Angelo Poliziano
La celebrazione dei Medici
(Stanze, II, 1-12)
Il passo si colloca all'inizio del secondo libro, dopo che Cupido ha compiuto la sua vendetta ai danni di Iulio-Giuliano e ha fatto ritorno al regno della madre Venere sull'isola di Cipro, la cui descrizione è ampiamente contenuta alla fine del libro precedente: Venere, alzatasi dal letto di Marte, ha chiesto al figlio quale impresa abbia compiuto e Cupido si accinge a raccontarle tutto, aggiungendo particolari su Iulio e sulla sua famiglia, intonando così un panegirico dei Medici e in particolare di Lorenzo (chiamato classicamente "Lauro"). La pagina sviluppa il tema encomiastico al centro dell'opera e introduce il fatto saliente della giostra allestita da Giuliano in onore di Simonetta, aspetto poi trascurato a causa dell'abbandono della composizione.
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Angelo Poliziano
► PERCORSO: L'Umanesimo
► AUTORE: Angelo Poliziano
1
Eron già tutti alla risposta intenti e pargoletti intorno all’aureo letto, quando Cupido con occhi ridenti, tutto protervo nel lascivo aspetto, si strinse a Marte, e colli strali ardenti della faretra gli ripunse il petto, e colle labra tinte di veleno baciollo, e ’l fuoco suo gli misse in seno. 2 Poi rispose alla madre: «E’ non è vana la cagion che sì lieto a te mi guida: ch’i’ ho tolto dal coro di Diana el primo conduttor, la prima guida, colui di cui gioir vedi Toscana, di cui già insino al ciel la fama grida, insino agl’Indi, insino al vecchio Mauro: Iulio, minor fratel del nostro Lauro. 3 L’antica gloria e ’l celebrato onore chi non sa della Medica famiglia, e del gran Cosmo, italico splendore, di cui la patria sua si chiamò figlia? E quanto Petro al paterno valore n’aggiunse pregio, e con qual maraviglia dal corpo di sua patria rimosse abbia le scelerate man, la crudel rabbia? 4 Di questo e della nobile Lucrezia nacquene Iulio, e pria ne nacque Lauro: Lauro che ancor della bella Lucrezia arde, e lei dura ancor si mostra a Lauro, rigida più che a Roma già Lucrezia, o in Tessaglia colei che è fatta un lauro; né mai degnò mostrar di Lauro agli occhi se non tutta superba e suo’ begli occhi. 5 Non priego non lamento al meschin vale, ch’ella sta fissa come torre al vento, perch’io lei punsi col piombato strale, e col dorato lui, di che or mi pento; ma tanto scoterò, madre, queste ale, che ’l foco accenderolli al petto drento: richiede ormai da noi qualche restauro, la lunga fedeltà del franco Lauro, 6 che tutt’or parmi pur veder pel campo, armato lui, armato el corridore, come un fer drago gir menando vampo, abatter questo e quello a gran furore, l’armi lucenti sue sparger un lampo che tremar faccin l’aier di splendore; poi, fatto di virtute a tutti essemplo, riportarne il trionfo al nostro templo. 7 E che lamenti già le Muse ferno, e quanto Apollo s’è già meco dolto ch’i’ tenga il lor poeta in tanto scherno! et io con che pietà suo’ versi ascolto! ch’i’ l’ho già visto al più rigido verno, pien di pruina e crin, le spalle e ’l volto, dolersi colle stelle e colla luna, di lei, di noi, di suo crudel fortuna. 8 Per tutto el mondo ha nostre laude sparte, mai d’altro mai se non d’amor ragiona; e potea dir le tue fatiche, o Marte, le trombe e l’arme, e ’l furor di Bellona; ma volle sol di noi vergar le carte, e di quella gentil ch’a dir lo sprona: ond’io lei farò pia, madre, al suo amante ch’i’ pur son tuo, non nato d’adamante. 9 I’ non son nato di ruvida scorza, ma di te, madre bella, e son tuo figlio; né crudele esser deggio, e lui mi sforza a riguardarlo con pietoso ciglio. Assai provato ha l’amorosa forza, assai giaciuto è sotto ’l nostro artiglio; giust’è ch’e’ faccia ormai co’ sospir triegua, e del suo buon servir premio consegua. 10 Ma ’l bel Iulio ch’a noi stato è ribello, e sol di Delia ha seguito el trionfo, or drieto all’orme del suo buon fratello vien catenato innanzi al mio trionfo; né mosterrò già mai pietate ad ello finché ne porterà nuovo trionfo: ch’i’ gli ho nel cor diritta una saetta dagli occhi della bella Simonetta. 11 E sai quant’è nel petto e nelle braccia, quanto sopra ’l destriero è poderoso: pur mo’ lo vidi sì feroce in caccia, che parea il bosco di lui paventoso; tutta aspreggiata avea la bella faccia, tutto adirato, tutto era focoso. Tal vid’io te là sovra el Termodonte cavalcar, Marte, e non con esta fronte. 12 Questa è, madre gentil, la mia vittoria; quinci è ’l mio travagliar, quinci è ’l sudore; così va sovra al cel la nostra gloria, el nostro pregio, el nostro antico onore; così mai scancellata la memoria fia di te, madre, e del tuo figlio Amore; così canteran sempre e versi e cetre li stral, le fiamme, gli archi e le faretre». |
