OPERA
Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)
I Rerum vulgarium fragmenta ("Frammenti di cose volgari") sono una raccolta di 366 liriche di Francesco Petrarca (► AUTORE) scritte nell'arco di tutta la vita e messe insieme nella forma definitiva negli ultimi anni prima della morte, approssimativamente tra il 1336 e il 1373-74. L'opera è anche impropriamente intitolata Canzoniere e, a differenza della Vita nuova di Dante, non ha una cornice narrativa in prosa ma presenta una successione di poesie, tradizionalmente divise tra quelle In vita di madonna Laura (sino al sonetto 264) e quelle In morte di madonna Laura, benché tale suddivisione non sia resa esplicita dall'autore. L'amore per Laura è il tema dominante della raccolta, ma non mancano altri argomenti come la critica alla corruzione della Curia papale di Avignone, la politica del tempo, mentre alcuni componimenti sono d'occasione e dedicati ad amici e potenti protettori del poeta. L'ordine di pubblicazione delle poesie non rispecchia quello di composizione e infatti il sonetto di apertura è stato certamente scritto tra gli ultimi, quando Laura era già morta e l'autore considera in maniera retrospettiva la sua vita sprecata nell'amore non corrisposto della donna. L'opera ci è stata tramandata da alcuni manoscritti tra cui specialmente il Codice Vaticano Latino 3196, che per buona parte è stato vergato di pugno dallo stesso Petrarca con tanto di annotazioni a margine e dunque del testo possediamo l'autografo (primo caso tra gli autori del Medioevo). Il titolo originale alludeva alla scarsa considerazione che l'autore riponeva in quest'opera, da lui giudicata inferiore agli scritti latini da cui si attendeva la fama, infatti le liriche vengono definite anche nugae, "cose di poco conto" (tale giudizio apparentemente svalutante è probabilmente di maniera e contrasta con l'impegno profuso da Petrarca nel continuo lavoro di rimaneggiamento della raccolta). L'opera è comunque il capolavoro riconosciuto del poeta ed è considerata come la prima raccolta lirica della poesia "moderna", con una rappresentazione dell'amore basata molto sull'interiorità dell'autore e con una descrizione della donna amata come creatura terrena, con difetti e soggetta all'invecchiamento, molto lontana quindi dalla idealizzazione propria dello Stilnovo.
Un breve video di presentazione dei temi e delle liriche del "Canzoniere" sul canale YouTube "Video Letteratura" |
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Titolo, struttura, composizione
L'opera raccoglie le liriche composte da Petrarca nell'arco di tutta la vita, approssimativamente dal 1335-1336 (ma forse anche prima) sino agli ultimi anni prima della morte, nel 1373-74, e l'autore sottopose le sue poesie a un continuo lavoro di riscrittura e rielaborazione che lui stesso definì labor limae, arrivando alla sistemazione definitiva in una raccolta concepita come opera organica. Il titolo, Rerum vulgarium fragmenta ("Frammenti di cose volgari"), allude al carattere sparso dei componimenti (che nel sonetto proemiale sono appunto detti "rime sparse") e al loro scarso valore, dal momento che il poeta considerava i versi volgari inferiori a quelli scritti in latino; le liriche della raccolta erano da lui chiamate nugae, "cose da poco", definizione di maniera che forse non va intesa in senso spregiativo visto che era usata talvolta anche per le composizioni latine. La raccolta non ha un vero e proprio schema narrativo ed è priva di qualunque cornice in prosa, distaccandosi così dai modelli precedenti della Vita nuova e del Convivio, e se il tema centrale è la storia tormentata dell'amore di Petrarca per Laura non mancano temi d'occasione, come ringraziamenti ad amici e conoscenti o rime encomiastiche per i potenti protettori del poeta, così come liriche di argomento politico (specie le canzoni Spirto gentil e Italia mia) e sonetti di polemica contro la corruzione della Curia papale di Avignone, detta "avara Babilonia". L'opera comprende 366 poesie tra cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali, che si succedono apparentemente prive di uno schema anche se, come detto, il libro racconta le fasi dell'amore per Laura e dunque c'è un ordine cronologico; il numero delle poesie rispecchia quello dei giorni di un anno bisestile e la raccolta si può dividere in due parti (Rime in vita di Madonna Laura e Rime in morte di Madonna Laura), anche se tale suddivisione si deduce dal tema delle poesie e non è resa esplicita dall'autore (la canzone 264 è la prima rima in cui si accenna in modo allusivo alla morte della donna, benché il fatto venga dichiarato solo nel sonetto 267). L'ordine delle liriche non rispetta comunque quello della composizione, in quanto il sonetto di apertura è stato composto intorno al 1350 e costituisce una sorta di bilancio a posteriori della vita amorosa del poeta, quindi la struttura del Canzoniere è frutto di una rielaborazione finale dell'autore cui, probabilmente, è giunto solo negli ultimi anni della sua vita. Dell'opera esiste l'autografo di Petrarca e l'edizione critica si basa principalmente sul Codice Vaticano Latino 3196, scritto in gran parte di suo pugno e che contiene anche le annotazioni a margine e le correzioni apportate dal poeta, consentendo perciò di ricostruire con buona approssimazione la "storia editoriale" di quest'opera che, almeno sotto questo aspetto, è già decisamente moderna.
Ecco un elenco parziale delle principali liriche contenute nel Canzoniere:
Ecco un elenco parziale delle principali liriche contenute nel Canzoniere:
1
3 16 35 46 50 90 92 126 128 129 136 234 272 315 365 366 |
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
Era il giorno ch'al sol si scoloraro Movesi il vecchierel canuto et biancho Solo et pensoso i più deserti campi L'oro et le perle e i fior' vermigli e i bianchi Ne la stagion che 'l ciel rapido inchina Erano i capei d'oro a l'aura sparsi Piangete, donne, et con voi pianga Amore Chiare, fresche et dolci acque Italia mia, benché 'l parlar sia indarno Di pensier in pensier, di monte in monte Fiamma dal ciel su le tue treccie piova O cameretta che già fosti un porto La vita fugge, et non s'arresta una hora Tutta la mia fiorita et verde etade I' vo piangendo i miei passati tempi Vergine bella, che di sol vestita |
sonetto
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La scelta della forma metrica delle liriche rispecchia la tradizione della poesia volgare, dal momento che i componimenti più usati sono il sonetto e la canzone, mentre la sestina è ispirata al modello dantesco delle Rime petrose e dunque rimanda alla poesia trobadorica e ad Arnaut Daniel, così come i pochi madrigali (quattro in tutto) si richiamano anch'essi alla poesia provenzale. La canzone petrarchesca si imporrà nel XVI sec. come il modello esemplare da seguire nella metrica, tanto da essere imitata fino all'inizio dell'Ottocento quando Leopardi, nei Canti, ne rinnoverà la forma introducendo strofe di lunghezza diseguale e prive di un preciso schema della rima. Pur essendo privo di uno schema complessivo, il Canzoniere presenta comunque alcuni parallelismi, in quanto ad es. la lirica di apertura è un sonetto, mentre l'ultima è una canzone (dedicata alla Vergine, quindi di argomento religioso), proprio come la poesia che apre la seconda parte "in morte" di Laura; il sonetto 5 contiene una sorta di acrostico che forma il nome della donna amata ("laureta", da LAU-RE-TA), benché questi caratteri propri della letteratura duecentesca siano decisamente marginali nella raccolta, moderna per più aspetti.
