Letteratura italiana
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Ludovico Ariosto


La fuga di Angelica (seconda parte)
(Orlando furioso, I, 33-58)

Proseguendo la sua fuga precipitosa nella foresta, Angelica giunge in una meravigliosa radura in cui scorrono due limpidi ruscelli (il classico "locus amoenus" della tradizione poetica) e decide di riposare qualche momento, finché è disturbata dall'arrivo imprevisto di un cavaliere: è il re di Circassia Sacripante, anch'egli innamorato della fanciulla e che si abbandona a un lamento disperato pensando che Angelica l'abbia ormai tradito con Orlando. La giovane lo osserva non vista dietro un cespuglio, poi decide di mostrarsi e di usare il suo fascino per ottenere l'aiuto del guerriero, mostrando il suo consueto volto di donna astuta e calcolatrice.

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto
► OPERA: Orlando furioso


33
Fugge tra selve spaventose e scure,
per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover de le frondi e di verzure,
che di cerri sentia, d’olmi e di faggi,
fatto le avea con subite paure
trovar di qua di là strani viaggi;
ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

34
Qual pargoletta o damma o capriuola,
che tra le fronde del natio boschetto
alla madre veduta abbia la gola
stringer dal pardo, o aprirle ‘l fianco o ‘l petto,
di selva in selva dal crudel s’invola,
e di paura trema e di sospetto:
ad ogni sterpo che passando tocca,
esser si crede all’empia fera in bocca.

35
Quel dì e la notte a mezzo l’altro giorno
s’andò aggirando, e non sapeva dove.
Trovossi al fin in un boschetto adorno,
che lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari rivi, mormorando intorno,
sempre l’erbe vi fan tenere e nuove;
e rendea ad ascoltar dolce concento,
rotto tra picciol sassi, il correr lento.

36
Quivi parendo a lei d’esser sicura
e lontana a Rinaldo mille miglia,
da la via stanca e da l’estiva arsura,
di riposare alquanto si consiglia:
tra’ fiori smonta, e lascia alla pastura
andare il palafren senza la briglia;
e quel va errando intorno alle chiare onde,
che di fresca erba avean piene le sponde.

37
Ecco non lungi un bel cespuglio vede
di prun fioriti e di vermiglie rose,
che de le liquide onde al specchio siede,
chiuso dal sol fra l’alte querce ombrose;
così voto nel mezzo, che concede
fresca stanza fra l’ombre più nascose:
e la foglia coi rami in modo è mista,
che ‘l sol non v’entra, non che minor vista.

38
Dentro letto vi fan tenere erbette,
ch’invitano a posar chi s’appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette,
ivi si corca ed ivi s’addormenta.
Ma non per lungo spazio così stette,
che un calpestio le par che venir senta:
cheta si leva e appresso alla riviera
vede ch’armato un cavallier giunt’era.

39
Se gli è amico o nemico non comprende:
tema e speranza il dubbio cor le scuote;
e di quella aventura il fine attende,
né pur d’un sol sospir l’aria percuote.
Il cavalliero in riva al fiume scende
sopra l’un braccio a riposar le gote;
e in un suo gran pensier tanto penètra,
che par cangiato in insensibil pietra.

40
Pensoso più d’un’ora a capo basso
stette, Signore, il cavallier dolente;
poi cominciò con suono afflitto e lasso
a lamentarsi sì soavemente,
ch’avrebbe di pietà spezzato un sasso,
una tigre crudel fatta clemente.
Sospirante piangea, tal ch’un ruscello
parean le guance, e ‘l petto un Mongibello.

41
«Pensier (dicea) che ‘l cor m’agghiacci ed ardi,
e causi il duol che sempre il rode e lima,
che debbo far, poi ch’io son giunto tardi,
e ch’altri a corre il frutto è andato prima?
a pena avuto io n’ho parole e sguardi,
ed altri n’ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto né fiore,
perché affligger per lei mi vuo’ più il core?

