Giovanni Boccaccio
Calandrino e l'elitropia
(Decameron, VIII, 3)
Protagonista di questa novella narrata da Elissa è lo sciocco pittore Calandrino, un personaggio fiorentino realmente esistito che compare anche in altre novelle del "Decameron" e viene sempre beffato dai due amici Bruno e Buffalmacco, autori di feroci scherzi ai suoi danni. Qui gli viene fatto credere da Maso del Saggio nell'esistenza dell'elitropia, magica pietra che ha il potere di rendere invisibili, e l'uomo propone agli amici di cercarla lungo il torrente Mugnone, progettando di servirsene per arricchirsi a spese dei cambiavalute; inutile dire che la conclusione sarà una beffa architettata contro di lui dai suoi compari di cui però, alla fine, patirà le conseguenze Tessa, l'incolpevole moglie di Calandrino.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 175 180 185 190 |
Calandrino, Bruno e Buffalmacco giù per lo Mugnone vanno cercando di trovar l’elitropia, e Calandrino se la crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia, ed egli turbato la batte, e a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.
Finita la novella di Panfilo [1], della quale le donne avevano tanto riso che ancor ridono, la reina [2] ad Elissa commise che seguitasse, la quale ancora ridendo incominciò: Io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrà fatto di farvi con una mia novelletta, non men vera che piacevole, tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua, ma io me ne ‘ngegnerò. Nella nostra città, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata abondevole, fu, ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino [3], uom semplice e di nuovi costumi, il quale il più del tempo con due altri dipintori usava, chiamati l’un Bruno e l’altro Buffalmacco [4], uomini sollazzevoli molto, ma per altro avveduti e sagaci, li quali con Calandrino usavan per ciò che de’ modi suoi e della sua simplicità sovente gran festa prendevano. Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza, in ciascuna cosa che far voleva astuto e avvenevole, chiamato Maso del Saggio; il quale, udendo alcune cose della simplicità di Calandrino, propose di voler prender diletto de’ fatti suoi col fargli alcuna beffa, o fargli credere alcuna nuova cosa. E per avventura [5] trovandolo un dì nella chiesa di San Giovanni, e vedendolo stare attento a riguardar le dipinture e gl’intagli del tabernacolo il quale è sopra l’altare della detta chiesa, non molto tempo davanti postovi, pensò essergli dato luogo e tempo alla sua intenzione; e informato un suo compagno di ciò che fare intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo, insieme cominciarono a ragionare delle virtù di diverse pietre, delle quali Maso così efficacemente parlava come se stato fosse un solenne e gran lapidario [6]. A’ quali ragionamenti Calandrino posto orecchie, e dopo alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza [7], si congiunse con loro; il che forte piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole, fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone [8], terra de’ Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua. - Oh, - disse Calandrino - cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ capponi che cuocon coloro? Rispose Maso: - Mangiansegli i Baschi tutti. Disse allora Calandrino: - Fostivi tu mai? A cui Maso rispose: - Di’ tu se io vi fu’ mai? Sì vi sono stato così una volta come mille. Disse allora Calandrino: - E quante miglia ci ha? Maso rispose: - Haccene più di millanta, che tutta notte canta. [9] Disse Calandrino: - Dunque dee egli essere più là che Abruzzi. - Sì bene, - rispose Maso - si è cavelle. [10] Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e senza ridere, quella fede vi dava che dar si può a qualunque verità più manifesta, e così l’aveva per vere, e disse: - Troppo ci è di lungi a’ fatti miei, ma se più presso ci fosse, ben ti dico che io vi verrei una volta con essoteco [11], pur per veder fare il tomo a quei maccheroni, e tormene una satolla. [12] Ma dimmi, che lieto sie tu, in queste contrade non se ne truova niuna di queste pietre così virtuose? A cui Maso rispose: - Sì, due maniere di pietre ci si truovano di grandissima virtù: l’una sono i macigni da Settignano e da Montisci [13], per virtù de’ quali, quando son macine fatti, se ne fa la farina; e per ciò si dice egli in