Letteratura italiana
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Niccolò Machiavelli


Il principe e gli adulatori
(Il principe, XXIII)

Alla fine dei capitoli dedicati alle qualità che deve avere il principe, Machiavelli esorta il sovrano anzitutto a guardarsi dagli adulatori, di cui le corti sono sempre affollate, e in secondo luogo ad ascoltare con animo aperto i suggerimenti di buoni consiglieri politici, per poi fare una sintesi del loro pensiero prendendo decisioni in modo personale. L'autore cita l'esempio negativo dell'imperatore Massimiliano, restio ad ascoltare i consigli di chiunque e incline ad agire in modo caparbio e spesso sconsiderato, mentre il sovrano saggio deve incoraggiare i suoi collaboratori a parlare liberamente (anche se, precisa lo scrittore, un principe poco saggio non trarrà alcun giovamento dai consigli altrui, anzi ne avrà solo danno).

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli

► OPERA: Il principe










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CAPITOLO XXIII
Quomodo adulatores sint fugiendi. [1]

Non voglio lasciare indrieto uno capo importante [2] e uno errore dal quale e’ principi con difficultà si defendano, se non sono prudentissimi, o se non hanno buona elezione. [3] E questi sono gli adulatori, de’ quali le corti sono piene; perché gli uomini si compiacciono tanto nelle cose loro proprie e in modo vi si ingannano, che con difficultà si defendano da questa peste; e a volersene defendere, si porta periculo di non diventare contennendo. [4] Perché non ci è altro modo a guardarsi dalle adulazioni, se non che gli uomini intendino che non ti offendino a dirti el vero [5]; ma quando ciascuno può dirti el vero, ti manca la reverenzia. [6] Pertanto uno principe prudente debbe tenere uno terzo modo, eleggendo nel suo stato uomini savi [7], e solo a quelli debbe dare libero arbitrio a parlargli la verità, e di quelle cose sole che lui domanda, e non d’altro. Ma debbe domandarli d’ogni cosa, e le opinioni loro udire, e di poi deliberare da sé, a suo modo [8]; e con questi consigli, e con ciascuno di loro, portarsi in modo che ognuno conosca che, quanto più liberamente si parlerà, tanto più li fia accetto [9]: fuora di quelli, non volere udire alcuno, andare drieto alla cosa deliberata ed essere ostinato nelle deliberazioni sua. [10] Chi fa altrimenti, o e’ precipita per gli adulatori, o si muta spesso per la variazione de’ pareri: di che ne nasce la poca estimazione sua.
Io voglio a questo proposito addurre uno esemplo moderno. Pre’ Luca, uomo di Massimiliano, [11] presente imperadore, parlando di sua maestà disse come e’ non si consigliava con persona, e non faceva mai di alcuna cosa a suo modo: il che nasceva dal tenere contrario termine al sopradetto. [12] Perché lo imperadore è uomo secreto [13], non comunica li sua disegni con persona, non ne piglia parere; ma, come, nel metterli ad effetto, si cominciono a conoscere e scoprire, li cominciono ad essere contradetti da coloro che lui ha d’intorno; e quello, come facile, se ne stoglie. [14] Di qui nasce che quelle cose che fa uno giorno, destrugge l’altro; e che non si intenda mai quello si voglia o disegni fare; e che non si può sopra le sua deliberazioni fondarsi. [15]
Uno principe, pertanto, debbe consigliarsi sempre; ma quando lui vuole e non quando vuole altri, anzi debbe tôrre animo a ciascuno [16] di consigliarlo d’alcuna cosa, se non gnene domanda. Ma lui debbe bene essere largo domandatore, e di poi circa le cose domandate paziente auditore del vero; anzi, intendendo che alcuno per alcuno respetto non gnene dica, turbarsene. E perché molti esistimano che alcuno principe, il quale dà di sé opinione di prudente, sia così tenuto non per sua natura ma per li buoni consigli che lui ha d’intorno, sanza dubbio s’ingannano. Perché questa è una regola generale che non falla mai: che uno principe, il quale non sia savio per sé stesso, non può essere consigliato bene, se già a sorte non si rimettessi in uno solo che al tutto lo governassi, che fussi uomo prudentissimo. [17] In questo caso, potria bene essere, ma durerebbe poco, perché quello governatore in breve tempo li torrebbe lo stato. Ma, consigliandosi con più d’uno, uno principe che non sia savio non arà mai e’ consigli uniti, né saprà per sé stesso unirli; de’ consiglieri, ciascuno penserà alla proprietà sua [18]; lui non li saprà correggere né conoscere. E non si possono trovare altrimenti; perché gli uomini sempre ti riusciranno tristi, se da una necessità non sono fatti buoni. Però si conclude che li buoni consigli, da qualunque venghino, conviene naschino dalla prudenzia del principe, e non la prudenzia del principe da’ buoni consigli.

