Dante Alighieri
«Amor che ne la mente mi ragiona»
(Convivio, III)
È la canzone commentata all'inizio del III trattato dell'opera, probabilmente composta in origine per la "donna gentile" di cui si parla nei capp. XXXV ss. della "Vita nuova" e qui reinterpretata come allegoria della filosofia, allo studio della quale Dante si era appunto dedicato per trovare consolazione della morte di Beatrice: Dante insiste sull'incapacità del suo intelletto a comprendere tutte le parole che lei gli rivolge e anche sulla sua difficoltà a esprimerne compiutamente la bellezza, secondo un motivo largamente usato già nello Stilnovo (soprattutto da Cavalcanti) e che verrà più avanti ripreso nel "Paradiso" per la descrizione di Beatrice. Nonostante la ripresa di moduli e stilemi stilnovisti, è evidente che la canzone è un esempio di quella poesia dottrinale e filosofica che segue l'esperienza del libello giovanile e che troverà successiva collocazione proprio nel "Convivio".
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
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Amor che ne la mente mi ragiona
de la mia donna disiosamente, move cose di lei meco sovente, che lo 'ntelletto sovr'esse disvia. Lo suo parlar sì dolcemente sona, che l'anima ch'ascolta e che lo sente dice: "Oh me lassa! ch'io non son possente di dir quel ch'odo de la donna mia!" E certo e' mi conven lasciare in pria, s'io vo' trattar di quel ch'odo di lei, ciò che lo mio intelletto non comprende; e di quel che s'intende gran parte, perché dirlo non savrei. Però, se le mie rime avran difetto ch'entreran ne la loda di costei, di ciò si biasmi il debole intelletto e 'l parlar nostro, che non ha valore di ritrar tutto ciò che dice Amore. Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira, cosa tanto gentil, quanto in quell'ora che luce ne la parte ove dimora la donna di cui dire Amor mi face. Ogni Intelletto di là su la mira, e quella gente che qui s'innamora ne' lor pensieri la truovano ancora, quando Amor fa sentir de la sua pace. Suo esser tanto a Quei che lel dà piace, che 'nfonde sempre in lei la sua vertute oltre 'l dimando di nostra natura. La sua anima pura, che riceve da lui questa salute, lo manifesta in quel ch'ella conduce: ché 'n sue bellezze son cose vedute che li occhi di color dov'ella luce ne mandan messi al cor pien di desiri, che prendon aire e diventan sospiri. In lei discende la virtù divina sì come face in angelo che 'l vede; e qual donna gentil questo non crede, vada con lei e miri li atti sui. Quivi dov'ella parla si dichina un spirito da ciel, che reca fede come l'alto valor ch'ella possiede è oltre quel che si conviene a nui. Li atti soavi ch'ella mostra altrui vanno chiamando Amor ciascuno a prova in quella voce che lo fa sentire. Di costei si può dire: gentile è in donna ciò che in lei si trova, e bello è tanto quanto lei simiglia. E puossi dir che 'l suo aspetto giova a consentir ciò che par maraviglia; onde la nostra fede è aiutata: però fu tal da etterno ordinata. Cose appariscon ne lo suo aspetto che mostran de' piacer di Paradiso, dico ne li occhi e nel suo dolce riso, che le vi reca Amor com'a suo loco. Elle soverchian lo nostro intelletto, come raggio di sole un frale viso: e perch'io non le posso mirar fiso, mi conven contentar di dirne poco. Sua bieltà piove fiammelle di foco, animate d'un spirito gentile ch'è creatore d'ogni pensier bono; e rompon come trono li 'nnati vizii che fanno altrui vile. Però qual donna sente sua bieltate biasmar per non parer queta e umile, miri costei ch'è essemplo d'umiltate! Questa è colei ch'umilia ogni perverso: costei pensò chi mosse l'universo. Canzone, e' par che tu parli contraro al dir d'una sorella che tu hai; che questa donna che tanto umil fai ella la chiama fera e disdegnosa. Tu sai che 'l ciel sempr'è lucente e chiaro, e quanto in sé, non si turba già mai; ma li nostri occhi per cagioni assai chiaman la stella talor tenebrosa. Così, quand'ella la chiama orgogliosa, non considera lei secondo il vero, ma pur secondo quel ch'a lei parea: ché l'anima temea, e teme ancora, sì che mi par fero quantunqu'io veggio là 'v'ella mi senta. Così ti scusa, se ti fa mestero; e quando poi, a lei ti rappresenta: dirai: "Madonna, s'ello v'è a grato, io parlerò di voi in ciascun lato". |