Laura, la protagonista del Canzoniere
Il tema centrale della raccolta è ovviamente l'amore di Petrarca per Laura, questa donna di cui non si sa nulla a parte il poco che il poeta ci dice di lei, al punto che alcuni studiosi hanno perfino ipotizzato che non sia mai esistita e che rappresenti una sorta di figura idealizzata dall'autore: l'ipotesi è poco credibile e si pensa che Petrarca alludesse a una donna reale la cui identità, tuttavia, è misteriosa, anche se si è supposto che potesse trattarsi di Laura de Noves, una nobildonna avignonese sposata con Ugo de Sade e morta di peste nel 1348 (sul fatto non ci sono conferme). Quel che è certo è che Petrarca narra la storia del suo amore per lei tratteggiando una vicenda ideale e rielaborata letterariamente, in cui non mancano riferimenti alla tradizione poetica precedente tra cui, anzitutto, le circostanze del loro primo incontro, che sarebbe avvenuto il 6 apr. 1327 nella chiesa di S. Chiara ad Avignone (il particolare dell'incontro in chiesa rimanda alla Vita nuova e all'equivoco della donna-schermo; ► TESTO: Era il giorno ch'al sol si scoloraro). Laura viene descritta spesso coi tipici caratteri della donna-angelo stilnovista, vale a dire lunghi capelli biondi, occhi pieni di amorosa lucentezza, bellezza straordinaria, anche se nella sostanza si presenta come creatura terrena ed è priva di qualunque significato allegorico o religioso, dato che il poeta prova per lei un amore sensuale centrato sulla sua bellezza fisica. Il sentimento di Petrarca non è corrisposto e ciò causa in lui dolore e struggimento, insieme alla consapevolezza che Laura rappresenta una "distrazione" dalla ricerca della virtù e perciò lui tenta più volte di dimenticarla e volgersi a una vita di raccoglimento interiore, senza tuttavia riuscirci neppure dopo la sua morte (questo atteggiamento è presente anche nel Secretum, ► TESTO: L'amore per Laura).
La donna viene inoltre descritta con tutti i difetti propri della sua umanità, tra cui la vanità (è spesso intenta a specchiarsi e farsi bella, cosa che affligge il poeta; ► TESTO: L'oro et le perle), la crudeltà e il carattere capriccioso (talvolta lo illude con un atteggiamento benevolo, salvo poi respingere la sua corte), la sua volubilità, mentre è soggetta all'invecchiamento e nel corso degli anni la sua bellezza sfiorisce, benché Petrarca continui ad amarla (► TESTO: Erano i capei d'oro a l'aura sparsi). Laura è dunque una donna in carne ed ossa che viene, sì, idealizzata dal poeta, ma resta comunque lontana dallo stereotipo di Beatrice e delle altre donne dello Stilnovo e anticipa i caratteri di tante figure femminili della letteratura umanistica, specie quando viene descritta dall'autore come una ninfa o un personaggio della poesia classica: lo stesso nome Laura è probabilmente un senhal che allude alla pianta dell'alloro (lauro) carica di significati simbolici, relativi sia all'incoronazione poetica sia al mito di Dafne trasformata in alloro per sfuggire ad Apollo e rifiutare il suo amore, vicenda che viene più volte rievocata da Petrarca per paragonare la donna alla ninfa (nella canzone 23, Nel dolce tempo de la prima etade, Laura viene spiata da Petrarca mentre fa il bagno in un fiume, finché lei se ne accorge e lo schizza con l'acqua facendolo fuggire, proprio come nel mito di Atteone e Diana).
La storia dell'amore per la donna è scandita da alcuni momenti salienti che corrispondono a date significative, a partire dal giorno del primo incontro (6 apr. 1327) di cui si parla nel sonetto 3, per poi arrivare all'undicesimo anniversario (62) e al diciassettesimo (118), fino alla morte di Laura (6 apr. 1348), annunciata nel sonetto 267, poi rievocata nel terzo anniversario (277) e nel decimo (364). L'innamoramento avviene il giorno in cui si commemora la morte di Cristo, oggi coincidente con il venerdì santo (il 6 apr. 1327 era in realtà un lunedì) ed è lo stesso giorno dello smarrimento di Dante nella "selva oscura", a significare che tale evento è peccaminoso e necessita di un ravvedimento morale, che in realtà non sarà mai completo; inoltre se si fanno coincidere i testi della raccolta con i giorni di un anno, contando a partire dal 6 aprile, il primo sonetto della seconda parte (264) corrisponde al 25 dic., simbolo della redenzione umana attraverso la nascita di Cristo e dell'inizio di un ipotetico ravvedimento morale. Ciò avvalora ovviamente l'ipotesi che tali date (il primo incontro, la morte di Laura...) siano fittizie e ricostruiscano letterariamente una storia in parte ideale, anche se non si può escludere che la figura della donna sia realmente vissuta ad Avignone nel XIV secolo.
La donna viene inoltre descritta con tutti i difetti propri della sua umanità, tra cui la vanità (è spesso intenta a specchiarsi e farsi bella, cosa che affligge il poeta; ► TESTO: L'oro et le perle), la crudeltà e il carattere capriccioso (talvolta lo illude con un atteggiamento benevolo, salvo poi respingere la sua corte), la sua volubilità, mentre è soggetta all'invecchiamento e nel corso degli anni la sua bellezza sfiorisce, benché Petrarca continui ad amarla (► TESTO: Erano i capei d'oro a l'aura sparsi). Laura è dunque una donna in carne ed ossa che viene, sì, idealizzata dal poeta, ma resta comunque lontana dallo stereotipo di Beatrice e delle altre donne dello Stilnovo e anticipa i caratteri di tante figure femminili della letteratura umanistica, specie quando viene descritta dall'autore come una ninfa o un personaggio della poesia classica: lo stesso nome Laura è probabilmente un senhal che allude alla pianta dell'alloro (lauro) carica di significati simbolici, relativi sia all'incoronazione poetica sia al mito di Dafne trasformata in alloro per sfuggire ad Apollo e rifiutare il suo amore, vicenda che viene più volte rievocata da Petrarca per paragonare la donna alla ninfa (nella canzone 23, Nel dolce tempo de la prima etade, Laura viene spiata da Petrarca mentre fa il bagno in un fiume, finché lei se ne accorge e lo schizza con l'acqua facendolo fuggire, proprio come nel mito di Atteone e Diana).