42
La verginella è simile alla rosa,
ch’in bel giardin su la nativa spina
mentre sola e sicura si riposa,
né gregge né pastor se le avvicina;
l’aura soave e l’alba rugiadosa,
l’acqua, la terra al suo favor s’inchina:
gioveni vaghi e donne inamorate
amano averne e seni e tempie ornate.

43
Ma non sì tosto dal materno stelo
rimossa viene e dal suo ceppo verde,
che quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che ‘l fior, di che più zelo
che de’ begli occhi e de la vita aver de’,
lascia altrui corre, il pregio ch’avea inanti
perde nel cor di tutti gli altri amanti.

44
Sia vile agli altri, e da quel solo amata
a cui di sé fece sì larga copia.
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
trionfan gli altri, e ne moro io d’inopia.
Dunque esser può che non mi sia più grata?
dunque io posso lasciar mia vita propia?
Ah più tosto oggi manchino i dì miei,
ch’io viva più, s’amar non debbo lei!»

45
Se mi domanda alcun chi costui sia,
che versa sopra il rio lacrime tante,
io dirò ch’egli è il re di Circassia,
quel d’amor travagliato Sacripante;
io dirò ancor, che di sua pena ria
sia prima e sola causa essere amante,
è pur un degli amanti di costei:
e ben riconosciuto fu da lei.

46
Appresso ove il sol cade, per suo amore
venuto era dal capo d’Oriente;
che seppe in India con suo gran dolore,
come ella Orlando sequitò in Ponente:
poi seppe in Francia che l’imperatore
sequestrata l’avea da l’altra gente,
per darla all’un de’ duo che contra il Moro
più quel giorno aiutasse i Gigli d’oro.

47
Stato era in campo, e inteso avea di quella
rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
cercò vestigio d’Angelica bella,
né potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novella
che d’amorosa doglia fa penarlo,
affligger, lamentare, e dir parole
che di pietà potrian fermare il sole.

48
Mentre costui così s’affligge e duole,
e fa degli occhi suoi tepida fonte,
e dice queste e molte altre parole,
che non mi par bisogno esser racconte;
l’aventurosa sua fortuna vuole
ch’alle orecchie d’Angelica sian conte:
e così quel ne viene a un’ora, a un punto,
ch’in mille anni o mai più non è raggiunto.

49
Con molta attenzion la bella donna
al pianto, alle parole, al modo attende
di colui ch’in amarla non assonna;
né questo è il primo dì ch’ella l’intende:
ma dura e fredda più d’una colonna,
ad averne pietà non però scende,
come colei c’ha tutto il mondo a sdegno,
e non le par ch’alcun sia di lei degno.

50
Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
le fa pensar di tor costui per guida;
che chi ne l’acqua sta fin alla gola
ben è ostinato se mercé non grida.
Se questa occasione or se l’invola,
non troverà mai più scorta sì fida;
ch’a lunga prova conosciuto inante
s’avea quel re fedel sopra ogni amante.

51
Ma non però disegna de l’affanno
che lo distrugge alleggierir chi l’ama,
e ristorar d’ogni passato danno
con quel piacer ch’ogni amator più brama:
ma alcuna finzione, alcuno inganno
di tenerlo in speranza ordisce e trama;
tanto ch’a quel bisogno se ne serva,
poi torni all’uso suo dura e proterva.

52
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
fa di sé bella ed improvvisa mostra,
come di selva o fuor d’ombroso speco
Diana in scena o Citerea si mostra;
e dice all’apparir: «Pace sia teco;
teco difenda Dio la fama nostra,
e non comporti, contra ogni ragione,
ch’abbi di me sì falsa opinione.»

53
Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
ch’avea per morto sospirato e pianto,
poi che senza esso udì tornar le squadre;
con quanto gaudio il Saracin, con quanto
stupor l’alta presenza e le leggiadre
maniere, e il vero angelico sembiante,
improviso apparir si vide inante.

54
Pieno di dolce e d’amoroso affetto,
alla sua donna, alla sua diva corse,
che con le braccia al collo il tenne stretto,
quel ch’al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno, al suo natio ricetto,
seco avendo costui, l’animo torse:
subito in lei s’avviva la speranza
di tosto riveder sua ricca stanza.

