OPERA
Gerusalemme liberata
La Gerusalemme liberata è un poema epico-eroico in ottave, scritto da Torquato Tasso (► AUTORE) nel periodo anteriore al 1575 e riguardante la presa del Santo Sepolcro ad opera dei cristiani durante la prima Crociata del 1096-1099. L'opera, che inizialmente prevedeva il titolo Goffredo, è frutto di un lungo lavoro di revisione da parte dell'autore e venne pubblicata in varie edizioni non autorizzate, nel corso della sua prigionia all'ospedale di Sant'Anna (il titolo con cui è noto il poema non è probabilmente d'autore). La vicenda racconta l'ultimo anno di permanenza dei crociati in Terrasanta e l'assedio finale alla città di Gerusalemme, che si conclude con la conquista del Sepolcro ad opera di Goffredo di Buglione, designato quale capitano delle forze cristiane; il genere letterario è affine a quello del poema epico-cavalleresco dei secc. XV-XVI, pur con alcune novità che rendono l'opera alquanto diversa dai precedenti rinascimentali (soprattutto dal Furioso di L. Ariosto). L'opera circolava negli ambienti della corte estense di Ferrara prima della sua pubblicazione e riscosse notevole successo, ma subì alcune pesanti critiche per gli elementi di novità e per lo spazio agli idilli amorosi contenuti nella trama, che spinsero l'autore a sottoporre il lavoro all'esame dell'Inquisizione. In seguito alla sua liberazione da Sant'Anna il Tasso non riconobbe il poema quale era stato pubblicato e iniziò a riscriverlo da capo, stampandolo nel 1593 (due anni prima della morte) col titolo di Gerusalemme conquistata e realizzando un'opera profondamente diversa dal capolavoro, dalla trama rimaneggiata e con notevoli modifiche. La Conquistata riscosse minori consensi rispetto alla Liberata ed è questo il motivo per cui oggi il primo poema viene considerato l'assoluto capolavoro di Tasso e della poesia dell'età della Controriforma.
Qui puoi vedere un breve video sull'episodio del giardino di Armida, dal canale YouTube "Video Letteratura" |
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Titolo, struttura, storia editoriale
Il poema ebbe una lunga gestazione e un primo abbozzo risale al 1559, col titolo ancora provvisorio di Gierusalemme e caratteri propri di un'opera giovanile, ben presto abbandonato dall'autore. Tasso tornò a lavorare al progetto di un poema epico dedicato alla prima Crociata dopo il 1565, quando lavorava stabilmente alla corte estense di Ferrara, e negli anni successivi l'opera prese la forma attuale che comprende venti canti in ottave (il poema era sostanzialmente completato nel 1575 e circolava nell'ambiente della corte, riscuotendo un certo consenso). Il titolo di questa fase compositiva era probabilmente Goffredo, dal nome del protagonista Goffredo di Buglione capitano della Crociata, ma il poema non venne pubblicato dall'autore che si riteneva ancora insoddisfatto e che per questo lo sottopose al vaglio critico di alcuni suoi amici letterati, tra cui Sperone Speroni e Scipione Gonzaga, chiedendo loro un giudizio circa l'aderenza ai precetti aristotelici e la mescolanza tra vero storico ed elementi fantastici. Tasso era anche preoccupato da scrupoli religiosi e ciò lo indusse a sottoporre il poema all'esame dell'Inquisizione di Ferrara, che tuttavia lo assolse pienamente (senza placare la sua inquietudine interiore, destinata a manifestarsi come disagio psichico in quegli anni). Mentre Tasso era recluso a Sant'Anna il poema venne stampato da alcuni intellettuali suoi amici senza la sua autorizzazione e senza che lui potesse controllare in alcun modo l'edizione; alcune stampe erano solo parziali, mentre nel marzo 1581 Angelo Ingegneri pubblicò l'intero poema in venti canti col titolo Gerusalemme liberata, comune alle altre edizioni e non approvato dall'autore (che probabilmente intendeva intitolare l'opera Goffredo). Sempre nel 1581 il gentiluomo ferrarese Febo Bonnà realizzò due successive edizioni del poema, considerate dalla critica testuale moderna le più accurate per l'edizione dell'opera, mentre nel 1584 Francesco Osanna produsse una nuova edizione basata su manoscritti autorevoli e sorvegliata, a quanto pare, da Scipione Gonzaga e perciò con un elevato grado di attendibilità. Va detto che nessuna di queste edizioni ebbe il consenso del poeta, che già progettava un rifacimento del poema col titolo di Gerusalemme conquistata, per cui le moderne edizioni della Liberata si basano su stampe non autorizzate e non corrispondenti in ultima analisi alla volontà dell'autore, cosa che ha creato qualche dubbio tra i critici odierni sull'opportunità di leggere il poema in quella fase della sua realizzazione. A onor del vero il successo della Liberata fu grandissimo già nel Cinquecento, nonostante le polemiche che in seguito suscitò tra gli intellettuali, e il primo poema continua ad essere preferito alla Conquistata che a detta dei principali studiosi è meno felice quanto agli esiti artistici e riscosse minor gradimento anche da parte del pubblico del XVI sec.