La storia dell'amore per la donna è scandita da alcuni momenti salienti che corrispondono a date significative, a partire dal giorno del primo incontro (6 apr. 1327) di cui si parla nel sonetto 3, per poi arrivare all'undicesimo anniversario (62) e al diciassettesimo (118), fino alla morte di Laura (6 apr. 1348), annunciata nel sonetto 267, poi rievocata nel terzo anniversario (277) e nel decimo (364). L'innamoramento avviene il giorno in cui si commemora la morte di Cristo, oggi coincidente con il venerdì santo (il 6 apr. 1327 era in realtà un lunedì) ed è lo stesso giorno dello smarrimento di Dante nella "selva oscura", a significare che tale evento è peccaminoso e necessita di un ravvedimento morale, che in realtà non sarà mai completo; inoltre se si fanno coincidere i testi della raccolta con i giorni di un anno, contando a partire dal 6 aprile, il primo sonetto della seconda parte (264) corrisponde al 25 dic., simbolo della redenzione umana attraverso la nascita di Cristo e dell'inizio di un ipotetico ravvedimento morale. Ciò avvalora ovviamente l'ipotesi che tali date (il primo incontro, la morte di Laura...) siano fittizie e ricostruiscano letterariamente una storia in parte ideale, anche se non si può escludere che la figura della donna sia realmente vissuta ad Avignone nel XIV secolo.
La lirica come espressione della soggettività
Petrarca si può considerare il fondatore della lirica moderna in quanto nelle sue poesie privilegia il momento dell'espressione della propria soggettività e quindi il dato che prevale è quello dell' "io", la comunicazione al lettore del proprio stato d'animo e della sua storia interiore, fatta di momenti contraddittori, pentimenti, lacerazioni dovute alla coscienza del carattere peccaminoso dell'amore. La novità più importante rispetto alla tradizione lirica precedente è proprio questa, dal momento che il poeta ci parla di se stesso e di quello che prova per Laura ed è assente la "fenomenologia" amorosa tipica dello Stilnovo, fatta di elementi allegorici e personificazioni (ad es. gli "spiritelli" di Cavalcanti), inoltre rispetto a Dante e agli stilnovisti è evidente la "scissione" dell'io, il carattere aperto e problematico della vicenda amorosa che, naturalmente, perde ogni significato di elevazione spirituale. In questo senso anche la suddivisione in due parti della raccolta, avente come cesura la morte di Laura a causa della peste, non corrisponde a una trasfigurazione in chiave religiosa della donna e solo in parte dà luogo a un ravvedimento morale dell'autore, che sino alla fine dell'opera cerca di "elaborare il lutto" rassegnandosi alla perdita dell'amata ma senza riuscirvi fino in fondo, mentre nella seconda parte prevale un tono più malinconico e desolato, dominato soprattutto dal rammarico di aver sprecato la vita inseguendo un amore vano (in quanto sbagliato in sé, ma anche non corrisposto) e di non aver perseguito la ricerca della virtù, tema che emerge soprattutto in rime come il sonetto 365 (► TESTO: I' vo piangendo i miei passati tempi).
Interessante in questo ambito anche il valore che assume la descrizione del paesaggio esteriore, che spesso riflette metaforicamente il "paesaggio interiore" del poeta e rappresenta una decisa novità rispetto alla tradizione trobadorica e stilnovistica, in cui il dato esterno era quasi inesistente (nella Vita nuova i luoghi non sono mai descritti e persino il nome di Firenze non viene mai fatto): significativi sotto questo aspetto sono il sonetto 35 (► TESTO: Solo et pensoso), in cui il poeta ricerca luoghi remoti e solitari per non mostrare la propria pena amorosa e non pensare a Laura, senza riuscirvi, e la canzone 129 (► TESTO: Di pensier in pensier, di monte in monte) in cui gli elementi "selvaggi" del paesaggio sembrano parlargli continuamente della sua donna e rinnovare il dolore che prova. Da ricordare inoltre che l'interesse per la natura "incontaminata" e l'esplorazione di luoghi inaccessibili era un tratto della vita di Petrarca ed emerge in altri testi dell'autore, anche in chiave morale come ad es. l'epistola in cui descrive la scalata del Monte Ventoso insieme al fratello Gherardo (► VAI AL TESTO), mentre un aspetto simile si ha anche in un poeta come Cino da Pistoia che, pur vicino ancora allo Stilnovo, è comunque un autore "moderno" e anticipatore di diversi motivi della lirica di Petrarca, che nel sonetto 92 della raccolta (► TESTO: Piangete, donne, et con voi pianga Amore) ne commisera la morte ed esprime giudizi lusinghieri sulla sua opera (su Cino, ► TESTO: Io fu' 'n su l'alto e 'n sul beato monte).
Interessante in questo ambito anche il valore che assume la descrizione del paesaggio esteriore, che spesso riflette metaforicamente il "paesaggio interiore" del poeta e rappresenta una decisa novità rispetto alla tradizione trobadorica e stilnovistica, in cui il dato esterno era quasi inesistente (nella Vita nuova i luoghi non sono mai descritti e persino il nome di Firenze non viene mai fatto): significativi sotto questo aspetto sono il sonetto 35 (► TESTO: Solo et pensoso), in cui il poeta ricerca luoghi remoti e solitari per non mostrare la propria pena amorosa e non pensare a Laura, senza riuscirvi, e la canzone 129 (► TESTO: Di pensier in pensier, di monte in monte) in cui gli elementi "selvaggi" del paesaggio sembrano parlargli continuamente della sua donna e rinnovare il dolore che prova. Da ricordare inoltre che l'interesse per la natura "incontaminata" e l'esplorazione di luoghi inaccessibili era un tratto della vita di Petrarca ed emerge in altri testi dell'autore, anche in chiave morale come ad es. l'epistola in cui descrive la scalata del Monte Ventoso insieme al fratello Gherardo (► VAI AL TESTO), mentre un aspetto simile si ha anche in un poeta come Cino da Pistoia che, pur vicino ancora allo Stilnovo, è comunque un autore "moderno" e anticipatore di diversi motivi della lirica di Petrarca, che nel sonetto 92 della raccolta (► TESTO: Piangete, donne, et con voi pianga Amore) ne commisera la morte ed esprime giudizi lusinghieri sulla sua opera (su Cino, ► TESTO: Io fu' 'n su l'alto e 'n sul beato monte).
