Letteratura italiana
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Ludovico Ariosto


Un rimedio miracoloso
(Erbolato, capp. 3-5)

Concepito come una sorta di monologo teatrale attribuito nella finzione a un tale Antonio da Faenza, una sorta di ciarlatano che tenta di smerciare un preparato di erbe medicinali dalle proprietà "taumaturgiche", il testo colpisce in modo impietoso la mancanza di scrupoli di certi venditori da strapazzo (dietro al personaggio si cela certamente il medico Niccolò da Lunigo, e forse il faentino Antonio Cittadini), ma anche la credulità di quanti, popolani e nobili, credevano nei maghi e nelle stregonerie tanto diffuse nel Cinquecento.

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Ludovico Ariosto







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3.
Ch'io sia o non sia tale, l'opere e non le parole mie il dimostrino. Le quali opere se per altro tempo o in altro luogo m'hanno dato lode o biasimo, ne può [in] Italia rendere testimonio la santissima città di Roma, la potentissima Vinegia [1], il popoloso Melano [2] con molte altre città de Lombardia; tutto il regno di Napoli con l'isola di Sicilia; e più di tutte l'antichissima Mantova, la nobilissima città di Ferrara [...]. E partendomi da Ferrara per qualche giorno, imperò ch'io vi sono per ritornar di corto, quello graziosissimo Signore [3] mi fece dipinger questa bandiera in testimonio di molte esperienze, parte da sua eccellenza vedute, parte da essa per degni di fede testimoni intese. Ora quale e quanto sia maestro Antonio Faventino, che questo è il nome mio, sa, non meno dell'Italia, la ingegnosa Alemagna [4], cominciando dal ducato d'Austria sino a quello di Sansonia e di Selesia [5]; e scendendo lungo il Reno per tutte le terre Franche, il sa tutta la Fiandra col Barbante, e sino ne l'isola di Olanda. De l'opere mie son testimoni molti luoghi di Francia e d'Inghilterra e di Scozia, che tutto per ordine sarebbe lungo a dire, e restano ancora stupefatti dell'opere mie e mirabili cure che in ogni generazione d'infermità [6] far mi videro. Ora che si volgesse verso il Levante, cercando l'Albania, la Bossina [7], la Romania, la Morea, l'Arcipelago e tutta la Grecia sino alla famosa città di Costantinopoli, e da un altro canto discorrendo per l'isole di Candia, di Rodi e di Cipro e venendo in Alessandria d'Egitto e nella grandissima e popolosa città del Cairo, di Hierusalem [8] e di Damasco e per tutta la Soria [9] sino alla radice del monte Tauro et alle paludi Meotide, udiria non altrimenti esser nominato maestro Antonio Faventino che da gli antichi Epidauri fusse Esculapio [10]; e la quantità de l'opre mie in tutti i connumerati paesi et in molt'altri ancora, i quali per fuggire la lunghezza del parlare io pretermetto [11], non mi basterebbe tutto questo giorno né un altro appresso a raccontare. [...]

4.
Ma acciò che la verità non resti dalla falsa oppenione soffocata, e che un'altra volta, quando io tornarò in questa città, possiate conoscere e dire a chi non avea di me notizia ch'io sia veridico e non mendace, ho pensato di lasciarvi una gemma, un tesoro, una ricchezza, che, se voi amate la sanità, la salute e la vita vostra, vi debbe essere più cara che s'io donassi oggi a ciascuno di voi diecimila scudi d'oro contanti. Che giovano l'oro e l'argento ad uno infermo? che giovano ad uno morto i larghi campi e le fertilissime possessioni? la perpetua sanità e la vita lunga si può chiamare, et è in effetto, vera et incomparabile ricchezza. Di questo prezioso et inestimabile dono vi voglio oggi arricchire tutti donandovi in un picciolo vasetto, di forma picciolo ma di valor grandissimo, quello eccellente medicamento, quello miracoloso rimedio, che dal mio eccellentissimo precettore e da me sempre con somma venerazione memorato, mi fu insegnato e quasi per eredità lasciato, cioè da maestro Nicolò da Lunigo [12], quello sapientissimo vecchio, quella inesauribile arca di scienza. [...]