La trama del poema
La Gerusalemme liberata racconta le vicende dell'ultimo anno della prima Crociata del 1096-1099, che portò all'assedio e alla conquista del Santo Sepolcro, anche se Tasso modificò in parte la realtà storica immaginando che i Crociati fossero presenti in Terrasanta da sei anni: all'inizio del poema l'arcangelo Gabriele si manifesta a Goffredo di Buglione comunicandogli la decisione divina di assegnare a lui il comando delle operazioni militari, cosa che il guerriero accetta diventando il "capitano" dell'impresa che alla fine risulterà vittoriosa. Le forze infernali tentano, senza successo, di ostacolare l'assedio spargendo discordie nel campo cristiano e distogliendo i Crociati dal loro dovere con lusinghe di vario tipo (specialmente amorose), anche se alla fine Goffredo saprà riportare i suoi "compagni erranti" sulla retta via e assicurare il buon esito della guerra con la vittoria finale (tutti questi elementi sono già presenti nell'ottava proemiale, che anticipa la conclusione dell'opera e i ruoli giocati dai personaggi del poema; ► TESTO: Il proemio della Gerusalemme Liberata). Rispetto al modello del poema cavalleresco la trama è più lineare e concentrata sul motivo centrale della guerra santa, senza la presenza di episodi secondari estranei al filone narrativo principale (l'unica eccezione è rappresentata dalla vicenda di Olindo e Sofronia, narrata nel canto II; ► TESTO: Olindo e Sofronia), semplicità che si rispecchia anche nel minor numero di personaggi e nella relativa brevità dell'opera rispetto, ad esempio, all'Orlando furioso. Grande attenzione è dedicata dall'autore alla ricostruzione degli scontri militari e delle fasi del combattimento, specie con la descrizione minuziosa dei duelli (Tasso era un grande esperto di cavalleria e delle tecniche della scherma) e delle macchine d'assedio, di cui l'autore dimostra una conoscenza alquanto documentata. Ecco un breve schema riassuntivo con gli eventi salienti della narrazione, per ognuno dei venti canti del poema.
[I] Proemio dell'opera e dedica ad Alfonso II d'Este. L'arcangelo Gabriele, inviato da Dio, comunica a Goffredo che sarà il capitano della Crociata. Rassegna dell'esercito cristiano, mentre a Gerusalemme re Aladino prepara la difesa della città.