que’ paesi di là, che da Dio vengono le grazie e da Montisci le macine; ma ecci [14] di questi macigni sì gran quantità, che appo noi è poco prezzata, come appo loro gli smeraldi, de’ quali v’ha maggior montagne che monte Morello che rilucon di mezza notte vatti con Dio [15]. E sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella, prima che elle si forassero, e portassele al soldano, n’avrebbe ciò che volesse. L’altra si è una pietra, la quale noi altri lapidari appelliamo elitropia [16], pietra di troppo gran virtù, per ciò che qualunque persona la porta sopra di sè, mentre la tiene, non è da alcuna altra persona veduto dove non è. Allora Calandrin disse: - Gran virtù son queste; ma questa seconda dove si truova? A cui Maso rispose, che nel Mugnone [17] se ne solevan trovare. Disse Calandrino: - Di che grossezza è questa pietra? O che colore è il suo? Rispose Maso: - Ella è di varie grossezze, ché alcuna n’è più e alcuna meno, ma tutte son di colore quasi come nero. Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate, fatto sembiante d’avere altro a fare, si partì da Maso, e seco propose di voler cercare di questa pietra; ma diliberò di non volerlo fare senza saputa di Bruno e di Buffalmacco, li quali spezialissimamente amava. Diessi adunque a cercar di costoro, acciò che senza indugio e prima che alcuno altro n’andassero a cercare, e tutto il rimanente di quella mattina consumò in cercargli. Ultimamente, essendo già l’ora della nona [18] passata, ricordandosi egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di Faenza, quantunque il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua faccenda, quasi correndo n’andò a costoro, e chiamatigli, così disse loro: - Compagni, quando voi vogliate credermi, noi possiamo divenire i più ricchi uomini di Firenze, per ciò che io ho inteso da uomo degno di fede che in Mugnone si truova una pietra, la qual chi la porta sopra non è veduto da niun’altra persona; per che a me parrebbe che noi senza alcuno indugio, prima che altra persona v’andasse, v’andassimo a cercare. Noi la troveremo per certo, per ciò che io la conosco; e trovata che noi l’avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela nella scarsella e andare alle tavole de’ cambiatori, le quali sapete che stanno sempre cariche di grossi [19] e di fiorini, e torcene quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedrà; e così potremo arricchire subitamente, senza avere tutto dì a schiccherare le mura a modo che fa la lumaca. Bruno e Buffalmacco, udendo costui, fra sé medesimi cominciarono a ridere, e guatando l’un verso l’altro fecer sembianti di maravigliarsi forte, e lodarono il consiglio di Calandrino; ma domandò Buffalmacco, come questa pietra avesse nome. A Calandrino, che era di grossa pasta, era già il nome uscito di mente, per che egli rispose: - Che abbiam noi a far del nome, poi che noi sappiam la virtù? A me parrebbe che noi andassimo a cercare senza star più. - Or ben, - disse Bruno - come è ella fatta? Calandrin disse: - Egli ne son d’ogni fatta, ma tutte son quasi nere; per che a me pare che noi abbiamo a ricogliere tutte quelle che noi vederem nere, tanto che noi ci abbattiamo ad essa; e per ciò non perdiamo tempo, andiamo. A cui Brun disse: - Or t’aspetta; - e volto a Buffalmacco disse: - A me pare che Calandrino dica bene; ma non mi pare che questa sia ora da ciò, per ciò che il sole è alto e dà per lo Mugnone entro e ha tutte le pietre rasciutte, per che tali paion testé bianche delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il sole l’abbia rasciutte, paion nere; e oltre a ciò molta gente per diverse cagioni è oggi, che è dì di lavorare, per lo Mugnone, li quali vedendoci si potrebbono indovinare quello che noi andassimo faccendo, e forse farlo essi altressì, e potrebbe venire alle mani a loro, e noi avremmo perduto il trotto per l’ambiadura [20]. A me pare, se pare a voi, che questa sia opera da dover fare da mattina, che si conoscon meglio le nere dalle bianche, e in dì di festa, che non vi sarà persona che ci vegga. Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s’accordò, e ordinarono che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar di questa pietra; ma sopra ogn’altra cosa gli pregò Calandrino che essi non dovesser questa cosa con persona del mondo ragionare, per ciò che a lui era stata posta in credenza [21]. E ragionato questo, disse loro ciò che udito avea della contrada di Bengodi, con saramenti [22] affermando che così era. Partito Calandrino da loro, essi quello che intorno a questo avessero a fare ordinarono fra sé medesimi. Calandrino con disidero aspettò la domenica mattina; la qual venuta, in sul far del dì si levò, e chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel Mugnon discesi, cominciarono ad andare in giù, della pietra cercando. Calandrino andava, come più volenteroso, avanti, e prestamente or qua e or là saltando, dovunque alcuna pietra nera vedeva, si gittava, e quella ricogliendo si metteva in seno. I compagni andavano appresso, e quando una e quando un’altra ne ricoglievano; ma Calandrino non fu guari di via andato [23], che egli il seno se n’ebbe pieno; per che, alzandosi i gheroni della gonnella, che all’analda non era [24], e faccendo di quegli ampio grembo, bene avendogli alla correggia attaccati d'ogni parte, non dopo molto gli empié, e similmente, dopo alquanto spazio, fatto del mantello grembo, quello di pietre empié. Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l’ora del mangiare s’avvicinava, secondo l’ordine da sé posto, disse Bruno a Buffalmacco: - Calandrino dove è? Buffalmacco, che ivi presso sel vedeva, volgendosi intorno e or qua e or là riguardando, rispose: - Io non so, ma egli era pur poco fa qui dinanzi da noi. Disse Bruno: - Ben che fa poco! [25] a me par egli esser certo che egli è ora a casa a desinare, e noi ha lasciati nel farnetico [26] d’andar cercando le pietre nere giù per lo Mugnone. - Deh come egli ha ben fatto, - disse allora Buffalmacco - d’averci beffati e lasciati qui, poscia che noi fummo sì sciocchi che noi gli credemmo. Sappi! chi sarebbe stato sì stolto che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una così virtuosa pietra, altri che noi? Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse venuta e che per la virtù d’essa coloro, ancor che lor fosse presente, nol vedessero. Lieto adunque oltre modo di tal ventura, senza dir loro alcuna cosa, pensò di tornarsi a casa; e volti i passi indietro, se ne cominciò a venire. Vedendo ciò, Buffalmacco disse a Bruno: - Noi che faremo? Ché non ce ne andiam noi? A cui Bruno rispose: - Andianne; ma io giuro a Dio che mai Calandrino non me ne farà più niuna; e se io gli fossi presso, come stato sono tutta mattina, io gli darei tale di questo ciotto nelle calcagna, che egli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa - ; e il dir le parole e l’aprirsi e ‘l dar del ciotto nel calcagna a Calandrino fu tutto uno. Calandrino, sentendo il duolo, levò alto il piè e cominciò a soffiare, ma pur si tacque e andò oltre. Buffalmacco, recatosi in mano uno de’ciottoli che raccolti avea, disse a Bruno: - Deh! vedi bel codolo [27], così giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino! - e lasciato andare, gli diè con esso nelle reni una gran percossa. E in brieve in cotal guisa or con una parola, e or con una altra su per lo Mugnone infino alla porta a San Gallo il vennero lapidando. Quindi, in terra gittate le pietre che ricolte aveano, alquanto con le guardie de’ gabellieri [28] si ristettero; le quali, prima da loro informate, faccendo vista di non vedere, lasciarono andar Calandrino con le maggior risa del mondo. Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era vicina al Canto alla Macina [29]; e in tanto fu la fortuna piacevole alla beffa, che, mentre Calandrino per lo fiume ne venne e poi per la città, niuna persona gli fece motto, come che pochi ne scontrasse, per ciò che quasi a desinare era ciascuno. Entrossene adunque Calandrino così carico in casa sua. Era per avventura la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa, bella e valente donna, in capo della scala; e alquanto turbata della sua lunga dimora [30], veggendol venire, cominciò proverbiando a dire: - Mai, frate, il diavol ti ci reca! ogni gente ha già desinato quando tu torni a desinare. Il che udendo Calandrino, e veggendo che veduto era, pieno di cruccio e di dolore cominciò a gridare: - Ohimè, malvagia femina, o eri tu costì? Tu m’hai diserto [31]; ma in fé di Dio io te ne pagherò -; e salito in una sua saletta e quivi scaricate le molte pietre che recate avea, niquitoso [32] corse verso la moglie, e presala per le treccie la si gittò a’ piedi, e quivi, quanto egli poté menar le