Dante Alighieri
«Donne ch'avete intelletto d'amore»
(Vita nuova, cap. XIX)
È il capitolo di svolta dell'opera, quello in cui Dante (dopo l'equivoco delle due "donne-schermo" e il disdegno di Beatrice, che gli ha tolto il saluto) decide di riporre la sua felicità non più nel riconoscimento da parte dell'amata, bensì nella composizione dei versi in sua lode, per cui quando arriva l'ispirazione scrive questa canzone che è tra gli esempi forse più perfetti della poesia stilnovista dell'autore, e dello Stilnovo in generale. Il testo riprende molti motivi già presenti in Guinizelli e Cavalcanti (la virtù salvifica di Beatrice, la capacità di rendere nobile chi la ammira, il fatto che i beati in Paradiso reclamino la sua presenza...), con in più la consapevolezza di rivolgersi a un pubblico altamente selezionato, fatto di donne che sanno per esperienza cosa sia l'amore, che ne hanno "intelletto" (piena conoscenza). Dante era cosciente di iniziare un nuovo percorso poetico sia pure all'interno dello Stilnovo (le "nove rime") e si autocelebrò nel passo del "Purgatorio" in cui spiega a Bonagiunta da Lucca l'essenza della sua poesia, ovvero la diretta ispirazione di amore.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Vita nuova
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Avvenne poi che passando per uno cammino lungo lo quale sen gia [1] uno rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontade di dire, che io cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse [2]; e pensai che parlare di lei non si convenia che io facesse, se io non parlasse a donne in seconda persona [3], e non ad ogni donna, ma solamente a coloro che sono gentili [4] e che non sono pure femmine. Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per sé stessa mossa, e disse: Donne ch’avete intelletto d’amore. Queste parole io ripuosi ne la mente con grande letizia, pensando di prenderle per mio cominciamento; [5] onde poi, ritornato a la sopradetta cittade [6], pensando alquanti die, cominciai una canzone con questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua divisione [7]. La canzone comincia: Donne ch’avete.
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[1] Scorreva.
[2] La forma da utilizzare. [3] Se non rivolgendomi direttamente a delle donne. [4] Nobili. [5] Come incipit della canzone. [6] Firenze. [7] Nella razo (la spiegazione in prosa che segue). |
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Donne ch’avete intelletto d’amore,
i’ vo’ con voi de la mia donna dire, non perch’io creda sua laude finire, ma ragionar per isfogar la mente. Io dico che pensando il suo valore, Amor sì dolce mi si fa sentire, che s’io allora non perdessi ardire, farei parlando innamorar la gente. E io non vo’ parlar sì altamente, ch’io divenisse per temenza vile; ma tratterò del suo stato gentile a respetto di lei leggeramente, donne e donzelle amorose, con vui, ché non è cosa da parlarne altrui. Angelo clama in divino intelletto e dice: «Sire, nel mondo si vede maraviglia ne l’atto che procede d’un’anima che ’nfin qua su risplende». Lo cielo, che non have altro difetto che d’aver lei, al suo segnor la chiede, e ciascun santo ne grida merzede. Sola Pietà nostra parte difende, che parla Dio, che di madonna intende: «Diletti miei, or sofferite in pace che vostra spene sia quanto me piace là ’v’è alcun che perder lei s’attende, e che dirà ne lo inferno: O mal nati, io vidi la speranza de’ beati». Madonna è disiata in sommo cielo: or voi di sua virtù farvi savere. Dico, qual vuol gentil donna parere vada con lei, che quando va per via, gitta nei cor villani Amore un gelo, per che onne lor pensero agghiaccia e pere; e qual soffrisse di starla a vedere diverria nobil cosa, o si morria. E quando trova alcun che degno sia di veder lei, quei prova sua vertute, ché li avvien, ciò che li dona, in salute, e sì l’umilia, ch’ogni offesa oblia. Ancor l’ha Dio per maggior grazia dato che non pò mal finir chi l’ha parlato. Dice di lei Amor: «Cosa mortale come esser pò sì adorna e sì pura?». Poi la reguarda, e fra se stesso giura che Dio ne ’ntenda di far cosa nova. Color di perle ha quasi, in forma quale convene a donna aver, non for misura: ella è quanto de ben pò far natura; per essemplo di lei bieltà si prova. De li occhi suoi, come ch’ella li mova, escono spirti d’amore infiammati, che feron li occhi a qual che allor la guati, e passan sì che ’l cor ciascun retrova: voi le vedete Amor pinto nel viso, là ’ve non pote alcun mirarla fiso. Canzone, io so che tu girai parlando a donne assai, quand’io t’avrò avanzata. Or t’ammonisco, perch’io t’ho allevata per figliuola d’Amor giovane e piana, che là ’ve giugni tu diche pregando: «Insegnatemi gir, ch’io son mandata a quella di cui laude so’ adornata». E se non vuoli andar sì come vana, non restare ove sia gente villana: ingegnati, se puoi, d’esser palese solo con donne o con omo cortese, che ti merranno là per via tostana. Tu troverai Amor con esso lei; raccomandami a lui come tu dei. |
O donne che sapete che cos'è l'amore, io voglio parlare con voi della mia donna, non perché creda di esaurire la sua lode, ma [perché voglio] parlare per sfogare la mia mente. Io dico che, pensando alla sua virtù, l'amore mi si fa sentire in modo così dolce che, se io allora non perdessi coraggio, farei innamorare la gente parlando. E non voglio parlare in modo così profondo da diventare per timore insicuro; ma tratterò della sua nobiltà in modo superficiale a paragone di lei, con voi, donne e fanciulle innamorate, poiché non è argomento di cui si possa parlare con altri.