[II] Il mago Ismeno, al servizio dei pagani, prepara inganni. Olindo e Sofronia si offrono come capri espiatori e vengono salvati dal rogo dall'intervento di Clorinda. Argante offre a Goffredo l'alleanza del re d'Egitto, ma il capitano cristiano rifiuta. [III] L'esercito crociato giunge a Gerusalemme e inizia i primi scontri coi pagani. Erminia mostra dalle mura della città i capi cristiani. Breve scontro fra Tancredi e Clorinda. Argante uccide Dudone. [IV] Concilio dei demoni infernali. Il mago Idraote invia la maga Armida al campo dei cristiani, dove la fanciulla crea scompiglio col suo fascino tra i Crociati. [V] I cristiani, ammaliati da Armida, si battono tra loro e Rinaldo uccide Gernando che l'ha provocato; rifiutandosi di sottoporsi al giudizio di Goffredo, lascia il campo. Alcuni guerrieri cristiani segue Armida, di cui sono innamorati. Al campo crociato mancano i viveri. [VI] Argante porge una sfida ai cristiani e si batte in duello con Tancredi, ma lo scontro è interrotto dal calar della notte. Erminia, innamorata di Tancredi, indossa le armi di Clorinda e si reca al campo cristiano per curare l'amato, ma viene scoperta e fugge, inseguita tra gli altri da Tancredi. [VII] Erminia viene ospitata dai pastori. Tancredi cade prigioniero di Armida e il suo posto come avversario di Argante è preso da Raimondo. I demoni trasformano il duello in battaglia, scatenando poi una tempesta che si abbatte sui Crociati. [VIII] Il danese Carlo riferisce della morte di Sveno. Al campo cristiano giungono le armi insanguinate di Rinaldo, che viene creduto morto. La furia Aletto spinge Argillano a sobillare i guerrieri cristiani, accusando Goffredo di aver fatto uccidere Rinaldo, ma il capitano riesce a sopire la rivolta. [IX] Solimano, capo dei predoni arabi, assalta il campo cristiano e riceve l'aiuto di Clorinda e Argante. L'arcangelo Michele interviene e respinge i demoni all'inferno. Arrivano cinquanta cavalieri in aiuto dei Crociati e Solimano deve ritirarsi. [X] Solimano viene condotto dal mago Ismeno su un carro alato a Gerusalemme, dove incita re Aladino a continuare la lotta. I cinquanta cavalieri cristiani, tra i quali c'è anche Tancredi, raccontano di essere stati liberati da Rinaldo dal castello di Armida (dunque Rinaldo è vivo). |
[XI] Processione al monte Oliveto. I Crociati assaltano Gerusalemme, eroicamente difesa da Argante, Clorinda e Solimano. Goffredo è ferito, ma guarisce grazie all'intervento divino. I cristiani riparano una torre d'assedio rimasta bloccata.
[XII] Clorinda e Argante in una sortita notturna incendiano la torre dei cristiani. Duello tra Clorinda e Tancredi, che uccide l'amata. Disperato, Tancredi è consolato da Pietro l'eremita. [XIII] La selva di Saron viene incantata dal mago Ismeno e popolata di demoni, che vanificano i tentativi dei Crociati di entrarvi per far legna (fallisce anche Tancredi). Il caldo e la siccità prostrano i cristiani, ma alla fine giunge la pioggia grazie alle preghiere di Goffredo. [XIV] Goffredo invia Carlo e Ubaldo a liberare Rinaldo, prigioniero di Armida. Il mago di Ascalona, al servizio dei cristiani, spiega loro come potranno vincere gli incanti della maga. [XV] La Fortuna guida Carlo e Ubaldo su un vascello prodigioso alle Isole Fortunate; durante il viaggio, varcando le colonne d'Ercole, profetizza l'impresa di Cristoforo Colombo. Arrivo alle Isole Fortunate. Carlo e Ubaldo affrontano le insidie di Armida. [XVI] Carlo e Ubaldo penetrano nel giardino di Armida raggiungono Rinaldo, soggiogato dalla maga e trasformato in amante. Il giovane rinsavisce e lascia le Isole Fortunate, mentre Armida medita vendetta. [XVII] Rassegna dell'esercito egiziano, cui Armida si unisce e chiede aiuto per vendicarsi di Rinaldo. Il giovane crociato giunge dal mago di Ascalona, che gli fornisce una nuova armatura. Celebrazione degli Este e della loro discendenza. [XVIII] Rinaldo torna al campo cristiano ed è perdonato da Goffredo; poi si reca in meditazione sul monte Oliveto e in seguito vince gli incanti della selva di Saron. I Crociati hanno la legna necessaria per ricostruire la torre d'assedio. Assalto alla città di Gerusalemme, in cui il mago Ismeno è ucciso e Rinaldo riesce a salire sulle mura. [XIX] Tancredi e Argante si affrontano in un feroce duello e Tancredi uccide il suo rivale. Rinaldo e i compagni intanto menano strage all'interno della città. Vafrino, scudiero di Tancredi, è inviato come spia al campo egiziano. Erminia trova Tancredi ferito e lo cura, rivelandogli il suo amore. [XX] Scontro finale tra l'esercito egiziano e i Crociati, che vede la morte di Solimano e Aladino. Armida tenta invano di uccidere Rinaldo, che ancora ama, e alla fine si converte al Cristianesimo. Goffredo vince la guerra ed espugna il Santo Sepolcro, ponendo di fatto fine alla Crociata. |
La trama del poema riproduce in parte lo schema della tragedia classica, secondo il modello aristotelico tratto dalla Poetica, e i venti canti possono essere raggruppati in cinque parti corrispondenti agli atti di una tragedia greca. Le vicende presentano infatti un centro drammatico, rappresentato dall'assedio alla città di Gerusalemme, rispetto al quale si dipanano alcuni filoni narrativi che fanno deviare gli sforzi degli assedianti dal loro dovere, finché l'intervento divino fa nuovamente convergere gli sforzi nell'assalto finale determinando la caduta della città e la vittoria dei Crociati; la tecnica usata è dunque quella della peripezia, tipica della tragedia classica. Ovviamente i modelli seguiti da Tasso sono quelli dell'epica classica e in particolare Iliade ed Eneide, quest'ultima imitata soprattutto nel porre al centro del poema un eroe protagonista (anche se Goffredo ha un ruolo marginale rispetto agli altri personaggi, per cui si veda oltre).