braccia e’ piedi, tanto le diè per tutta la persona pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso addosso che macero non fosse, niuna cosa valendole il chieder mercé con le mani in croce. Buffalmacco e Bruno, poi che co’ guardiani della porta ebbero alquanto riso, con lento passo cominciarono alquanto lontani a seguitar Calandrino, e giunti a piè dell’uscio di lui, sentirono la fiera battitura la quale alla moglie dava, e faccendo vista di giugnere pure allora, il chiamarono. Calandrino tutto sudato, rosso e affannato si fece alla finestra, e pregogli che suso a lui dovessero andare. Essi, mostrandosi alquanto turbati, andaron suso e videro la sala piena di pietre, e nell’un de’ canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta nel viso dolorosamente piagnere, e d’altra parte Calandrino scinto e ansando a guisa d’uom lasso sedersi. Dove come alquanto ebbero riguardato, dissero: - Che è questo, Calandrino? Vuoi tu murare, che noi veggiamo qui tante pietre? - E oltre a questo soggiunsero: - E monna Tessa che ha? E’ par che tu l’abbi battuta; che novelle son queste? Calandrino, faticato dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la donna aveva battuta, e dal dolore della ventura la quale perduta gli pareva avere, non poteva raccogliere lo spirito a formare intera la parola alla risposta. Per che soprastando [33], Buffalmacco ricominciò: - Calandrino, se tu aveva altra ira, tu non ci dovevi perciò straziare come fatto hai; ché, poi sodotti ci avesti [34] a cercar teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo, a guisa di due becconi nel Mugnon ci lasciasti, e venistitene, il che noi abbiamo forte per male; ma per certo questa fia la sezzaia [35] che tu ci farai mai. A queste parole Calandrino sforzandosi rispose: - Compagni, non vi turbate, l’opera sta altramenti che voi non pensate. Io, sventurato! avea quella pietra trovata; e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente di me domandaste l’un l’altro, io v’era presso a men di diece braccia; e veggendo che voi ve ne venavate e non mi vedavate, v’entrai innanzi, e continuamente poco innanzi a voi me ne son venuto. E, cominciandosi dall’un de’ capi, infino la fine raccontò loro ciò che essi fatto e detto aveano, e mostrò loro il dosso e le calcagna come i ciotti conci gliel’avessero, e poi seguitò: - E dicovi che, entrando alla porta con tutte queste pietre in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sapete quanto esser sogliano spiacevoli e noiosi que’ guardiani a volere ogni cosa vedere; e oltre a questo ho trovati per la via più miei compari e amici, li quali sempre mi soglion far motto e invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza, sì come quegli che non mi vedeano. Alla fine, giunto qui a casa, questo diavolo di questa femina maladetta mi si parò dinanzi ed ebbemi veduto, per ciò che, come voi sapete, le femine fanno perder la virtù ad ogni cosa: di che io, che mi poteva dire il più avventurato uom di Firenze, sono rimaso il più sventurato; e per questo l’ho tanto battuta quant’io ho potuto menar le mani, e non so a quello che io mi tengo che io non le sego le veni [36]; che maladetta sia l’ora che io prima la vidi e quand’ella mi venne in questa casa! E raccesosi nell’ira, si voleva levare per tornare a batterla da capo. Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte e spesso affermavano quello che Calandrino diceva, e avevano sì gran voglia di ridere che quasi scoppiavano; ma, vedendolo furioso levare per battere un’altra volta la moglie, levatiglisi allo ‘ncontro il ritennero, dicendo di queste cose niuna colpa aver la donna, ma egli che sapeva che le femine facevano perdere la virtù alle cose e non le aveva detto che ella si guardasse d’apparirgli innanzi quel giorno: il quale avvedimento Iddio gli aveva tolto o per ciò che la ventura non doveva esser sua, o perch’egli aveva in animo d’ingannare i suoi compagni, a’ quali, come s’avvedeva d’averla trovata, il doveva palesare. E dopo molte parole, non senza gran fatica, la dolente donna riconciliata con essolui, e lasciandol malinconoso colla casa piena di pietre, si partirono. |