Un angelo si lamenta nella mente di Dio e dice: «O Signore, nel mondo si vede un miracolo incarnato che si manifesta in un'anima [Beatrice] e che risplende fin quassù». Il cielo, che non ha altro difetto se non che manca di lei, la chiede al suo Signore, e ogni santo ne chiede a gran voce la grazia. Solo la Pietà prende le nostre parti, in quanto Dio, riferendosi a madonna [Beatrice] parla così: «O miei amati, ora sopportate con pazienza che la vostra speranza [Beatrice] resti per il tempo che mi piace là [sulla Terra] dove c'è qualcuno che teme di perderla, e che dirà all'inferno: O dannati, io vidi la speranza dei beati». Madonna [Beatrice] è desiderata nel cielo più alto [l'Empireo, sede dei beati]: ora voglio farvi sapere della sua virtù. Dico che qualunque donna voglia sembrare nobile, deve andare con lei, che quando cammina per strada getta nei cuori non nobili un gelo, per cui ogni loro pensiero diventa di ghiaccio e muore; e chi sopportasse di starla a guardare diventerebbe nobile, oppure morirebbe. E quando lei trova qualcuno che sia degno di sostenere la sua vista, quello sperimenta la sua virtù, poiché tutto ciò che gli dona si trasforma in beatitudine, e lo rende umile a tal punto che dimentica ogni offesa. Dio le ha fornito anche una grazia superiore, poiché chi le ha parlato non può perdersi nella dannazione. Amore dice di lei: «Come può una creatura terrena essere così bella e pura?». Poi la osserva e giura tra sé e sé che Dio intende fare di lei qualcosa di straordinario. [Beatrice] ha la pelle di colore simile alla perla, nella giusta misura che si conviene a una donna, non eccessivamente: essa rappresenta quanto di bello può produrre la natura; si misura la bellezza usando lei come metro di paragone. Dai suoi occhi, a seconda di come li muova, escono spiriti infiammati d'amore, che colpiscono gli occhi a chiunque la guardi in quel momento, e passano [per gli occhi di chi guarda] in modo tale che ciascuno di essi ritrova il cuore: voi le vedete Amore dipinto nel viso, là dove nessuno può fissarla con lo sguardo. Canzone, io so che tu andrai a parlare a molte donne, quando ti avrò resa pubblica. Ora ti ammonisco, poiché ti ho allevata come una figlia d'Amore giovane e affabile, che dove tu arrivi dica pregando: «Indicatemi la strada, poiché io sono mandata a colei delle cui lodi sono adornata». E se non vuoi muoverti inutilmente, non restare dove ci sia gente non nobile: ingegnati, se puoi, di mostrarti solo a donne o a un uomo cortese, che ti condurranno là [da Beatrice] per la via più breve. Tu troverai Amore insieme a lei; raccomandami a lui come tu devi fare. |
Interpretazione complessiva
- Metro: canzone formata da cinque stanze di quattordici versi endecasillabi ciascuna, con schema della rima ABBCABBCCDDCEE (l'ultima stanza funge da congedo). Il numero dei versi delle stanze riprende quello del sonetto, mentre la scelta del verso (endecasillabo) è adeguata allo stile elevato e "tragico" del componimento. La lingua presenta forme siciliane ("vui", v, 13; "diverria", "morria" v. 36), latinismi ("laude", v. 3; "ave", v. 19), provenzalismi ("temenza", v. 10).