Gli amorini erano già tutti attenti alla risposta intorno al letto dorato [di Venere e Marte], quando Cupido con gli occhi ridenti, spavaldo nel suo aspetto lascivo, si avvicinò a Marte e gli punse nuovamente il petto con le frecce ardenti della faretra, e lo baciò con le labbra intinte di veleno, mettendogli nel petto il suo fuoco amoroso. Poi rispose alla madre: «Non è una ragione di poco conto quella che mi porta così lieto al tuo cospetto: infatti io ho sottratto al corteo di Diana il primo conduttore, la prima guida, colui per il quale vedi la Toscana gioire, di cui la fama si innalza già fino al cielo, fino agli abitanti dell'India, fino agli antichi abitanti dell'Africa: Iulio [Giuliano], fratello minore del nostro Lauro [Lorenzo]. Chi non conosce l'antica gloria e la celebrata fama della famiglia Medici, e del grande Cosimo, splendore dell'Italia, di cui la sua patria [Firenze] poté dirsi figlia? E chi non sa quanto Piero aggiunse al pregio del valore del padre, e con quale meraviglia abbia tolto dal corpo della sua patria le mani scellerate, la rabbia crudele [delle famiglie rivali]? Da lui e dalla nobile Lucrezia [Tornabuoni] nacque Iulio e prima di lui nacque Lauro: Lauro che ancora è innamorato della bella Lucrezia [Donati] e lei ancora si mostra dura verso di lui, più ancora di quando fece Lucrezia nell'antica Roma, o in Tessaglia colei [Dafne] che fu tramutata in un lauro; e non si degnò mai di mostrare agli occhi di Lauro i suoi begli occhi, se non con aria superba. Al poverino non servono né preghiere né lamenti, poiché ella sta ferma come una torre al vento; infatti io punsi lei con la freccia di piombo [del disamore] e lui con quella dorata [dell'amore], fatto di cui ora mi pento; ma, o madre, scuoterò queste mie ali al punto che le accenderò il fuoco nel petto: la lunga fedeltà del nobile Lauro richiede ormai un mio risarcimento, poiché mi sembra ancora di vederlo andare nel campo [nella giostra del 1469] lui armato e armato il suo cavallo, come un drago feroce va spirando nobile orgoglio, mentre abbatte ogni avversario con gran furore e le sue armi lucenti emettono un lampo che fa tremare l'aria di splendore; poi, diventato a tutti un esempio di valore, riporta il trionfo al nostro tempio. E quali lamenti fecero già le Muse, e quanto Apollo si è lagnato con me, perché io tengo in tanto scherno il loro poeta [Lorenzo]! Ed io con quale pietà ascolto i suoi versi! Io l'ho già visto nel più rigido inverno, con i capelli le spalle e il volto pieni di brina, lagnarsi con le stelle e con la una di lei [Lucrezia Donati], di noi, del suo crudele destino. Egli ha sparso in tutto il mondo le nostre lodi e non parla mai d'altro se non d'amore; e avrebbe potuto celebrare le tue imprese, o Marte, le trombe militari e le armi, e il furore di Bellona; ma volle scrivere versi solo su di noi, e di quella nobile donna che lo spinge a cantare: per cui, madre, io la renderò sensibile al suo amante, poiché io sono nato da te e non dal diamante. Io non sono nato da una scorza ruvida, ma da te, bella madre, e sono tuo figlio; non devo essere crudele e lui mi spinge a guardarlo con occhi pietosi. Ha provato a sufficienza la forza dell'amore, è rimasto abbastanza sotto i nostri artigli; è giusto che ormai faccia tregua coi sospiri e ottenga il premio del suo buon servizio. Ma il bel Iulio che è stato ribelle a noi e ha seguito il trionfo della sola Diana [è stato casto], ora viene incatenato davanti al mio trionfo, dietro le orme del suo buon fratello; e non mostrerò mai pietà verso di lui, finché lui non