Letteratura italiana
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Pietro Bembo


«Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura»
(Rime, 5)

Sonetto composto agli inizi del Cinquecento e forse dedicato all'amore per Lucrezia Borgia, in cui l'autore elenca le caratteristiche della bellezza della donna tra cui i capelli biondi, gli occhi luminosi, il riso e la voce armoniosa che rendono felice chi la ammira e che sono doni dispensati a pochi dalla generosità del cielo. Tutto ciò è stato l'esca che ha dato fuoco al cuore del poeta, anche questa immagine di evidente derivazione petrarchesca.

► PERCORSO: Il Rinascimento





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Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura,
ch'a l'aura su la neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che 'l sole,
da far giorno seren la notte oscura,     

riso, ch'acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond'escono parole
sì dolci, ch'altro ben l'alma non vòle,
man d'avorio, che i cor distringe e fura,

cantar, che sembra d'armonia divina,
senno maturo a la più verde etade,
leggiadria non veduta unqua fra noi,

giunta a somma beltà somma onestade,
fur l'esca del mio foco, e sono in voi
grazie, ch'a poche il ciel largo destina.

Dei capelli biondi e ricci, che sembrano ambra chiara e pura e che tu fai ondeggiare e volare al vento sul viso candido come neve; due occhi dolci e più luminosi del sole, tali da illuminare a giorno anche la notte più oscura;

un sorriso, che acquieta ogni dura e aspra pena; dei rubini [il rosso delle labbra] e delle perle [il bianco dei denti], da dove escono parole così dolci che l'anima non desidera altro bene; una mano d'avorio, che stringe e rapisce i cuori;

un canto che sembra un'armonia divina; un senno maturo per una età così giovane; una leggiadria che non si è mai vista sulla terra;

una suprema onestà unita a una suprema bellezza: tutto ciò è stato l'esca al mio fuoco [mi ha fatto innamorare] e in voi sono delle grazie che il cielo generoso attribuisce a poche donne.


Interpretazione complessiva

  • Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, DEC (inconsueto nelle terzine, ma conforme a quello usato da Boiardo nel suo Canzoniere). I vv. 2, 7 sono in rima equivoca ("vole" da volare e "vòle" da volere); al v. 11 "unqua" è latinismo per "mai". Al v. 3 è presente un chiasmo ("occhi soavi... / chiari... sole"). L'intera poesia è costituita da un unico periodo, con un lungo elenco di soggetti il cui verbo reggente è "fur" (v. 13), cui segue una breve coordinata ai vv. 13-14. La lingua ricalca quella di Petrarca, con alcune riprese testuali (si veda oltre).
  • La lirica è dedicata a una donna amata da Bembo (forse Lucrezia Borgia, da lui conosciuta nel 1502 a Ferrara), di cui l'autore descrive e celebra la bellezza elencandone le molte caratteristiche e riprendendo i motivi tipici della tradizione letteraria, dallo Stilnovo a Petrarca: i capelli sono biondi e ricci, simili all'ambra, e risaltano sul biancore della pelle simile a neve; le labbra rosse e i denti bianchi sono paragonati a rubini e perle, mentre la mano è d'avorio, tutti elementi preziosi e nobili; la donna inoltre è detta matura e saggia, tutte qualità che il Cielo non attribuisce certo a molte donne (tutto questo è stato "esca" al fuoco della passione di Bembo, lo ha cioè fatto innamorare perdutamente). Il sonetto delinea un amore platonico che si rifà alle teorie filosofiche espresse negli Asolani, mentre sappiamo che l'amore per la Borgia (ammesso che la lirica sia davvero indirizzata a lei) fu corrisposto ed espose il Bembo a non pochi rischi, né fu l'unica relazione che intrattenne anche dopo essere diventato cardinale.
  • Il Canzoniere di Petrarca è citato a larghe mani nel testo e alcuni versi sono quasi delle riprese letterali del grande modello: il v. 1 riprende 160.14 ("a l’oro terso et crespo"), il v. 2 è simile invece a 157.9 ("La testa òr fino, et calda neve il volto"); l'immagine dei rubini e delle perle (v. 6) ricorda 157.12-13 ("perle et rose vermiglie, ove l’accolto / dolor formava ardenti voci et belle"), invece la "man d'avorio" del v. 8 riprende 181.11 ("la man ch’avorio et neve avanza"). L' "esca" del v. 13 si rifà a 90.7-8 ("i’ che l’esca amorosa al petto avea, / qual meraviglia se di sùbito arsi?"; ► TESTO: Erano i capei d'oro a l'aura sparsi), mentre il v. 14 è quasi ripresa letterale di 213.1 ("Grazie ch’a pochi il ciel largo destina"), con la particolarità che il verso petrarchesco apre il sonetto, mentre quello di Bembo lo chiude. La metafora della neve a indicare la pelle bianca sarà a sua volta ripresa da Tasso nella Liberata, nella descrizione di Armida che avrà anche lei i capelli biondi e ricci (► TESTO: Armida al campo dei Crociati).
  • Il sonetto verrà parodiato da Francesco Berni nella lirica Chiome d'argento fino, in cui lo scrittore toscano descrive una donna vecchia e brutta dai capelli grigi, il viso giallastro, la bocca sdentata..., al fine di rovesciare in modo paradossale gli elementi più tipici del petrarchismo (Berni è infatti accostato al filone dell'Antirinascimento; ► TESTO: Chiome d'argento fino).


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