L'amore, che parla nella mia mente della mia donna con desiderio, discute spesso con me di cose che la riguardano e che il mio intelletto non è in grado di capire. Le sue parole suonano tanto dolcemente che l'anima che ascolta e che lo sente dice: "O povera me, che non sono capace di ripetere quel che sento della mia donna!" E certo devo prima di tutto tralasciare quel che il mio intelletto non capisce, se voglio trattare quel che sento di lei, e [tralasciare] gran parte di quello che capisco, perché non sarei in grado di esprimerlo. Perciò, se i miei versi che loderanno questa donna avranno qualche difetto, si accusi di questo il debole nostro intelletto e il nostro linguaggio, che non è in grado di rappresentare tutto quello che dice Amore.
Il sole, che gira tutto il mondo, non vede una creatura altrettanto nobile come in quel momento in cui illumina il luogo dove si trova la donna di cui l'amore mi spinge a parlare. Ogni intelligenza angelica la ammira dal cielo e quegli uomini che sulla Terra si innamorano la trovano sempre nei loro pensieri, quando l'amore fa sentir loro la sua pace. La sua essenza piace tanto a Dio, che gliela dà, che infonde sempre in lei la sua virtù, al di là di quanto la natura richiederebbe. La sua anima pura, che riceve da Dio questa grazia, la manifesta nel suo aspetto esteriore: infatti nella sua bellezza si vedono cose tali che gli occhi di coloro ai quali ella risplende mandano al cuore messaggi pieni di desiderio, che si riempiono d'aria e diventano sospiri. In lei discende la virtù di Dio, proprio come avviene ad un angelo che Lo vede; e qualunque donna nobile che non crede questo, vada con lei e osservi il suo comportamento. Là dove lei parla, scende uno spirito dal cielo che attesta come l'alta virtù che lei possiede oltrepassa i limiti della nostra natura. I gesti soavi che lei mostra agli altri fanno a gara a chiamare ognuno Amore, con quelle parole che lo ridestano. Di questa donna si può dire [questo]: ciò che si trova in lei è nobiltà nelle donne, e tutto ciò che assomiglia a lei è bello. E si può dire che il suo aspetto aiuta a credere ciò che appare meraviglioso, per cui la nostra fede è rafforzata: per questo fu creata così da Dio. Nel suo aspetto appaiono cose che mostrano le bellezze del Paradiso, dico nei suoi occhi e nel suo dolce sorriso, che Amore vi porta come a sede a lui propria. Quelle cose oltrepassano il nostro intelletto, come un raggio di sole [non può essere visto da] una vista debole: e poiché io non le posso guardare fissandole, mi devo accontentare di dirne poco. La sua bellezza fa piovere fiammelle di fuoco, animate da un nobile spirito che produce ogni pensiero positivo; e [queste fiammelle] come un tuono distruggono i vizi innati che rendono gli altri vili. Perciò, qualunque donna senta biasimare la propria bellezza per non essere quieta e umile, osservi costei che è esempio di umiltà! Questa è colei che umilia ogni uomo malvagio: chi creò l'Universo creò questa donna. Canzone, sembra che tu dica cose opposte rispetto a una tua sorella [una ballata]; infatti tu chiami questa donna umile, mentre quella la chiama fiera e sdegnosa. Tu sai che il cielo è sempre terso e lucente e non si offusca mai in se stesso; ma i nostri occhi per molte ragioni talvolta vedono le stelle ottenebrate. Così, quando l'altra ballata chiama questa donna orgogliosa, non la considera secondo la sua natura, ma secondo quello che sembrava a lei: infatti l'anima ne aveva e ne ha ancora paura, cosicché mi pare crudele tutto ciò che vedo quando lei è presente. Fa' in questo modo le tue scuse, se è necessario, e quando poi ti presenterai a lei le dirai: "Mia signora, se la cosa vi è gradita io parlerò di voi dappertutto". |
Interpretazione complessiva
- Metro: canzone formata da cinque stanze di diciotto versi ciascuna (endecasillabi e un solo settenario), con schema della rima ABBCABBCCDEeDFDFGG; l'ultima stanza funge da congedo. Rima siciliana ai vv. 40, 44-45 ("sui", "nui", "altrui"). La lingua è il fiorentino della tradizione stilnovistica, senza provenzalismi o sicilianismi evidenti, e lo stile è quello elevato proprio della tradizione trobadorica.