55
Ella gli rende conto pienamente
dal giorno che mandato fu da lei
a domandar soccorso in Oriente
al re de’ Sericani e Nabatei;
e come Orlando la guardò sovente
da morte, da disnor, da casi rei:
e che ‘l fior virginal così avea salvo,
come se lo portò del materno alvo.

56
Forse era ver, ma non però credibile
a chi del senso suo fosse signore;
ma parve facilmente a lui possibile,
ch’era perduto in via più grave errore.
Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibile,
e l’invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fu; che ‘l miser suole
dar facile credenza a quel che vuole.

57
«Se mal si seppe il cavallier d’Anglante
pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
il danno se ne avrà; che da qui inante
nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra sé tacito parla Sacripante):
ma io per imitarlo già non sono,
che lasci tanto ben che m’è concesso,
e ch’a doler poi m’abbia di me stesso.

58
Corrò la fresca e matutina rosa,
che, tardando, stagion perder potria.
So ben ch’a donna non si può far cosa
che più soave e più piacevol sia,
ancor che se ne mostri disdegnosa,
e talor mesta e flebil se ne stia:
non starò per repulsa o finto sdegno,
ch’io non adombri e incarni il mio disegno.»



Fugge tra selve spaventose e buie, tra luoghi disabitati, solitari e selvaggi. Lo stormire delle fronde e dei rami, che lei sentiva di cerri, di olmi e di faggi, l'aveva indotta con improvvisi timori a percorrere sentieri fuori mano; infatti ogni volta che vedeva un'ombra in un monte o in una valle, temeva sempre di avere alle sue spalle
Rinaldo.




[Angelica] è come una giovane daina o una capriola, che ha visto tra le fonde del boschetto natio la madre stretta alla gola dal leopardo, o col fianco o il petto squarciato: scappa di bosco in bosco da quella belva crudele, tremando di sospetto e paura; ad ogni sterpo che tocca correndo, crede di essere tra le fauci della terribile fiera.




Andò peregrinando quel giorno, la notte seguente e metà del giorno dopo ancora, non sapendo dove andava. Alla fine capitò in un bel boschetto, mosso dolcemente da una leggera brezza. Due limpidi ruscelli, mormorando lì intorno, vi fanno sempre l'erba fresca e novella; e lo scorrere lento dell'acqua, rotto da piccoli sassi, produceva all'orecchio una dolce armonia.





Qui, sembrandole di essere al sicuro e lontana mille miglia da Rinaldo, stanca per il viaggio e per il calore estivo, pensa di riposare un po' di tempo: smonta tra i fuori e lascia che il cavallo vada al pascolo, senza briglia; e quello vaga intorno alle acque limpide, poiché le rive dei ruscelli erano piene di fresca erba.





Ecco che vede non lontano un bel cespuglio di pruni fioriti e di rose rosse, che sembra specchiarsi nelle onde dei ruscelli, protetto dal sole dalle alte querce che fanno ombra; così ampio nel mezzo che concede un fresco riposo tra le ombre più nascoste: e le foglie sono mescolate ai rami in modo tale che né il sole né lo sguardo vi penetra attraverso.





All'interno tenere erbette formano un letto, che invita a riposare chi capita lì. La bella donna si stende in mezzo ad esse, si corica e si addormenta. Ma non rimase così per molto tempo, poiché le sembra di sentire un calpestio: si alza in silenzio e vede che un cavaliere armato era giunto vicino al fiume.





Non capisce se sia amico o nemico: il suo cuore è scosso da timore e speranza; e aspetta di vedere come finisca la cosa, né emette un solo sospiro nell'aria. Il cavaliere smonta in riva al fiume e mette le guance a riposare su un braccio: e si concentra in un suo pensiero a tal punto, che sembra tramutato in una roccia priva di vita.