La visione politica e la polemica anti-ecclesiastica
Petrarca non è più un uomo delle istituzioni comunali come Dante o i poeti dell'età precedente e in questo senso non è legato ad alcuna città in particolare, essendo un cittadino del mondo che vive una singolare condizione di "sradicato", senza tuttavia percepirla come una diminuzione ma, al contrario, considerando ciò come un privilegio e un segno di distinzione. Rientra in questo discorso la relativa facilità con cui Petrarca si mette al servizio dei potenti (i Colonna ad Avignone, i Visconti a Milano...) non tanto come poeta "cortigiano" ma come alto funzionario e diplomatico, ruolo che anche Dante era stato costretto ad assumere avvertendo ciò come un'umiliazione alla sua libertà di intellettuale; Petrarca sembra libero da tali preoccupazioni e pur mantenendo una certa autonomia di pensiero (testimoniata, fra l'altro, dall'appoggio dato alla figura di Cola di Rienzo) può dedicare ai suoi protettori più rime di carattere "encomiastico", che trovano spazio nel Canzoniere anche se relegate in una posizione marginale, quale ad esempio la canzone 28 sulla Crociata del 1333 e indirizzata a Giacomo Colonna. Si può dire che Petrarca non sia più coinvolto in modo personale nelle contese politiche e nelle guerre tra Comuni come gli autori del Duecento e con lui nasce una figura nuova di intellettuale che anticipa l'Umanesimo, lo scrittore che guarda la politica dall'esterno e al massimo collabora con i signori d'Italia mettendo al loro servizio la sua esperienza letteraria, ma in un orizzonte ben lontano dalla passione di parte e dall'ansia di denuncia che caratterizzava l'opera di Dante specialmente dopo l'esilio. In quest'ottica la canzone politica all'Italia, che interrompe una serie di quattro testi dedicati a Laura, viene concepita come una presa di posizione contro il declino dell'Italia e la sua frammentazione politica a paragone della grandezza del periodo romano, tuttavia non vengono proposte soluzioni concrete e il lamento dello scrittore è desolato e pessimistico, dal momento che fin dal primo verso le parole sono definite come "vane" (il poeta sembra rendersi conto che tale processo è irreversibile e che le grandi istituzioni medievali, come l'Impero, sono destinate a lasciare spazio alle signorie e agli Stati regionali; ► TESTO: Italia mia, benché il parlar sia indarno).
Altrettanto nuova e moderna la polemica contro la corruzione della Chiesa e della Curia papale di Avignone, che da un lato riprende un filone già ampiamente sfruttato da Dante e Boccaccio, dall'altro se ne distacca poiché in Petrarca viene meno la speranza di rinnovare la Chiesa con un processo storico e c'è piuttosto l'amara consapevolezza che essa è irrimediabilmente decaduta rispetto alla purezza e alla virtù della Chiesa antica, per cui emerge lo stesso amaro disincanto già visto a proposito della riflessione politica. La polemica contro l'"avara Babilonia" e la corruzione papale trova spazio soprattutto nei sonetti 136-138, che costituiscono un gruppo a sé stante in cui Petrarca stigmatizza la degenerazione morale dei membri della Curia avignonese in cui si coltivano turpi vizi e non virtù, tanto che "Belzebub" ordisce tresche all'interno della corte alimentando il fuoco "co' mantici" e allettando la vanità con gli "specchi", mentre la Chiesa delle origini era nuda e scalza, con allusione al suo carattere di povertà e semplicità (► TESTO: Fiamma dal ciel su le tue treccie piova). Tale atteggiamento si collega anche alla definizione di una nuova figura di intellettuale cristiano che individua la sua morale non tanto in quella ufficiale e dogmatica della Chiesa, ma piuttosto nella sua visione del mondo che assume aspetti laici, proseguendo in parte un discorso già affrontato da Boccaccio nel Decameron e anticipando vari aspetti della cultura umanistica, in cui però l'ideale di comportamento laico e classico verrà vissuto in modo sereno e senza eccessivi turbamenti religiosi, quali invece sono ancora presenti in Petrarca.
Altrettanto nuova e moderna la polemica contro la corruzione della Chiesa e della Curia papale di Avignone, che da un lato riprende un filone già ampiamente sfruttato da Dante e Boccaccio, dall'altro se ne distacca poiché in Petrarca viene meno la speranza di rinnovare la Chiesa con un processo storico e c'è piuttosto l'amara consapevolezza che essa è irrimediabilmente decaduta rispetto alla purezza e alla virtù della Chiesa antica, per cui emerge lo stesso amaro disincanto già visto a proposito della riflessione politica. La polemica contro l'"avara Babilonia" e la corruzione papale trova spazio soprattutto nei sonetti 136-138, che costituiscono un gruppo a sé stante in cui Petrarca stigmatizza la degenerazione morale dei membri della Curia avignonese in cui si coltivano turpi vizi e non virtù, tanto che "Belzebub" ordisce tresche all'interno della corte alimentando il fuoco "co' mantici" e allettando la vanità con gli "specchi", mentre la Chiesa delle origini era nuda e scalza, con allusione al suo carattere di povertà e semplicità (► TESTO: Fiamma dal ciel su le tue treccie piova). Tale atteggiamento si collega anche alla definizione di una nuova figura di intellettuale cristiano che individua la sua morale non tanto in quella ufficiale e dogmatica della Chiesa, ma piuttosto nella sua visione del mondo che assume aspetti laici, proseguendo in parte un discorso già affrontato da Boccaccio nel Decameron e anticipando vari aspetti della cultura umanistica, in cui però l'ideale di comportamento laico e classico verrà vissuto in modo sereno e senza eccessivi turbamenti religiosi, quali invece sono ancora presenti in Petrarca.
Il Canzoniere come percorso religioso
Benché la visione della vita di Petrarca sia di tipo laico e anticipatrice di molti aspetti umanistici, è innegabile che nel poeta il tema religioso sia molto presente e si manifesti soprattutto nel dissidio interiore e nella lotta con se stesso per combattere il sentimento per Laura, da lui sentito come immorale e tale da distoglierlo dalla ricerca della virtù; tale lotta non viene portata a termine e il poeta non giunge a una reale "redenzione" dalla sua passione per la donna amata, rendendosi conto che essa è sbagliata ma non riuscendo a rinunciarvi in modo definitivo (in questo senso l'opera non è conclusa, proprio come non lo era per le stesse ragioni il Secretum). Non è dunque casuale che il primo incontro con Laura e l'innamoramento avvengano il giorno della morte di Cristo, data simbolica della redenzione dal peccato nella liturgia cristiana in cui tra l'altro Petrarca non pensava di doversi riparare dai rischi dell'amore (► TESTO: Era il giorno ch'al sol si scoloraro), mentre in altri testi la bellezza della donna viene descritta coi tratti tipici della bellezza "demoniaca" che in quanto tale conduce alla tentazione e al peccato (► TESTO: L'oro et le perle, in cui gli specchi in cui Laura si ammira sono detti essere stati fabbricati nell'abisso infernale), benché la poesia petrarchesca non presenti mai un aspetto misogino che è ben visibile, invece, nell'ultimo Boccaccio. La prima parte dell'opera traccia la storia ideale di questo amore infelice e non corrisposto da cui il poeta tenta senza successo di liberarsi (nel sonetto 16 è proposto un accostamento quasi sacrilego tra le fattezze del volto di Laura e quelle di Cristo sul velo della Veronica, ► TESTO: Movesi il vecchierel canuto et biancho) e in quest'ambito emerge con chiarezza proprio la natura umana e terrena di Laura come donna in carne e ossa, soggetta all'invecchiamento e con i suoi difetti, a sottolineare la distanza tra la sua figura e quella della donna-angelo stilnovista che poteva fare da tramite tra uomo e Dio, mentre lei rappresenta in realtà la "lusinga" che allontana dal Cielo e dal Paradiso.