I personaggi del poema
Il numero dei personaggi principali è decisamente inferiore rispetto al modello del poema cavalleresco di Ariosto, in accordo con la nuova concezione del poema eroico abbracciata da Tasso (sul punto si veda oltre): essi si dividono nettamente in due gruppi, cristiani e pagani, e ciò corrisponde anche alla loro caratterizzazione, dal momento che i Crociati appaiono come personaggi inquieti, lacerati, distratti dalle passioni terrene (escluso naturalmente Goffredo, che ha il compito di richiamarli all'ordine), mentre i difensori di Gerusalemme sono in genere votati al loro dovere e incrollabili nella fede, con l'eccezione di Clorinda che si converte in punto di morte e di Erminia, innamorata senza speranza di Tancredi e malinconica. Ecco in sintesi una presentazione per ciascuno dei personaggi principali del poema
Goffredo
È il capitano della Crociata, eletto come tale dai cavalieri cristiani all'inizio del poema dopo che l'arcangelo Gabriele lo ha designato in base al volere divino: corrisponde al personaggio storico di Goffredo di Buglione (1060 ca. - 1100), che realmente assunse il comando della prima Crociata dopo la presa di Antiochia quando i cristiani proseguirono per Gerusalemme decisi a conquistarla. Nel poema è presentato come un perfetto guerriero, saggio, equilibrato nelle sue decisioni, fedele esecutore del volere di Dio e incrollabile nella sua fede, in pratica il solo fra i Crociati a non essere distolto dal proprio dovere; il suo personaggio è modellato su quello di Enea, sempre pronto a piegarsi al volere del fato rinunciando anche alla propria felicità, e in lui si riconosce il modello culturale e religioso della Controriforma (famoso il giudizio su di lui di Leopardi, che nello Zibaldone lo definì "privo d'ogni passione, e tutto ragione"). Il parallelo con Enea risalta in più circostanze e soprattutto nell'episodio del canto XI, quando viene ferito ma è prontamente risanato dall'intervento divino (come Enea nel libro XII dell'Eneide). Goffredo dovrebbe essere l'eroe protagonista del poema (e infatti il titolo pensato da Tasso doveva essere proprio Goffredo), tuttavia la sua presenza nelle vicende è in molti casi marginale e la sua figura risulta assai meno interessante di altri personaggi dell'opera, specie di Rinaldo e Tancredi che sono i veri protagonisti nel campo cristiano, mentre altrettanto affascinanti sono le figure femminili nel campo avverso, Clorinda ed Armida. In ogni caso Goffredo appare sia nell'ottava proemiale che in quella conclusiva della Liberata e il suo ruolo di guida militare e morale è chiarito nei primissimi versi del poema, quando si dice che "il gran sepolcro liberò di Cristo" e che "sotto i santi / segni ridusse i suoi compagni erranti", stabilendo un opposizione tra lui, fermo nel suo dovere, e gli altri Crociati inclini alle passioni e alle lusinghe del mondo (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme Liberata).