Il cavaliere addolorato, o mio signore [Ippolito], restò più di un'ora pensieroso, a capo chino; poi cominciò a lamentarsi con voce afflitta e bassa, così dolcemente che avrebbe spezzato dalla pietà un sasso, avrebbe reso clemente una tigre crudele. Piangeva tra i sospiri, così che le guance sembravano un ruscello e il petto sembrava il Mongibello [perché emetteva sospiri].



Diceva: «O pensiero che mi ghiacci e mi bruci il cuore, e causi il dolore che lo rode e lo consuma di continuo, che cosa devo fare, visto che sono giunto tardi e che un altro è arrivato prima a cogliere il frutto? A malapena io ne ho avuto parole e sguardi, un altro ne gode tutta la ricca spoglia. Se a me non ne tocca né il frutto né il fiore, perché vuoi affliggermi ancora il cuore?





La giovane vergine è simile alla rosa, che mentre riposa sola e sicura nel bel giardino, sullo stelo su cui è nata, non è avvicinata né da gregge né da pastore; l'aria dolce e l'alba che porta rugiada, l'acqua, la terra si chinano a renderle omaggio: bei giovani e donne innamorate vogliono sempre ornare con essa i seni e le tempie.





Ma non appena viene tolta dal suo stelo materno e dal suo gambo verde, ecco che perde tutto quello che aveva dagli uomini e dal cielo, favore, grazia, bellezza. La vergine che lascia ad altri cogliere il fiore [la verginità], che dovrebbe proteggere assai più dei suoi begli occhi e della vita, perde nel cuore di tutti gli altri innamorati il valore che aveva prima.




Sia vile per gli altri e sia amata da quel solo al quale si è donata in così larga misura. Ah, fortuna crudele, fortuna ingrata! gli altri trionfano e io muoio di stenti. Dunque può essere che non mi sia più gradita? dunque posso lasciare la mia propria vita? Ah, piuttosto finiscano i miei giorni, che io non viva più, se non devo amare lei!»




Se qualcuno mi domanda chi sia costui, che sparge tante lacrime su quel ruscello, io gli dirò che è il re di Circassia, quel Sacripante travagliato dall'amore; aggiungerò che la prima e sola causa dei suoi aspri dolori è l'essere amante, e lui è uno degli amanti di Angelica: e lei lo riconobbe bene.





Egli era giunto dall'estremo Oriente per amor suo fino all'Occidente; infatti in India seppe con gran dolore che lei seguì
Orlando in Ponente: poi seppe che in Francia Carlo Magno l'aveva separata dagli altri, per darla in sposa a quello dei due [Orlando e Rinaldo] che quel giorno avrebbe aiutato di più la Francia contro Agramante.




Era sceso in campo e aveva sentito di quella terribile sconfitta subita da Carlo: cercò le tracce della bella Angelica e non le aveva ancora potute trovare. Questa è dunque la triste e crudele notizia che lo fa penare di dolore amoroso, lo fa affliggere, lamentare e dire parole che potrebbero arrestare il corso del sole per la pietà.





Mentre costui si affligge e piange così, spargendo calde lacrime dagli occhi, e dice queste parole e molte altre che non mi pare necessario riferire, il suo fato benevolo vuole che esse siano ascoltate da Angelica: e così quello raggiunge in un'ora, in un istante un traguardo che o è raggiunto una volta in mille anni o mai più.




La bella donna osserva con molta attenzione il pianto, le parole, i modi di colui che non trova pace nell'amarla; e questo non è il primo giorno in cui lo ascolta: ma, più dura e fredda di una colonna, non per questo si muove a pietà di lui, come colei che sdegna tutto il mondo e non crede che qualcuno sia degno di lei.





Pure, ritrovandosi sola per quei boschi, pensa di prendere costui per sua guida; infatti chi ha l'acqua alla gola è ben cocciuto se non grida aiuto. Se adesso perde questa occasione, non troverà mai più una scorta altrettanto sicura; infatti per lunghe prove aveva saputo che quel re l'amava fedelmente più di ogni altro.




