Francesco Berni
«Chiome d'argento fino irte e attorte»
(Rime, 23)
Il sonetto vuol essere una parodia del più celebre "Crin d'oro e crespo" di Pietro Bembo, di cui riprende le immagini petrarchesche per rovesciarle in modo paradossale e descrivere una donna che è l'opposto della figura angelica dell'originale (i capelli sono grigi, il viso giallo e rugoso, la dentatura tutt'altro che perfetta...). La lirica rientra in una certa tradizione della poesia comica del XIII-XIV sec., in cui l'elogio della donna brutta voleva essere parodia dello Stilnovo, e il motivo verrà a sua volta ripreso dai poeti barocchi nel tentativo di "variare" il tema dell'elogio femminile.
► PERCORSO: Il Rinascimento
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Chiome d’argento fino, irte e attorte
senz’arte intorno ad un bel viso d’oro; fronte crespa, u’ mirando io mi scoloro, dove spunta i suoi strali Amor e Morte; occhi di perle vaghi, luci torte da ogni obietto diseguale a loro; ciglie di neve e quelle, ond’io m’accoro, dita e man dolcemente grosse e corte; labra di latte, bocca ampia celeste; denti d’ebeno rari e pellegrini; inaudita ineffabile armonia; costumi alteri e gravi: a voi, divini servi d’Amor, palese fo che queste son le bellezze della donna mia. |
Capelli di argento fino [grigi] scompigliati e attorcigliati senza cura attorno a un bel viso dorato [giallo]; una fronte increspata [rugosa], guardando la quale io impallidisco e dove Amore e Morte spuntano le loro frecce [non possono nulla];
occhi graziosi per le lacrime, occhi che distolgono lo sguardo da tutto ciò che non siano loro [strabici]; ciglia bianche e quelle dita e mani dolcemente grosse e corte, per cui io mi struggo; labbra bianche, bocca ampia e livida; denti neri e per di più molto radi [bocca sdentata]; voce incredibile e indicibile; modi sdegnosi e fieri: a voi, divini servi di Amore, rendo noto che queste sono le bellezze della mia donna. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, DEC (identico a quello del sonetto di Bembo). Molti gli artifici retorici, usati a scopo parodistico, come l'allitterazione della "s" al v. 4 e di "in" al v. 11, inoltre enjambement ai vv. 1-2, 5-6, 12-13. L'autore usa volutamente vari termini del lessico petrarchesco, come "strali" (v. 4), "luci" (v. 5, accanto a "occhi"), "ond'io m'accoro" (v. 7). Al v. 3 u' è latinismo per "dove" (ubi).
- La lirica è la evidente parodia del sonetto di Pietro Bembo Crin d'oro crespo, che era costituito da un lungo elenco di elementi della bellezza della donna per tesserne l'elogio (► VAI AL TESTO): Berni costruisce il testo in modo analogo ma rovescia in modo paradossale gli elementi citati, per cui la sua donna ha i capelli d'argento e il viso d'oro, cioè è una vecchia coi capelli grigi e il viso giallastro, inoltre la fronte è rugosa ("crespa", con evidente ripresa del v. 1 del sonetto di Bembo) e su di essa sono inefficaci le frecce di Amore e Morte, poiché la donna non si innamora e non muore. Gli occhi sono lacrimosi e strabici, le ciglia sono bianche ("di neve", che pure riprende il verso di Bembo "ch'all'aura su la neve ondeggi e vole" riferito al biancore del volto), le mani non sono d'avorio ma grosse e sgraziate; la bocca è sdentata e i pochi denti sono neri ("d'ebeno", in opposizione ironica all'avorio spesso evocato nelle descrizioni femminili), mentre la voce della donna non si riesce né a capire né a riferire ed è definita ironicamente "armonia". Tale descrizione riprende il motivo della descrizione della donna brutta che già la poesia del Due-Trecento opponeva in modo parodistico allo Stilnovo e rivela almeno in parte la misoginia di fondo dello scrittore, accostabile a quella di Boccaccio nel Corbaccio in cui la vedova di cui l'autore si è invaghito viene descritta nella sua bruttezza al risveglio, prima del trucco, col "viso verde, giallo, maltinto d’un colore di fummo di pantano, e broccuta quali sono gli uccelli che mudano" (► TESTO: La bellezza artificiale delle donne). Anche la poesia barocca del Seicento descriverà spesso donne dai particolari bizzarri, come ad es. gli occhi strabici.