- La canzone è un perfetto esempio di testo stilnovista, con ripresa di vari temi tratti da Guinizelli e Cavalcanti, tuttavia è anche un momento di svolta nella poesia giovanile di Dante, il quale, dopo che Beatrice gli ha tolto il saluto a causa dell'equivoco delle "donne-schermo", ripone tutta la sua felicità nelle rime di lode e non si aspetta più un riscontro da parte dell'amata; la lirica costituisce perciò il superamento della concezione cortese della poesia quale "servizio" d'amore in cambio del quale deve corrispondere un "beneficio", poiché l'amore qui diventa pura contemplazione della persona amata e il legame si spiritualizza sino a diventare un'esperienza quasi mistica, come più avanti nel sonetto Tanto gentile del cap. XXVI (► VAI AL TESTO). Dante era pienamente consapevole della novità rappresentata da questa canzone e non stupisce che Bonagiunta da Lucca, nell'episodio del canto XXIV del Purgatorio, citi questo testo come inizio delle "nove rime", con Dante che si presenta come poeta direttamente ispirato da amore e il guittoniano che dà la celebre definizione di Dolce Stil Novo (► TESTO: Dante e Bonagiunta); del resto nella prosa che precede la lirica Dante insiste proprio sul fatto che la sua lingua, dopo l'ispirazione di questo testo, "parlò quasi come per sé stessa mossa", affermazione che sembra poi ripresa da Bonagiunta in Purg., XXIV quando parla di Amore come "dittatore" cui le "penne" di Dante e degli stilnovisti "sen vanno strette", si attengono cioè in modo scrupoloso.
- Il testo riprende, ampliandoli, alcuni motivi di Guinizelli e Cavalcanti, a cominciare dalla dichiarazione di incapacità di esprimere pienamente la lode di Beatrice (vv. 9-14) che si rifà al tema dell'ineffabilità della bellezza della donna, a sua volta affine alla poesia religiosa (► TESTO: Chi è questa che vèn), mentre la scelta di rivolgersi a un pubblico selezionato di donne che sanno cos'è l'amore è un altro tema tipicamente cavalcantiano; la stanza 2, in cui si dice che i beati reclamano Beatrice, la cui presenza renderebbe il Paradiso più perfetto, richiama il congedo della canzone-manifesto Al cor gentil di Guinizelli (► VAI AL TESTO), come dallo stesso autore è tratta la lode di Beatrice che fa diventare nobile o respinge l'uomo scortese che la vede per strada (vv. 31-42), al pari dalla virtù a lei attribuita di condurre alla salvezza tutti quelli che ne sostengono la visione (► TESTO: Io voglio del ver la mia donna laudare). La descrizione della bellezza fisica di Beatrice riprende inoltre il canone della bellezza classica cui solitamente si rifanno le descrizioni femminili della lirica cortese, specie il colore della pelle che è paragonato a quello delle perle ma che, si dice, non dev'essere "for misura" (v. 48), cioè troppo pallido, mentre l'immagine degli spiriti d'amore infuocati che escono dai suoi occhi e colpiscono quelli di chi guarda, raggiungendo facilmente il cuore e innamorandolo, è di nuovo tipica di Cavalcanti (► TESTO: Voi che per li occhi mi passaste 'l core).
- Nella stanza finale di congedo l'autore si rivolge direttamente al componimento e lo invita a recarsi dalla donna amata con cortesia, secondo uno schema tipico già nella poesia provenzale e siciliana, inoltre Dante raccomanda alla canzone di non mostrarsi a "gente villana" (v. 65) che non capirebbe il senso, proprio come faceva Cavalcanti nella sua "ballatetta" (► TESTO: Perch'i' no spero di tornar giammai). La dichiarazione del poeta si ricollega a quella iniziale che individuava il pubblico nelle donne che hanno "intelletto d'amore" e tale ripresa dà una struttura circolare alla lirica, con le stanze centrali che si concentrano sulla lode disinteressata della donna. Tale struttura è chiaramente spiegata dallo stesso Dante nella prosa esplicativa (razo) che segue il testo nel cap. XIX, dove si dice che la poesia è "divisa" (spiegata) "più artificiosamente che l'altre cose di sopra".