5.
La prencipale virtù di questo da Iddio benedetto Elettuario [13] è che, pigliandone ogni mattina nell'uscire de l'alba e poi dormirvi dietro una mez'ora, cominciando a mezzo aprile infino a mezzo maggio, quanto è grossa una noce, distemperato in brodo di pollo, dove non sia né sale né cosa salata, ti conserva tutto quello anno senza dolore o infermità alcuna. E chi poi seguendo d'anno in anno al medesimo modo, et in quel tempo che si piglia [guardandosi] da cose salate, da cipolle, da aglio, e da gli altri cibi di simile specie, et insomma da tutte quelle cose che da gli medici sono proibite a chi se purga, condurrà senza febbre e dolore alcuno la sua vita sino alla estrema decrepità [14]. [...] E se non che le leggi eterne et immutabili, per colpa del nostro primo padre [15] il vietano, questo saria stato sufficiente a farci perpetui et immortali. Ho detto di donarlovi e ve lo voglio donare veramente: perché dandovi cosa di valuta grandissima per un picciolo e minimo prezzo non si può dire che non si doni. Né anco questo minimo e picciolo prezzo vi dimandarei se io potessi fare l'Elettuario con mediocre spesa; ma perché gli è composto di diversi simplici [16], nati chi in una parte chi in un'altra del mondo, che non si possono avere se non con molta spesa e fatica, son costretto, se finiti questi pochi bussoli ne voglio fare degli altri, di dimandarvene quel prezzo. [...] Non voglio da voi più d'un grosso [17] d'ogni bussolo [18]. Ora chi sarà quello sì avaro, quello sì misero, a cui incresca di spendere per salute e per conservazion de la sua vita sì minimo prezzo? Chi sarà quello sì povero che non impegni o venda il mantello? e se non l'ha che non si spogli del giuppone [19], e della camicia ancora? che non si sforzi di stare digiuno un giorno o dui fin che si avanzi un grosso col quale si guadagni et acquisti questo tesoro e questa ricchezza inestimabile? Deh, non lasciate fuggire l'occasione, che se rivolge il calvo, dove ora ella vi porge la capillata fronte [20], non so quando altra volta sì benigna sia per ritornarvi alle mani.



[1]
Venezia.
[2] Milano.

[3]
Alfonso I d'Este.


[4] Germania.
[5]
Di Sassonia e di Slesia.


[6]
In ogni tipo di malattia.
[7]
Bosnia.


[8]
Gerusalemme. [9] Siria.

[10] Esculapio era il dio della medicina presso i Greci.
[11] Trascuro, evito.










[12] Niccolò da Lunigo (1428-1524) era un medico vicentino, che visse a lungo a Ferrara e morì vecchissimo.

[13] Preparato farmaceutico.





[14]
Vecchiaia.
[15] Adamo, per il peccato originale.

[16]
Ingredienti.


[17] Il grosso era una moneta d'argento. [18] Vasetto.

[19] Farsetto.

[20] Espressione proverbiale, a dire che l'occasione va afferrata quando è favorevole.


Interpretazione complessiva

  • Il monologo, di cui qui è riportata solo la parte centrale e finale, è costruito in modo efficacissimo come uno "spot pubblicitario" ante litteram, con il ciarlatano Antonio da Faenza che magnifica le qualità e i poteri del suo "elettuario" e cerca di invogliare il pubblico (probabilmente gli spettatori improvvisati in una strada di Ferrara) ad acquistare il suo preparato miracoloso: è funzionale a questo scopo anche il lungo elenco di luoghi esotici e lontani visitati dal sedicente medico nel corso dei suoi viaggi, che lo accreditano come grande esperto di medicina e capace di curare qualunque malattia (Ariosto sembra ispirarsi in questa parte al discorso di Frate Cipolla di Dec., VI, 10, in cui il religioso sciorina nomi di paesi lontani e improbabili per far presa sull'uditorio e preparare l'esibizione della falsa reliquia che è venuto a mostrare a Certaldo, e anche quando fa credere al popolo che i "carboni di san Lorenzo" abbiano poteri taumaturgici; ► TESTO: Frate Cipolla). Il preparato del medico, che altro non sarà che un intruglio dalla scarsa efficacia, avrebbe il potere di curare qualunque malattia a patto di assumerlo astenendosi da alcuni cibi, e permetterà a chi lo prende di arrivare a un'età avanzatissima, come è accaduto al duca Ercole I e ai suoi fratelli morti ottantenni (l'esempio di questi testimonial d'eccezione garantirebbe la bontà del prodotto!). Il prezzo poi è modico, appena un grosso (una moneta d'argento) per un vasetto di pozione, per cui i ferraresi dovrebbero vendere il mantello, il farsetto o digiunare un giorno o due pur di acquistare questo prodotto delle meraviglie. Inutile osservare come il ritratto di questo venditore da strapazzo ricordi certi personaggi reali che sino al XIX sec. smerciavano i loro prodotti nelle fiere paesane, sino ai televenditori dei giorni nostri.
  • Ariosto scrisse probabilmente il testo come intermezzo per una sua commedia, anche se il monologo rimase inedito sino al 1545 quando fu stampato postumo; il tema si ricollega alla polemica dell'autore contro le "magiche sciocchezze" tanto diffuse nella società rinascimentale (► SCHEDA: Magia e astrologia nel Cinquecento) e di cui si occupa anche nella commedia Il negromante, dove il falso mago Lachelino si dimostra un cialtrone non molto diverso dal medico Antonio da Faenza. L'Erbolato cita espressamente il medico vicentino Niccolò da Lunigo, vissuto a lungo a Ferrara e morto quasi centenario, che negli anni di Ariosto reclamizzava un preparato erboristico dalle proprietà simili all'elettuario di cui si parla nel testo; alcuni studiosi hanno visto un riferimento anche al medico e docente universitario Antonio Cittadini, faentino a sua volta, identificazione però di cui non ci sono conferme dirette.


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