Ma non per questo pensa di alleviare l'affanno che distrugge lui che la ama, né ripagare ogni danno passato con quel piacere che più desidera ogni amante: trama e ordisce invece una qualche finzione, un inganno, per farlo sperare e servirsi di lui quel tanto che le occorra, poi tornerà a comportarsi come sempre in modo duro e altero.





E si mostra all'improvviso fuori da quel cespuglio oscuro che la celava, come sulla scena teatrale si mostra Diana o Venere fuori da un bosco o da una caverna ombrosa; e al suo apparire dice: «La pace sia con te; Dio difenda con te la nostra fama e non tolleri che tu abbia di me un'opinione falsa, contro ogni ragione».




Mai una madre alzò lo sguardo con tanta gioia o stupore sul figlio, che aveva sospirato e pianto per morto avendo sentito che l'esercito era tornato senza di lui, rispetto alla gioia e allo stupore con cui il saraceno si vide all'improvviso apparire di fronte la nobile presenza, i modi leggiadri e il vero aspetto angelico della donna.





Pieno di affetto dolce e amoroso, corse dalla sua donna e dalla sua dea, che lo abbracciò al collo strettamente, cosa che forse non avrebbe fatto in Catai.
Avendo costui accanto il suo animo pensò subito al regno di suo padre, al luogo natio: subito si accende in lei la speranza di rivedere presto il suo ricco palazzo.




Lei gli spiega per filo e per segno cosa era successo dal giorno in cui lo mandò a domandare soccorso in Oriente, al re dei Sericani e dei Nabatei [Gradasso]; e come Orlando la protesse spesso dalla morte, dal disonore, da ogni sciagura: e disse che la sua verginità era intatta, come quando era uscita dal ventre materno.





Forse era vero, ma non era però credibile a chi fosse padrone del suo intelletto; ma a lui sembrò facilmente possibile, essendo perduto in un errore ben più grande [essendo innamorato]. Amore rende invisibile ciò che l'uomo vede, e viceversa. Questa cosa venne creduta; infatti il misero è solito credere quello che vuole che avvenga.




«Se il cavaliere d'Anglante [Orlando] non seppe approfittare per sua stupidità dell'occasione favorevole, avrà il suo danno; d'ora in avanti la fortuna non gli offrirà più un simile dono (così Sacripante parla tra sé): ma io non intendo imitarlo e lasciare un simile bene che mi è concesso, così che poi debba lagnarmi di me stesso.





Coglierò la rosa fresca e mattutina, poiché se tardassi a farlo potrebbe perdere la sua freschezza. So bene che non si può fare a una donna una cosa più soave e piacevole, anche se si mostra sdegnosa, e a volte se ne sta triste e in lacrime: non lascerò che un rifiuto o uno sdegno simulati mi impediscano di intraprendere e portare a termine il mio progetto».