Allo stesso modo la morte di Laura provoca dolore e pena nel poeta, ma anche la consapevolezza che la vita umana è precaria e tutto è destinato a svanire, per cui Petrarca cerca di "elaborare il lutto" e lasciare il ricordo della donna amata dietro le spalle in un tentativo di redenzione che è anche morale e religioso, benché tale processo sia stentato e non privo di contraddizioni e non arrivi al suo pieno compimento (certo Laura non viene trasfigurata in senso religioso e non diventa la Beatrice descritta nella Vita nuova come splendente nella corte celeste tra i beati). È significativo comunque che l'ultima canzone della raccolta sia dedicata alla Vergine e sia dunque una rima di ispirazione profondamente religiosa, in cui Maria è esplicitamente paragonata a Laura a significarne la superiorità (Maria è il simbolo della redenzione e della salvezza dell'uomo, Laura invece è definita come "poca mortal terra caduca", un corpo che il poeta ha amato in vita e che ora si sta decomponendo), benché neppure alla fine di questo ideale percorso di purificazione Petrarca riesca a tagliare i ponti col passato e a rinunciare al culto della donna amata, dimostrando il carattere aperto e problematico del rapporto tra l'autore e la sfera della religiosità e della morale (► TESTO: Vergine bella, che di sol vestita). La modernità di Petrarca sta tutta qui, in questa tensione che lui avverte tra la morale cristiana e il desiderio mondano (anche erotico) che sono di per sé inconciliabili e fonte di contrasto interiore, aspetto che non era assente neppure in Dante (si pensi alla riflessione da lui condotta sulle responsabilità etiche della letteratura amorosa; ► TESTO: Paolo e Francesca), ma con la differenza che qui il conflitto è irrisolto e le contraddizioni permangono, per cui la novità della poesia petrarchesca sta nella descrizione di una coscienza inquieta e lacerata, nella rappresentazione dell'amore come trasgressione irrinunciabile.
Allo stesso modo la morte di Laura provoca dolore e pena nel poeta, ma anche la consapevolezza che la vita umana è precaria e tutto è destinato a svanire, per cui Petrarca cerca di "elaborare il lutto" e lasciare il ricordo della donna amata dietro le spalle in un tentativo di redenzione che è anche morale e religioso, benché tale processo sia stentato e non privo di contraddizioni e non arrivi al suo pieno compimento (certo Laura non viene trasfigurata in senso religioso e non diventa la Beatrice descritta nella Vita nuova come splendente nella corte celeste tra i beati). È significativo comunque che l'ultima canzone della raccolta sia dedicata alla Vergine e sia dunque una rima di ispirazione profondamente religiosa, in cui Maria è esplicitamente paragonata a Laura a significarne la superiorità (Maria è il simbolo della redenzione e della salvezza dell'uomo, Laura invece è definita come "poca mortal terra caduca", un corpo che il poeta ha amato in vita e che ora si sta decomponendo), benché neppure alla fine di questo ideale percorso di purificazione Petrarca riesca a tagliare i ponti col passato e a rinunciare al culto della donna amata, dimostrando il carattere aperto e problematico del rapporto tra l'autore e la sfera della religiosità e della morale (► TESTO: Vergine bella, che di sol vestita). La modernità di Petrarca sta tutta qui, in questa tensione che lui avverte tra la morale cristiana e il desiderio mondano (anche erotico) che sono di per sé inconciliabili e fonte di contrasto interiore, aspetto che non era assente neppure in Dante (si pensi alla riflessione da lui condotta sulle responsabilità etiche della letteratura amorosa; ► TESTO: Paolo e Francesca), ma con la differenza che qui il conflitto è irrisolto e le contraddizioni permangono, per cui la novità della poesia petrarchesca sta nella descrizione di una coscienza inquieta e lacerata, nella rappresentazione dell'amore come trasgressione irrinunciabile.
Le fonti del Canzoniere: Petrarca e la classicità
Petrarca si ispira largamente alla tradizione poetica precedente e certo tra i suoi modelli vi sono la lirica trobadorica e lo Stilnovo, per quanto la sua visione del mondo sia profondamente laica e lontana dall'idealizzazione del sentimento amoroso in chiave religiosa, dunque la donna amata è presentata come creatura seducente che distoglie dalla ricerca del bene e dalla virtù, né può fare da tramite tra uomo e Dio come la donna-angelo degli stilnovisti (si veda sopra). Le fonti poetiche dell'autore sono perciò anche e soprattutto i poeti latini della classicità e fra questi vanno citati anzitutto gli elegiaci dell'età di Cesare e Augusto, specie Catullo, Tibullo e Properzio che erano maggiormente noti nel Trecento e la cui opera presenta varie analogie con la storia amorosa tracciata nel Canzoniere, dato che tutti e tre cantano le lodi di una donna nobile e bella, sposata e che si concede loro con un'alternanza di compiacenza e ripulsa (in particolare Catullo, la cui relazione con Lesbia-Clodia è un susseguirsi di rotture e riconciliazioni), mentre fonte di ispirazione è anche l'Ovidio degli Amores e delle altre opere elegiache, non più interpretato come fonte di miti da leggersi in chiave cristiana. Lo stesso Catullo è d'altronde citato indirettamente nel sonetto proemiale della raccolta, in cui Petrarca si rammarica del fatto che a causa dell'amore per Laura è stato lungamente la "favola" del popolo e ricorda il Carme 8 del poeta latino laddove diceva Miser Catulle, desinas ineptire ("Povero Catullo, smetti di fare il pazzo"; ► TESTO: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono). Rientra in questo discorso anche l'accostamento di Laura alla pianta simbolica dell'alloro e alla figura mitologica della ninfa Dafne, trasformata in lauro per sfuggire ad Apollo che l'amava (con riferimento alla stessa vicenda amorosa di Petrarca, che ama la donna ma non è corrisposto) e la cui storia è evocata dal nome stesso della fanciulla amata, forse solo un senhal che si rifà evidentemente al lauro (e del resto non mancano nell'opera numerosi giochi di parole basati su questo, come l'uso delle espressioni ambigue "l'aura", "l'aurea", "laurea" facilitate dall'assenza di punteggiatura nella scrittura trecentesca). Il paragone Laura-alloro ha anche funzione nobilitante, poiché la pianta era simbolo della gloria poetica e militare e il suo carattere sempreverde la rendeva già nella letteratura antica sinonimo di prestigio e bellezza, mentre nel Secretum S. Agostino rinfaccia a Petrarca il fatto di aver perseguito l'incoronazione poetica solo per amore del nome della donna, svuotando il riconoscimento del suo effettivo valore letterario (► TESTO: L'amore per Laura).