[1] In che modo siano da evitare gli adulatori. [2] Non voglio tralasciare una importante questione
. [3] Se non sono molto saggi, o una buona capacità di scegliere. [4] Disprezzabile.
[5] Se gli uomini non comprendono che non ti irritano dicendoti la verità. [6] Ti viene a mancare il rispetto. [7]
Scegliendo come consiglieri uomini saggi.
[8] E poi decidere a suo genio, in modo personale. [9] Tanto più gli sarà gradito. [10] Perseguire le proprie decisioni in modo risoluto.
[11] Il vescovo Luca Rinaldi, ambasciatore dell'imperatore Massimiliano. [12] Il che derivava dall'avere un atteggiamento opposto a quello sopra descritto.
[13] Riservato. [14]
E quello, essendo arrendevole, cambia idea. [15] Non si capisce mai cosa voglia fare, né si può fare affidamento sulle sue decisioni.
[16] Anzi, deve scoraggiare ognuno.




[17] A meno che non si affidi a un solo consigliere, uomo estremamente saggio.
[18] Ciascuno penserà al proprio interesse.


Interpretazione complessiva

  • A conclusione del gruppo di capitoli (XV-XXIII) dedicati alle qualità del principe, Machiavelli affronta il nodo delicato dei consiglieri politici del sovrano, affermando che le corti sono piene di "adulatori" e invitando caldamente colui che governa a guardarsene come da una "peste", essendo le adulazioni contrarie alla buona amministrazione dello Stato: la soluzione, per il principe, è circondarsi di pochi consiglieri saggi e dare a intendere che ascolterà volentieri tutti i loro suggerimenti, irritandosi anzi quando questi non dicono tutta la verità, a patto però di compiere poi una sintesi dei consigli uditi e di decidere in modo personale, operazione per la quale è comunque necessaria la "prudenzia" del sovrano (viene detto, anzi, che i buoni consigli nascono dalla saggezza del sovrano e non viceversa, quindi chi non è adatto a governare non trarrà beneficio dai suggerimenti dei suoi collaboratori). Machiavelli affronta qui, da un lato, la critica della corte come luogo in cui si annidano personaggi poco interessati al bene dello Stato e miranti unicamente a ottenere il favore del signore, tema trattato anche da altri scrittori del periodo tra cui Ariosto (► TESTI: La vita del cortigiano; Astolfo sulla Luna), dall'altro sottolinea la necessità per il sovrano di circondarsi di consiglieri politici affidabili, ruolo che egli stesso aspirava a ricoprire per i Medici e che veniva comunque teorizzato per l'uomo di corte nel XVI sec., ad es. da Castiglione nel Cortegiano. Il tema del particolare e problematico rapporto che si può creare tra il funzionario di Stato e il sovrano, non sempre incline ad accettare di buon grado le osservazioni schiette dei suoi collaboratori, sarà affrontato anche da F. Guicciardini nei Ricordi, essendo stato lui stesso al servizio dei papi Leone X e Clemente VII (► AUTORE: Francesco Guicciardini).
  • L'esempio di "Pre’ Luca" si riferisce al vescovo Luca Rinaldi, ambasciatore dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo (1459-1519) che Machiavelli conobbe personalmente durante il suo viaggio diplomatico in Austria del 1508, restio ad ascoltare i consigli di chicchessia ed estremamente volubile nelle sue decisioni, come dimostrato dagli scarsi risultati politici e militari del suo governo all'inizio del XVI sec. Machiavelli ebbe una certa conoscenza dell'organizzazione dell'Impero tedesco e ne trattò in una delle sue relazioni in seguito ai viaggi diplomatici durante il servizio alla Repubblica, il Ritratto delle cose della Magna (scritto del 1512 sul viaggio compiuto nel 1508).

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