Interpretazione complessiva

  • Il passo descrive la fuga di Angelica che prosegue dopo che lei ha lasciato Rinaldo e Ferraù intenti a battersi, ignara del fatto che entrambi poi hanno perso le sue tracce (► TESTO: La fuga di Angelica/1): il terrore di essere raggiunta da Rinaldo che odia la spinge a correre a perdifiato nella selva, sino a giungere in una piacevole radura che rappresenta il classico locus amoenus della tradizione classica e stilnovistica e offre un sicuro rifugio rispetto all'orrore del bosco attraversato, con tanto di erbetta, fiori, e due limpidi fiumiciattoli che scorrono piacevolmente tra il verde. I rami degli alberi e il fogliame impediscono ai raggi del sole di penetrare e producono una piacevole ombra, così la donna può coricarsi in un cespuglio che fa da morbido letto e riposare, mentre il cavallo va liberamente al pascolo senza briglia. L'autore apre in queste ottave un quadro lirico che funge da pausa narrativa, preparando il successivo arrivo di Sacripante che darà l'inizio ad una nuova avventura, ed è evidente l'imitazione dantesca nella descrizione dell'amena radura, soprattutto dell'Eden visto in Purg., XXVIII, 1 ss. (dove è presente il fiume Lete che scorre tra i fiori e il fogliame "a li occhi temperava il novo giorno"; ► TESTO: L'incontro con Matelda).
  • Il personaggio che giunge inaspettato nella radura e che inizia un appassionato lamento amoroso è Sacripante, il re di Circassia già visto nell'Innamorato in cui aveva lottato per Angelica ad Albraca, difendendola da Agricane, e l'aveva a lungo amata senza speranza, finché lei, o meglio il padre Galafrone, lo aveva inviato a cercare rinforzi presso il re dei Nabatei Gradasso (Inn., II.V): il sovrano è disperato perché sa che Angelica è tornata in Occidente in compagnia di Orlando e teme che ormai si sia concessa al paladino cristiano, cosa che dovrebbe renderla meno appetibile ai suoi occhi e invece non riesce a dimenticarla. Il lamento di Sacripante è accorato ed egli paragona la "verginella" a una rosa che è bellissima e onorata finché rimane sullo stelo, poi quando viene colta perde buona parte della sua attrattiva, usando la consueta immagine del "cogliere la rosa" nel senso di approfittare della bellezza di una giovane donna, ampiamente usata dagli scrittori del XV sec. (cfr. soprattutto Poliziano, che nella ballata I' mi trovai, fanciulle invita proprio gli uomini a cogliere "la bella rosa del giardino"; ► VAI AL TESTO). Sacripante intende dire che la "rosa" di Angelica, ora che è stata colta da un altro, non dovrebbe più essere desiderata da lui, invece il pensiero amoroso continua a rodergli e a consumargli il cuore, riecheggiando anche un carme di Catullo (62) in cui viene espresso un concetto assai simile. La stessa metafora della rosa tornerà anche nella Liberata di Tasso, nel discorso del pappagallo che invita come Poliziano ad approfittare della vita che è breve e passa velocemente (► TESTO: Il giardino di Armida).
  • Angelica si mostra nell'episodio nelle consuete vesti di donna calcolatrice e cinica quale era già mostrata nell'Innamorato, forse con un surplus di raffinata perfidia: ascolta con attenzione le parole di Sacripante e decide di approfittare della situazione, non perché abbia pietà dell'uomo che soffre per lei (anzi, è "dura e fredda più d’una colonna") ma perché le circostanze le impongono di trovare qualcuno che le faccia da scorta fuori dalla foresta e il cavaliere fa al caso suo; si propone di dargli "speranza" con le parole e di tenerlo sulla corda per indurlo ad aiutarla, poi quando non le servirà più tornerà ad essere altera e sdegnosa come sempre. Infatti si presenta a lui all'improvviso e lo rassicura circa la sua verginità ancora intatta, inoltre lo abbraccia teneramente al collo, cosa che fa solo nella speranza di poter tornare grazie al suo aiuto in Catai. Il racconto sulla sua purezza è vero (Ariosto lo confermerà parlando della sua relazione con Medoro, aggiungendo parole ironiche su Sacripante e Orlando; ► TESTO: L'amore di Angelica e Medoro), anche se qui la cosa pare poco credibile, tuttavia il re circasso prende per buone tutte le sue parole e non si pone neppure il minimo dubbio, comportandosi come un uomo accecato dall'amore che, dice l'autore, fa vedere quello che non c'è e viceversa. La caratterizzazione di Angelica come un'esperta seduttrice che usa sapientemente il suo fascino per ottenere i suoi scopi è decisamente moderna ed è significativo che questo ruolo sia svolto dall'eroina principale del poema, una donna nobile e figlia persino del re del Catai, non da una popolana o da una truffatrice come avveniva per lo più nel Decameron o nella commedia del Cinquecento (è un segno dell'emancipazione raggiunta dalla figura femminile nella società rinascimentale, dimostrata anche dalla grande varietà di donne descritte nel Furioso; ► SCHEDA: La figura femminile nel '500). Angelica subirà comunque una trasformazione positiva nel corso del poema, poiché da donna altera e "c’ha tutto il mondo a sdegno" si innamorerà dell'umile fante saraceno Medoro, lo sposerà e partirà con lui per il Catai.


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