Letteratura italiana
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Giacomo da Lentini


«Meravigliosamente»
(Rime, 2)

Tipico testo della scuola siciliana in cui Giacomo da Lentini, il poeta più rappresentativo nonché il probabile inventore del sonetto, si produce nell'elogio della donna amata e sviluppa il motivo (di derivazione occitanica) dell'innamorato timido, che non osa esprimere i propri sentimenti né guardare direttamente la dama quando passa per strada, soffrendo per nascondere il proprio amore. L'autore affida il messaggio amoroso al componimento stesso, che è invitato nel congedo a recarsi idealmente dalla donna e a riferirle per conto dell'uomo la purezza del suo sentimento.

► PERCORSO: La lirica amorosa






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Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn’ora.
Com’om che pone mente
in altro exemplo pinge
la simile pintura,
così, bella, facc’eo,
che ’nfra lo core meo
porto la tua figura.

In cor par ch’eo vi porti,
pinta como parete,
e non pare di fore.
O deo, co’ mi par forte.
Non so se lo sapete,
con’ v’amo di bon core:
ch’eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.

Avendo gran disio,
dipinsi una pintura,
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio,
guardo ’n quella figura,
e par ch’eo v’aggia avante:
come quello che crede
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.

Al cor m’arde una doglia,
com’om che ten lo foco
a lo suo seno ascoso,
e quando più lo ’nvoglia
allora arde più loco
e non pò stare incluso:
similemente eo ardo
quando pass’e non guardo
a voi, vis’amoroso.

S’eo guardo, quando passo,
inver’ voi, no mi giro,
bella, per risguardare.
Andando, ad ogni passo
getto uno gran sospiro
che facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c’a pena mi conoscio,
tanto bella mi pare.

Assai v’aggio laudato,
madonna, in tutte le parti
di bellezze ch’avete.
Non so se v’è contato
ch’eo lo faccia per arti,
che voi pur v’ascondete.
Sacciatelo per singa,
zo ch’eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.

Canzonetta novella,
va’ canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d’ogni amorosa,
bionda più c’auro fino:
«Lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al Notaro
ch’è nato da Lentino.»


Un amore mi stringe e mi tiene in modo meraviglioso ogni momento. Come uno che osserva un esempio e dipinge una pittura simile ad esso, così, bella, faccio anch'io che porto la tua figura dipinta nel mio cuore.





Sembra che io vi porti nel cuore, dipinta così come apparite, e la cosa non traspare all'esterno [non lo do a vedere]. O Dio, come mi sembra duro
[da sopportare]. Non so se sapete come vi amo lealmente; infatti io mio vergogno a tal punto che vi guardo sempre di nascosto e non vi dimostro io mio amore.




Avendo un grande desiderio ho dipinto un quadro, bella, che somiglia a voi, e quando non vi vedo guardo in quella figura e sembra che vi abbia davanti: proprio come colui che crede di salvarsi per la sua fede, anche se non vede nulla di fronte a sé.




Nel cuore mi arde un dolore come uno che tiene il fuoco nascosto nel suo petto, e quanto più lo soffoca tanto più forte esso lì
arde e non può stare racchiuso: io ardo in modo simile quando passo [per strada] e non guardo verso di voi, viso che ispirate l'amore.





Se quando passo guardo verso di voi, bella, non mi giro per guardarvi di nuovo. Mentre cammino, ad ogni passo getto un gran sospiro che mi fa angosciare; e certo mi angoscio a tal punto che mi riconosco a malapena [sono stravolto]
, tanto bella tu mi appari.




O mia signora, vi ho molto lodato in tutti gli aspetti della vostra bellezza. Non so se vi hanno raccontato che io lo faccio ad arte [in modo fittizio], dato che vi nascondete sempre. Sappiatelo attraverso i miei gesti quello che non dico a parole, quando voi mi vedrete.





O canzonetta appena composta, va' a cantare una cosa nuova; alzati al mattino presto [e presentati] davanti alla donna più bella, fiore di ogni donna amante, più bionda dell'oro zecchino [e dille]: «Il vostro amore, che è cosa preziosa, donatelo al Notaio [Giacomo] che è nato a Lentini»
.

Interpretazione complessiva

  • Metro: canzonetta formata da sette stanze di nove versi settenari ciascuna, con schema della rima ABCABCDDC (l'ultima funge da congedo). Le stanze 1-2 e 4-5 sono capfinidas (porto / porti; guardo a voi / guardo 'nver voi). Rime siciliane ai vv. 3-6-9 (-ora/-ura), 10-13 (-orti/-orte), 30-33-36 (-uso/-oso), 48-51-54 (-ete/-ite).
  • La lingua è il volgare siciliano della scuola, anche se sono state apportate le correzioni dei copisti toscani: residui della forma originale sono "vio" (v. 22, "vedo"), "aggia" (v. 24, "abbia"), "sacciatelo" (v. 52, "sappiatelo"), "zo" (v. 53, "ciò"), "vedrite" (v. 54, "vedrete"). Sono presenti provenzalismi ("maitino", v. 57) e latinismi (v. 5, "exemplo"; v. 52, "singa", cioè "segni"; v. 60, "auro").
  • Il testo è incentrato sul motivo dell'innamorato timido, che ha paura di esprimere i suoi sentimenti e quindi guarda l'amata di nascosto, non voltandosi verso di lei quando passa per strada (per non manifestare agli altri il suo amore e proteggerla, quindi, dai malparlieri). Nelle prime due stanze è presente il tema dell'immagine della donna, che Giacomo tiene nel suo cuore e guarda quando non l'ha di fronte fisicamente; nella terza stanza il tema è ulteriormente ampliato, con l'autore che dice di aver realizzato un quadro che ritrae l'amata ed è quasi un'immagine sacra, tanto che il suo atteggiamento è paragonato a quello del credente che ha fede in ciò che non vede coi propri occhi (l'amore ha un significato religioso, come già avveniva talvolta nei provenzali). A differenza della poesia trobadorica, però, il testo è qui tutto incentrato sulle reazioni psicologiche che l'amore provoca nell'animo di Giacomo, mentre la descrizione della bellezza della donna è limitata al congedo (secondo i tipici tratti della bellezza classica: la donna ha i capelli biondi "più c'auro fino").
  • L'ultima stanza funge da "congedo" e il poeta si rivolge idealmente al componimento, invitandolo a presentarsi alla donna per esprimerle ciò che lui non ha il coraggio di dirle apertamente (secondo un modulo che sarà ampiamente sviluppato anche presso gli Stilnovisti). Gli ultimi versi contengono anche la "firma" dell'autore, che si presenta come il "Notaro" (era il soprannome con cui era noto Giacomo) e dice di essere originario di Lentini, che potrebbe essere la città siciliana ma anche il patronimico (in tal caso vorrebbe dire "figlio di Lentino", ma è meno probabile).


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