La rappresentazione di Laura come una ninfa classica è presente anche al di là dell'identificazione con Dafne, ad es. nella canzone 126 (Chiare, fresche et dolci acque) la donna viene mostrata nella sua bellezza fisica mentre si bagna nelle acque del Sorga e poi quando si appoggia morbidamente sull'erba ammirata dal poeta, in uno scenario naturalistico che oltre a ricordare il locus amoenus della tradizione classica e stilnovistica sottolinea in modo sereno e trasognato il fascino della sua figura (► VAI AL TESTO); dagli alberi scende una pioggia di petali che circondano Laura come un "amoroso nembo" e fanno di lei quasi una divinità pagana, descritta appunto nel "regno d'Amore" e in modo lontano da qualunque spiritualizzazione stilnovista, nonostante le "treccie bionde" e gli altri elementi esteriori che l'accostano alla donna-angelo (tutto è centrato sulla sua bellezza fisica, cosa di cui il poeta è ben consapevole e che provoca in lui il consueto dissidio interiore). La situazione è simile in parte a quella della canzone 23 (Nel dolce tempo de la prima etade) in cui Petrarca spia Laura mentre fa il bagno in una fonte e viene da lei schizzato con l'acqua e messo in fuga, elemento che riprende il mito classico di Atteone e Diana accostando nuovamente Laura a una divinità antica, descrivendola qui come una ninfa boschereccia e non certo come la donna-angelo tramite tra uomo e Dio. Da ricordare, infine, che la rappresentazione della donna amata nelle sembianze di una ninfa riprende in parte la poesia pastorale antica che già aveva ispirato Boccaccio nel Ninfale fiesolano (► TESTO: Africo e Mensola) e sarà a sua volta rilanciata dai poeti dell'Umanesimo come ad es. Poliziano nelle Stanze, dove però la celebrazione della bellezza non avrà nulla di problematico e sarà priva di qualunque remora di carattere religioso o morale (► TESTO: Iulio e Simonetta).
La rappresentazione di Laura come una ninfa classica è presente anche al di là dell'identificazione con Dafne, ad es. nella canzone 126 (Chiare, fresche et dolci acque) la donna viene mostrata nella sua bellezza fisica mentre si bagna nelle acque del Sorga e poi quando si appoggia morbidamente sull'erba ammirata dal poeta, in uno scenario naturalistico che oltre a ricordare il locus amoenus della tradizione classica e stilnovistica sottolinea in modo sereno e trasognato il fascino della sua figura (► VAI AL TESTO); dagli alberi scende una pioggia di petali che circondano Laura come un "amoroso nembo" e fanno di lei quasi una divinità pagana, descritta appunto nel "regno d'Amore" e in modo lontano da qualunque spiritualizzazione stilnovista, nonostante le "treccie bionde" e gli altri elementi esteriori che l'accostano alla donna-angelo (tutto è centrato sulla sua bellezza fisica, cosa di cui il poeta è ben consapevole e che provoca in lui il consueto dissidio interiore). La situazione è simile in parte a quella della canzone 23 (Nel dolce tempo de la prima etade) in cui Petrarca spia Laura mentre fa il bagno in una fonte e viene da lei schizzato con l'acqua e messo in fuga, elemento che riprende il mito classico di Atteone e Diana accostando nuovamente Laura a una divinità antica, descrivendola qui come una ninfa boschereccia e non certo come la donna-angelo tramite tra uomo e Dio. Da ricordare, infine, che la rappresentazione della donna amata nelle sembianze di una ninfa riprende in parte la poesia pastorale antica che già aveva ispirato Boccaccio nel Ninfale fiesolano (► TESTO: Africo e Mensola) e sarà a sua volta rilanciata dai poeti dell'Umanesimo come ad es. Poliziano nelle Stanze, dove però la celebrazione della bellezza non avrà nulla di problematico e sarà priva di qualunque remora di carattere religioso o morale (► TESTO: Iulio e Simonetta).
Come lavorava Petrarca: il Vaticano Latino 3196
Petrarca si aspettava la fama dagli scritti latini e considerava il volgare inferiore sul piano linguistico, tuttavia di non poco peso è il lavorio compositivo speso intorno alla costruzione del Canzoniere (da cui, tra l'altro, sono escluse alcune rime "estravaganti" rimaste fuori dalla stesura finale) che ha indotto alcuni critici a parlare di labor limae, testimoniato anche dal lungo arco di tempo dedicato alla sistemazione dell'opera che, nella forma definitiva, fu perfezionata negli ultimi anni di vita del poeta. Sappiamo che le poesie trascelte venivano dapprima trascritte su foglietti, poi copiate su altri fogli dette schedulae e infine queste venivano riordinate e ricopiate secondo il progetto della raccolta, non senza un ulteriore lavoro di revisione che, talvolta, modificava profondamente e più volte lo stesso testo. Di tutto ciò abbiamo come preziosa testimonianza il codice Vaticano Latino 3196 redatto in gran parte dalla mano dello stesso Petrarca, che oltre ad essere l'autografo dell'autore reca anche le varie revisioni delle liriche e le sue note a margine scritte rigorosamente in latino: si tratta di un insieme di 20 fogli, originariamente sciolti e che vennero cuciti insieme molto tempo dopo la morte di Petrarca, contenenti il testo rimaneggiato di 57 liriche poi incluse nel Canzoniere, di altre 12 escluse e di un frammento di una lettera in latino (il manoscritto rimase in possesso del genero dello scrittore, non essendo stato inserito nel lascito della biblioteca petrarchesca a Francesco I da Carrara). Il codice è interessante in quanto mostra il lavoro continuo e incessante del poeta intorno alle sue poesie, che venivano sottoposte a più revisioni successive e a distanza di anni, come il sonetto 46 L'oro et le perle (► VAI AL TESTO) in cui il v. 4 nella redazione iniziale suonava "ch'io provo notte e giorno per li fianchi", mentre in quella definitiva diventa "ch'io provo per lo petto et per li fianchi", con l'eliminazione di una coppia antitetica di termini ("notte" e "giorno") e la sua sostituzione con una coppia di vocaboli di senso affine ("petto" e "fianchi"), mentre in altri casi l'autore espunge le coppie aggettivali (ad es. "intento e fiso") in quanto sentite come troppo ripetitive e faticose sul piano della lettura. In altri casi le liriche sono cambiate di posizione all'interno della raccolta, o ancora modificate con lo spostamento di parti o strofe dall'una all'altra, mentre non è raro che alcune poesie siano incluse nella prima parte della silloge benché composte in realtà dopo la morte di Laura, per completare una serie di componimenti oppure equilibrare tra loro le due parti "in vita" e in "morte" della donna amata, con l'inclusione di alcuni testi che ne presagivano la futura scomparsa.
