riletture e interpretazioni in chiave religiosa. Dante accoglie in parte questa tradizione non facendo di Virgilio un cristiano, dal momento che lo relega nel Limbo assieme a Omero e Orazio, ma ipotizzando che nella sua opera potesse aver toccato in modo inconsapevole quelle verità di fede da lui non ancora conosciute, ma intuite ed espresse in modo che altri potessero coglierle e fruirne per la propria salvezza, come accaduto a Stazio che, infatti, afferma che Virgilio ha fatto come colui che procede di notte con un lume dietro di sé, illuminando il cammino di chi lo segue e non giovando a se stesso. Tutto ciò appare molto lontano dal nostro modo di pensare e dalla nostra conoscenza "scientifica" delle opere del periodo classico, ma Dante appartiene a un'età in cui tale consapevolezza ancora non esiste e il mondo antico viene sottoposto a una rilettura in chiave cristiana che risulta "deformante" e incompatibile con il pensiero moderno che di lì a poco l'Umanesimo avrebbe plasmato, anche se occorre tenere conto di questo atteggiamento per capire tanti aspetti della poesia dantesca che altrimenti risulterebbero incomprensibili, e soprattutto per evitare una loro interpretazione in chiave "moderna" che sarebbe altrettanto fuorviante e rischiosa dal punto di vista critico. Il rapporto "falsato" di Dante e del suo tempo con la cultura classica spiega inoltre la presenza più o meno distorta di tante altre figure del mondo antico e della mitologia nel poema, a cominciare dalle divinità demonizzate e incluse nella descrizione dell'Inferno (Caronte, Minosse, Cerbero...), nonché la salvezza inattesa e per certi versi scandalosa di Catone l'Uticense a dispetto del suo essere pagano e suicida (è posto addirittura come custode del Purgatorio) e di alcuni personaggi pagani che troviamo persino tra i beati del Paradiso, tra cui soprattutto Rifeo e l'imperatore Traiano, per il quale Dante giustifica la salvezza ricorrendo a una leggenda assai diffusa in ambito cristiano nel Medioevo (anche in questo Dante si allinea alle interpretazioni consolidate della sua cultura, per cui nulla di ciò che scrive appare totalmente gratuito e lo "scandalo" suscitato si appoggia sempre ad autorità scritturali e teologiche, conformemente al carattere "rivelato" di tutta la sua opera).