- La canzone riprende il classico tema stilnovistico della "loda" alla donna amata, con tutti i caratteri già visti nelle rime dedicate a Beatrice nella Vita nuova: la donna è "gentile" (nobile), talmente bella che Dio stesso infonde in lei grazia e virtù che fanno innamorare gli uomini; il suo aspetto è tale che attesta i miracoli e rafforza la fede cristiana, inoltre essa manifesta la bellezza del Paradiso ed è un portento di umiltà, al punto da distruggere ogni vizio con una pioggia di fuoco e umiliare ogni uomo malvagio. Nel successivo commento in prosa viene spiegato che tale "donna gentile" non è altro che allegoria della filosofia, per cui acquista maggiore significato la stanza iniziale in cui il poeta si scusa per non comprendere pienamente tutto ciò che l'amore gli dice di lei e per non essere in grado di esprimere compiutamente ciò che capisce, poiché la bellezza della donna (della sapienza) va oltre i limiti dell'intelletto umano. Il tema della "inesprimibilità" della bellezza femminile è ripreso da Cavalcanti (► TESTO: Chi è questa che vèn), oltre che da alcune rime della Vita nuova per Beatrice (► TESTO: Tanto gentile e tanto onesta pare), e verrà ulteriormente sfruttato nel Paradiso per la descrizione del luogo e di Beatrice, la quale però diventerà allegoria della teologia e non della sapienza, che qui invece è esaltata.
- Nel congedo Dante fa riferimento alla ballata Voi che savete ragionar d’amore (Rime, 29), anch'essa dedicata alla filosofia ma in cui la donna è descritta come inavvicinabile e scontrosa, per rappresentare la difficoltà iniziale del discepolo che si accosta agli studi filosofici. L'autore qui chiarisce l'apparente contraddizione con il prezioso paragone del cielo stellato, che talvolta pare a noi offuscato anche se in realtà è sempre limpido, quindi si rivolge idealmente alla canzone invitandola a presentarsi alla donna e a chiederle il permesso di parlare di lei a tutti (secondo il consueto schema trobadorico della riservatezza del poeta, ripreso anche dai Siciliani).
- In Purg., II il musico Casella, l'amico di Dante sceso dalla barca dell'angelo nocchiero, intonerà a richiesta del poeta proprio questa canzone di cui evidentemente aveva composto un accompagnamento musicale, il che consente di datare il testo prima del 1300 (del resto Dante si era dedicato alla composizione delle canzoni "dottrinali" dopo la morte di Beatrice, alla fine del XIII sec.). Il canto di Casella attirerà l'attenzione di Virgilio e delle anime raccolte sulla spiaggia del Purgatorio, suscitando l'aspro rimprovero di Catone che li spronerà a non attardarsi nell'ascolto della musica e ad affrettarsi a correre "al monte", per purgare l'anima dai peccati (► TESTO: Il canto di Casella): poiché la canzone del Convivio era dedicata alla filosofia, non è escluso che il rimprovero sia un'ulteriore prova del fatto che Dante, all'altezza della Commedia, avesse rinnegato l'esperienza "dottrinale" del trattato (non più fiducia nelle capacità della ragione umana, ma fede nella teologia che è la sola in grado di condurre l'uomo alla salvezza).