[1] Quella del prete di Varlungo e Belcolore. [2] Lauretta. [3] Personaggio realmente vissuto a Firenze, il suo nome era Giovannozzo di Perino. [4] Anch'essi esistiti, i loro nomi erano Bruno di Giovanni d'Olivieri e Bonamico di Cristofano. [5] Per caso. [6] Un esperto di pietre. [7] Che non erano questioni segrete. [8] Nome inventato, il cui nome riprende «berlingare» (chiacchierare) e «berlingaccio» (giovedì grasso). [9] Sorta di filastrocca, che indica una grandezza imprecisata (millanta). [10] Poco o niente. [11] Con te. [12] Farmene una scorpacciata. [13] colline nei dintorni di Firenze, come Monte Morello citato più avanti. [14] Vi sono. [15] Frase senza senso, che significa pressappoco "che splendono a mezzanotte e non ti dico altro". [16] L'elitropia era un minerale cui nel Medioevo si attribuivano poteri terapeutici. [17] Torrente che scorre vicino Firenze. [18] Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. [19] Monete d'argento. [20] Avremmo perso tutto per volere troppo (proverbio). [21] Detta in via confidenziale. [22] Con giuramenti (dal franc. serment). [23] Non ebbe fatta molta strada. [24] Che non era stretta, come quelle usate nell'Hainault (località del Belgio rinomata per i suoi tessuti). [25] Sì, proprio poco fa. [26] Qui come due stupidi. [27] Guarda che bel ciottolo. [28] Le guardie alla porta della città. [29] Angolo di Firenze tra via S. Gallo e via Guelfa, dove era murata una macina. [30] Irritata del suo ritardo. [31] Mi hai rovinato. [32] Infuriato. [33] E poiché esitava a parlare. [34] Dopo averci indotti con lusinghe. [35] L'ultima (voce toscana). [36] Che non la sveni, che non la uccida. |
Interpretazione complessiva
- La novella è inserita nell'ottava Giornata, dedicata alle beffe di qualunque tipo, e racconta l'ennesimo scherzo che Calandrino (un pittore pre-giottesco vissuto a Firenze all'inizio del Trecento e così detto dal nome di una squadra usata dagli artisti per disegnare) subisce dapprima ad opera di Maso del Saggio, già citato da frate Cipolla nella sua novella (VI, 10), e poi da parte dei suoi due amici Bruno e Buffalmacco, che si prendono gioco di lui e della sua illusione di rendersi invisibile grazie all'elitropia; i tre compaiono anche in altre novelle del Decameron, ovvero quella del porco rubato (VIII, 6), quella di Calandrino gravido (IX, 3) e quella di Calandrino innamorato (IX, 5), mentre Bruno e Buffalmacco beffano Maestro Simone nella novella omonima (VIII, 9). Il racconto ruota intorno all'ingenuità di Calandrino, talmente sciocco da credere tutto quelle che gli viene narrato, ma anche al suo progetto "criminoso" di servirsi dell'invisibilità per rubare il denaro dei cambiavalute e fare "la bella vita", dunque la beffa subita è la giusta punizione dei suoi insani propositi (e come al solito la simpatia dell'autore fa agli autori dello scherzo, non alla loro vittima).
- Il discorso a Calandrino di Maso del Saggio (anche lui personaggio reale, che svolgeva a Firenze la professione di sensale) è in realtà molto simile a quello con cui frate Cipolla
(VI, 10) riesce ad abbindolare i Certaldesi: è pieno di nomi fantasiosi
e dal significato ambiguo, specie quando descrive il favoloso paese di
Bengodi e dice di esservi stato "una volta come mille", spiegando che le miglia di distanza da Firenze sono "millanta, che tutta notte canta" (millanta
è un numerale inesistente, che allude a una quantità del tutto
imprecisata). Anche nel descrivere le proprietà delle pietre Maso si
prende gioco di Calandrino: le macine di Settignano e Montisci producono
sì la farina, ma in quanto diventano le mole dei mulini, mentre
dell'elitropia dice soltanto che chi la porta addosso non può essere
visto dove non è, cosa del tutto ovvia (frate Cipolla usava un gioco
verbale simile riguardo ai carboni di S. Lorenzo; ► TESTO: Frate Cipolla). I "lapidari" citati sono gli esperti delle virtù delle pietre e così venivano anche chiamati i trattati medievali che trattavano la materia, su cui Boccaccio usa molta ironia.
- Il finale della novella mostra il lato violento del
protagonista, che picchia furioso la moglie e forse la ucciderebbe se
non fosse fermato dai due amici: emerge in parte un aspetto misogino
dell'autore, che risalterà assai più nelle opere successive al Decameron (specialmente il Corbaccio) mentre anche nelle novelle la donna è spesso mostrata come sottomessa all'uomo, ad es. in quella di Griselda (X, 10). Qui Calandrino giustifica la sua rabbia col dire che le donne fanno perdere le virtù magiche delle pietre, secondo un diffuso pregiudizio di origine popolare.