conseguirà un nuovo trionfo; infatti gli ho centrato il cuore con una freccia, facendolo innamorare della bella Simonetta. E tu sai quanto lui sia possente nel petto e nelle braccia, e in groppa al suo destriero: poc'anzi l'ho visto così accanito nella caccia che il bosco sembrava avesse paura di lui; aveva la bella faccia piena di asprezza, era tutto adirato, tutto focoso. Così io vidi te, Marte, cavalcare là sopra il Termodonte [fiume della Tessaglia] e non con questo volto. Questa è la mia vittoria, nobile madre: da qui ha origine il mio travaglio, il mio sudore; così salgono al cielo la nostra gloria, il nostro pregio, il nostro antico onore; così non sarà mai cancellata la memoria di te, madre, e di tuo figlio Amore; così i versi e le cetre canteranno sempre le frecce, le fiamme, gli archi e le faretre». |
Interpretazione complessiva
- Il passo, dedicato alla celebrazione encomiastica della famiglia Medici attraverso le figure di Lorenzo e Giuliano, si apre con la ripresa di Eneide, II, 1-2, quando Enea, interrogato da Didone circa la caduta della città di Troia e i suoi successivi viaggi, si accinge a iniziare il suo lungo racconto: anche qui siamo, in modo significativo, all'inizio del secondo libro e l'intento dell'autore è di innalzare lo stile poetico, al fine di introdurre l'excursus sui Medici che doveva costituire, almeno nelle intenzioni, la parte centrale del poemetto. Il panegirico dei Medici inizia da Iulio-Giuliano, presentato come seguace della dea Diana (quindi casto e incurante dell'amore) e che finalmente Cupido è riuscito a fare innamorare di Simonetta (► TESTO: Iulio e Simonetta), motivo che è introdotto all'ott. 2 e ripreso in modo "circolare" alla fine del passo, alle ott. 10-12. Iulio è presentato come giovane possente e valoroso, qualità che egli ha mostrato durante la battuta di caccia, e viene esplicitamente paragonato al dio Marte, alludendo alle doti guerresche che avrà modo di dimostrare in occasione della futura giostra.
- La celebrazione dei Medici è naturalmente centrata sulla figura di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze e protettore di Poliziano, qui detto classicamente "Lauro" e presentato come degno successore di Cosimo il Vecchio, fondatore della signoria medicea e "padre della patria", nonché figlio di Piero, colui che ha consolidato il potere della famiglia sulla città strappandola alle famiglie rivali. Lorenzo è detto essere figlio di Lucrezia Tornabuoni e viene ricordato il suo amore per Lucrezia Donati, protagonista di molte poesie scritte dal mecenate e il cui contegno sprezzante verso Lorenzo viene attribuito letterariamente a Cupido stesso, che l'avrebbe colpita con la freccia del disamore: la donna è paragonata alla matrona romana Lucrezia e a Dafne del mito di Apollo, nell'ott. 4 in cui il nome Lucrezia è ripetuto tre volte in rima e sempre con significato diverso (la madre di Lorenzo, la donna amata, la matrona). Sempre nell'ott. 4 il termine "Lauro" è pure ripetuto tre volte in rima (due volte riferito a Lorenzo, una volta all'alloro) e gli ultimi due versi presentano ancora una rima ripetuta ("occhi"), riferito allo sguardo di Lorenzo e a quello di Lucrezia. L'allusione all'infelice amore di Lorenzo per la donna dà modo a Poliziano di celebrarne l'attività poetica, col dire inoltre che essa è totalmente concentrata sul tema amoroso e trascura quello militare, mentre noi sappiamo che il giovane Lorenzo scrisse versi comici ispirati dall'amico Pulci.
- Lorenzo viene esaltato dall'autore anche nelle sue qualità militari, mostrate in occasione della giostra vinta nel 1469 e durante la quale egli compì imprese eccezionali, dedicando poi il trionfo a Cupido stesso (cioè Lorenzo gareggiò in onore della Donati e nella speranza di conquistarne il cuore): il motivo anticipa la decisione di Iulio-Giuliano che bandirà la giostra del 1475 in onore di Simonetta, fatto che non verrà trattato nell'opera a causa della sua interruzione per la morte del protagonista. Alla giostra vinta da Lorenzo dedicò un arido poemetto l'amico e protetto Luigi Pulci, prima della sua rottura con la famiglia Medici.