Il manoscritto costituisce un'assoluta novità per la letteratura del Due-Trecento, dal momento che non abbiamo purtroppo nulla di simile per quanto riguarda l'opera dantesca, ma rivela anche il carattere "non finito" e sempre provvisorio della composizione petrarchesca, la cui ricerca stilistica è in continua evoluzione e anticipa già molti aspetti di quello che sarà il modo di lavorare degli scrittori del XV-XVI sec., quando grazie alla stampa verranno realizzate più edizioni corrette della stessa opera (esemplare in tal senso è il caso dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, la cui revisione del poema sarà guidata da criteri prevalentemente linguistici; ► VAI ALL'AUTORE).
Il manoscritto costituisce un'assoluta novità per la letteratura del Due-Trecento, dal momento che non abbiamo purtroppo nulla di simile per quanto riguarda l'opera dantesca, ma rivela anche il carattere "non finito" e sempre provvisorio della composizione petrarchesca, la cui ricerca stilistica è in continua evoluzione e anticipa già molti aspetti di quello che sarà il modo di lavorare degli scrittori del XV-XVI sec., quando grazie alla stampa verranno realizzate più edizioni corrette della stessa opera (esemplare in tal senso è il caso dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, la cui revisione del poema sarà guidata da criteri prevalentemente linguistici; ► VAI ALL'AUTORE).
Monolinguismo e monostilismo petrarchesco
Il lavorio compositivo di Petrarca sul Canzoniere si è esercitato soprattutto a livello linguistico, poiché lo scrittore usava come base il volgare fiorentino che era la sua lingua materna (era nato ad Arezzo da genitori di Firenze), tuttavia depurandolo da tutti gli elementi più vernacolari e popolari per dare alla lingua un aspetto più lineare e uniforme, che ha indotto gli studiosi moderni a parlare di monolinguismo per differenziarlo dal cosiddetto plurilinguismo di Dante. La lingua di Petrarca è in effetti agli antipodi di quella dantesca, anzitutto per l'assenza di prestiti da altri volgari (sono presenti i provenzalismi entrati nella tradizione lirica, ma non gallicismi troppo evidenti come "piagenza" o "dottanza") e poi per una ricerca lessicale che restringe il vocabolario usato dal poeta a poche centinaia di parole, tutte molto semplici e divenute poi emblematiche del suo modo essenziale di fare poesia, come ad es. "chiome", "viso", "rose", "oro", "perle", "monti", "fiori", laddove la lingua della Commedia era un idioma composito in cui confluivano anche tecnicismi della filosofia e termini rari e preziosi, per tacere dei neologismi del tutto assenti nelle liriche di Petrarca (che non direbbe mai "immillare" o "intuare", per fare due soli esempi). Dante poi usava latinismi crudi (specie nel Paradiso, come "sene" riferito a San Bernardo) che l'autore del Canzoniere evita, limitandosi a inserire parole che rimandano alla grafia latina per la loro etimologia, come "humano", "herba", "extreme", "et", oppure che imitano la grafia latineggiante della scrittura trecentesca, come "biancho", "fiancho", "piagha", ecc. Il risultato di questo complesso lavoro è una lingua appunto essenziale, semplice e preziosa allo stesso tempo, che si rifà evidentemente ai modelli della tradizione precedente ma di essi tralascia quanto di troppo specifico o "gergale" contenevano a livello espressivo, ricercando la fonte di ispirazione primaria nella "purezza" del latino classico che Petrarca esprime anche nella poesia in volgare per giungere a un linguaggio "illustre" che forse non sarebbe spiaciuto al Dante del De vulgari eloquentia (non a caso, del resto, lo stesso Dante sconfessò apertamente la posizione espressa nel trattato con le scelte linguistiche del poema, del tutto diverse).
Una operazione analoga viene poi compiuta anche a livello stilistico sempre nella direzione di una sostanziale uniformità, per cui nel Canzoniere sono assenti tanto i momenti di intensa tragicità quanto le "bassezze" della poesia comico-realistica e lo stile assume un tono per lo più medio, che ha fatto parlare di monostilisimo petrarchesco ancora una volta in opposizione al pluristilismo della Commedia (dove, del resto, registro tragico e comico potevano coesistere nello stesso episodio, con bruschi innalzamenti e abbassamenti di tono). Lo stile di Petrarca è invece monocorde e alla ricerca di una musicalità elegante e raffinata, in questo davvero anticipando la poesia volgare del XV-XVI sec. che infatti sceglierà il Canzoniere e non l'opera dantesca come modello di lingua e di stile, al punto che nel Cinquecento tutta la lirica di corte assumerà un carattere "petrarchista" (si veda oltre); il poeta aretino fisserà anche il canone metrico della poesia amorosa, poiché le forme metriche usate nell'opera si imporranno come quelle tipiche della lirica cortese e in particolare la canzone, formata da strofe di eguale lunghezza e schema della rima regolare, di endecasillabi eventualmente affiancati a settenari, diventerà il metro classico della poesia di stile elevato, la cosiddetta "canzone petrarchesca" che si manterrà più o meno immutata sino all'Ottocento quando sarà Leopardi a modificarne e rinnovarne la struttura. Petrarca ha avuto il merito anche di definire la scansione metrica dell'endecasillabo mettendo al bando quei versi fortemente irregolari o "zoppicanti" che sono ancora presenti nei poeti del Duecento e in Dante, dando alla sua versificazione un andamento più regolare e uniforme che, da un lato, evita le scansioni troppo atipiche e di difficile lettura, dall'altro risponde a esigenze di musicalità e armonia che in quanto tali erano spesso assenti in Dante, o almeno relegate in momenti definiti della sua opera e in rapporto all'altezza dei contenuti affrontati (problema che Petrarca non ha, poiché nel Canzoniere non c'è grande varietà tematica). Da ricordare ancora che il madrigale come forma metrica, benché usato solo quattro volte nella raccolta, avrà grande successo nella poesia del Cinquecento proprio per la sua eleganza e musicalità, e non c'è dubbio che il merito della sua diffusione sia dovuto in parte proprio all'opera petrarchesca.