Rinaldo
È il più giovane e il più valoroso dei guerrieri crociati, uno dei personaggi principali del campo cristiano e anche colui che dà l'apporto decisivo per la conclusione della guerra: frutto dell'invenzione del poeta, Rinaldo è anche il personaggio legato al tema encomiastico della Liberata, poiché viene rivelato che da lui avrà origine la discendenza degli Este, in modo analogo a Ruggiero nell'Innamorato e nel Furioso. Rinaldo è presentato come un guerriero impavido e immune alle lusinghe amorose che sviano gli altri Crociati dal loro dovere (infatti non cede al fascino di Armida, quando la maga giunge al campo), ma è orgoglioso e incline all'ira e ciò causerà il suo allontanamento dall'esercito, poiché dopo aver ucciso Gernando che lo aveva provocato rifiuta di sottoporsi al giudizio di Goffredo e lascia il campo con un gesto polemico. In seguito riesce a liberare i guerrieri fatti prigionieri dalla maga Armida che lo attira in un tranello per vendicarsi, ma poi la donna si innamora di lui e lo lega a sé con un sortilegio, portandolo in un meraviglioso giardino creato con la magia nelle Isole Fortunate, nell'Oceano Atlantico (► TESTO: Il giardino di Armida). Qui il giovane diventa strumento di piacere di Armida, finché è richiamato ai suoi doveri militari da Carlo e Ubaldo e rinsavisce, lasciando la donna e tornando a Gerusalemme (dove, dopo una purificazione spirituale sul monte Oliveto, si riconcilia con Goffredo; ► TESTO: L'amore di Rinaldo e Armida). Decisivo è il suo contributo nel vincere gli incanti della selva di Saron, dove i Crociati devono far legna per ricostruire la torre d'assedio bruciata da Clorinda e Argante (► TESTO: Rinaldo vince gli incanti della selva), e poi nell'assalto finale alla città in cui dà prove eccezionali di valore e uccide Solimano, tra i più strenui difensori di Gerusalemme. Alla fine del poema ritrova Armida cui non nega il suo affetto, augurandosi che la maga possa convertirsi al Cristianesimo (► TESTO: La conversione di Armida). Il suo personaggio è modellato in parte su quello di Achille, il campione degli Achei nell'Iliade con cui ha in comune la forza militare e l'orgoglio (anche Achille lasciava la guerra in polemica con Agamennone e tornava per dare il suo contributo), e su quello di Orlando, il più prode dei paladini di Carlo Magno che nel Furioso lascia Parigi per mettersi in cerca di Angelica (anche lui perdeva il senno e lo riacquistava grazie all'intervento di Astolfo, analogo per certi versi a quello di Carlo e Ubaldo). L'episodio delle Isole Fortunate ricorda invece il soggiorno di Odisseo dalla maga Circe nell'Odissea e quello di Enea a Cartagine con Didone nell'Eneide, con riprese testuali da quest'ultimo specie nel momento della separazione da Armida. Nella macchina narrativa del poema Rinaldo rappresenta il personaggio che vince le lusinghe del piacere per votarsi al dovere militare e religioso, attraverso un percorso di crescita e maturazione che lo porta a superare i suoi limiti e a vincere le sue debolezze, in modo più marcato rispetto ad altre figure dell'opera.