Una operazione analoga viene poi compiuta anche a livello stilistico sempre nella direzione di una sostanziale uniformità, per cui nel Canzoniere sono assenti tanto i momenti di intensa tragicità quanto le "bassezze" della poesia comico-realistica e lo stile assume un tono per lo più medio, che ha fatto parlare di monostilisimo petrarchesco ancora una volta in opposizione al pluristilismo della Commedia (dove, del resto, registro tragico e comico potevano coesistere nello stesso episodio, con bruschi innalzamenti e abbassamenti di tono). Lo stile di Petrarca è invece monocorde e alla ricerca di una musicalità elegante e raffinata, in questo davvero anticipando la poesia volgare del XV-XVI sec. che infatti sceglierà il Canzoniere e non l'opera dantesca come modello di lingua e di stile, al punto che nel Cinquecento tutta la lirica di corte assumerà un carattere "petrarchista" (si veda oltre); il poeta aretino fisserà anche il canone metrico della poesia amorosa, poiché le forme metriche usate nell'opera si imporranno come quelle tipiche della lirica cortese e in particolare la canzone, formata da strofe di eguale lunghezza e schema della rima regolare, di endecasillabi eventualmente affiancati a settenari, diventerà il metro classico della poesia di stile elevato, la cosiddetta "canzone petrarchesca" che si manterrà più o meno immutata sino all'Ottocento quando sarà Leopardi a modificarne e rinnovarne la struttura. Petrarca ha avuto il merito anche di definire la scansione metrica dell'endecasillabo mettendo al bando quei versi fortemente irregolari o "zoppicanti" che sono ancora presenti nei poeti del Duecento e in Dante, dando alla sua versificazione un andamento più regolare e uniforme che, da un lato, evita le scansioni troppo atipiche e di difficile lettura, dall'altro risponde a esigenze di musicalità e armonia che in quanto tali erano spesso assenti in Dante, o almeno relegate in momenti definiti della sua opera e in rapporto all'altezza dei contenuti affrontati (problema che Petrarca non ha, poiché nel Canzoniere non c'è grande varietà tematica). Da ricordare ancora che il madrigale come forma metrica, benché usato solo quattro volte nella raccolta, avrà grande successo nella poesia del Cinquecento proprio per la sua eleganza e musicalità, e non c'è dubbio che il merito della sua diffusione sia dovuto in parte proprio all'opera petrarchesca.
Il Canzoniere nella tradizione poetica italiana
L'opera volgare di Petrarca non ebbe un successo immediato, poiché quando il poeta era in vita veniva apprezzata soprattutto la sua produzione latina (che anticipava tanti temi che i circoli pre-umanisti della fine del Trecento iniziavano ad affrontare), mentre per lo stesso motivo anche l'Umanesimo trascurò in parte la sua lirica per studiare e imitare l'Africa e i trattati, e si dovette attendere le discussioni sulla lingua del Cinquecento perché la raccolta poetica suscitasse l'attenzione dei dotti. Questi individuarono nel Canzoniere il modello di lingua e di stile che cercavano per soddisfare la loro ansia di regolarità e classificazione, per cui la lingua petrarchesca divenne l'esempio da imitare per quanto riguarda la poesia (accanto a quella di Boccaccio per la prosa), mentre anche lo stile divenne fonte di ispirazione e fece nascere un ricchissimo filone di poesia che fu detta "petrarchista", i cui esponenti furono personaggi letterari di primo piano come Pietro Bembo, Ludovico Ariosto, Michelangelo Buonarroti (il grande artista fu anche poeta e ci ha lasciato varie rime) e altri poeti più o meno originali, nei quali l'imitazione petrarchesca diventa maniera e sfocia in molti casi in una ripetizione stucchevole di motivi e situazioni tipiche. Artefice principale di questo "culto" di Petrarca nel Rinascimento fu ovviamente il veneziano Bembo, che con le sue Prose della volgar lingua fissò in maniera duratura il "canone" linguistico e stilistico di tutta la letteratura di corte e impose tale modello come irrinunciabile per chi si riconosceva nel carattere formalista della cultura cinquecentesca (► PERCORSO: Il Rinascimento), per cui Petrarca eserciterà una sorta di "dittatura" fino al Settecento e all'età dell'Arcadia e sarà messo in discussione solo all'inizio dell'Ottocento con il diffondersi delle poetiche romantiche. In questo senso è importante il contributo di Giacomo Leopardi, che partendo da posizioni classiciste e imitando anch'egli la canzone petrarchesca ne rinnova in seguito la struttura, mentre il grande poeta di Recanati dedicherà studi all'autore del Canzoniere e curerà anche un'importante edizione commentata della raccolta, stampata a Milano nel 1826 dall'editore Stella che si distingue per un notevole rigore scientifico e filologico, ancora oggi peraltro proposta nelle note a molte edizioni moderne dell'opera.
Nel Novecento il modello petrarchesco è stato ripreso in chiave moderna da Umberto Saba, che non a caso intitola Canzoniere la raccolta complessiva dei suoi versi e che all'autore trecentesco si ispira soprattutto per la ricerca di chiarezza e immediatezza verbale, nell'ambito di una certa fedeltà alla tradizione che è la caratteristica di tutta la poesia del grande autore triestino; giova ricordare che Saba ha anche offerto in alcuni suoi scritti in prosa (Scorciatoie e raccontini, 1945) una curiosa interpretazione "psicanalitica" della poesia di Petrarca, affermando che secondo lui Laura rappresenterebbe la madre del poeta oggetto di un amore proibito (con un'allusione al "complesso di Edipo" elaborato da Freud) mentre la stessa attività poetica sarebbe per Petrarca un modo sublimato di arrivare a "possedere" la madre, teoria quanto meno discutibile che, tuttavia, rivela l'interesse dell'autore novecentesco per le nuove tematiche della psicanalisi cui lui stesso si era sottoposto per affrontare le sue nevrosi. Nell'ultimo scorcio del Novecento, infine, il richiamo alla poesia del Canzoniere ha riguardato soprattutto i poeti più attenti alla perfezione formale e più interessati a riprodurre effetti di musicalità, tra cui si può citare Giuseppe Ungaretti nella fase vicina all'Ermetismo, mentre per quanto riguarda lo sperimentalismo linguistico e la passione civile Dante rimane il modello irrinunciabile, non di rado contrapposto a Petrarca proprio come del resto era successo lungamente nella tradizione italiana dal Cinquecento in avanti.
Nel Novecento il modello petrarchesco è stato ripreso in chiave moderna da Umberto Saba, che non a caso intitola Canzoniere la raccolta complessiva dei suoi versi e che all'autore trecentesco si ispira soprattutto per la ricerca di chiarezza e immediatezza verbale, nell'ambito di una certa fedeltà alla tradizione che è la caratteristica di tutta la poesia del grande autore triestino; giova ricordare che Saba ha anche offerto in alcuni suoi scritti in prosa (Scorciatoie e raccontini, 1945) una curiosa interpretazione "psicanalitica" della poesia di Petrarca, affermando che secondo lui Laura rappresenterebbe la madre del poeta oggetto di un amore proibito (con un'allusione al "complesso di Edipo" elaborato da Freud) mentre la stessa attività poetica sarebbe per Petrarca un modo sublimato di arrivare a "possedere" la madre, teoria quanto meno discutibile che, tuttavia, rivela l'interesse dell'autore novecentesco per le nuove tematiche della psicanalisi cui lui stesso si era sottoposto per affrontare le sue nevrosi. Nell'ultimo scorcio del Novecento, infine, il richiamo alla poesia del Canzoniere ha riguardato soprattutto i poeti più attenti alla perfezione formale e più interessati a riprodurre effetti di musicalità, tra cui si può citare Giuseppe Ungaretti nella fase vicina all'Ermetismo, mentre per quanto riguarda lo sperimentalismo linguistico e la passione civile Dante rimane il modello irrinunciabile, non di rado contrapposto a Petrarca proprio come del resto era successo lungamente nella tradizione italiana dal Cinquecento in avanti.