Tancredi
Ispirato al personaggio storico di Tancredi d'Altavilla (1072-1112) che realmente prese parte alla prima Crociata e fu tra gli espugnatori di Antiochia, è uno dei Crociati più valorosi che tuttavia, a differenza di Goffredo e Rinaldo, si lascia distogliere dai suoi doveri militari a causa dell'infelice amore per la guerriera pagana Clorinda, che ha incontrato casualmente a una fonte e che non ricambia i suoi sentimenti. Tancredi è un personaggio tormentato e malinconico, prigioniero di un amore impossibile che lo porta a rischiare la vita in più di un'occasione e che causa indirettamente il suo allontanamento dal campo, quando insegue Erminia che lui crede erroneamente trattarsi di Clorinda (il giovane verrà poi fatto prigioniero da Armida e sarà liberato grazie all'intervento di Rinaldo). In seguito affronterà Clorinda in un drammatico duello notturno senza sapere che si tratta di lei e la ucciderà, dandole il battesimo dopo che lei, morente, si è convertita alla fede cristiana (► TESTO: Il duello di Tancredi e Clorinda). La morte della donna amata lo getta in uno stato di profondo abbattimento e quando dovrà affrontare gli incanti della selva di Saron fallirà la prova, poiché l'albero che cercherà di abbattere inizierà a sanguinare e a parlare con la voce di Clorinda, mentre in realtà si tratta di un inganno diabolico (Tancredi ne è consapevole, eppure non riesce a vincere l'angoscia per aver ucciso la donna amata; ► TESTO: Rinaldo nella selva di Saron). Nelle fasi finali della guerra affronta Argante in un feroce combattimento e avrà la meglio uccidendo il suo avversario, ma restando gravemente ferito sul campo (► TESTO: Il duello di Tancredi e Argante); sarà curato dalla principessa pagana Erminia, che a sua volta è innamorata di lui e si strugge per un amore proibito come quello tra lui e Clorinda (Tancredi è quindi al centro di un complesso "triangolo" amoroso, senza tuttavia che lui ne sia consapevole e con un finale aperto; ► TESTO: Erminia soccorre Tancredi). La figura di Tancredi esprime la debolezza umana di fronte agli allettamenti amorosi e, a differenza di Rinaldo, il guerriero non riesce a dominare i suoi sentimenti, incarnando una figura tragica e solitaria che vive i momenti più intensi e lirici del poema (specie nell'episodio del duello con Clorinda).
Clorinda
È una bellissima guerriera pagana che combatte con i difensori di Gerusalemme, contraddistinta da un'armatura bianca con un'insegna che rappresenta una tigre: è totalmente votata al dovere militare e del tutto insensibile ai richiami amorosi, con alcuni tratti che rimandano al personaggio virgiliano di Camilla, la regina dei Volsci uccisa da un troiano nel libro XI dell'Eneide (in parte ricorda anche Bradamante nel Furioso, tranne per il fatto che la sorella di Rinaldo poi sposava Ruggiero). Clorinda ha in realtà origini cristiane e la cosa le viene rivelata dall'eunuco Arsete solo nell'imminenza della morte, prima della sortita notturna con Argante in cui incendierà la torre d'assedio dei cristiani: il servo racconta che la giovane è figlia del Senàpo, re cristiano d'Etiopia, cui la moglie ha nascosto la nascita perché la bambina è nata con la pelle bianca e la regina temeva l'accusa di infedeltà. Essa aveva perciò affidato la piccola ad Arsete raccomandandogli di battezzarla, cosa che l'eunuco non ha fatto crescendola nella propria fede islamica. Da bambina Clorinda è stata allattata da una tigre (dettaglio che rimanda in parte alla Camilla di Virgilio) e ha sviluppato eccezionali doti guerresche, finché si è unita alle truppe che difendono Gerusalemme nella Crociata e si è posta al servizio di re Aladino (► TESTO: Olindo e Sofronia). Clorinda è amata senza speranza da Tancredi, che l'ha vista un giorno presso una fonte ed è rimasto folgorato dalla sua bellezza, e lo stesso guerriero la affronta nel duello notturno che porterà al ferimento mortale della ragazza, che in punto di morte è illuminata dalla fede e chiede di essere battezzata, morendo quindi in grazia di Dio (► TESTO: Il duello di Tancredi e Clorinda). Clorinda rappresenta nel poema la guerriera di fede incrollabile che combatte senza il minimo cedimento, oggetto dell'amore impossibile e lacerante di Tancredi che lei ignora, ma con la sua conversione dimostra la grandezza divina che può salvare l'anima anche nell'imminenza della morte e l'episodio del suo battesimo costituisce uno dei momenti religiosi più intensi dell'opera, anche se ad alcuni lettori è apparso forzato e poco verosimile. La voce di Clorinda verrà poi udita da Tancredi quando cercherà di abbattere il cipresso nella selva stregata di Saron, ma si tratta in realtà di un inganno dei demoni in quanto la giovane, morta dopo il battesimo, è salva e la sua anima non può essere imprigionata nel bosco (► TESTO: Tancredi nella selva di Saron). Clorinda ha dunque un ruolo determinante nel rallentare le operazioni militari dei Crociati, sia direttamente attraverso la distruzione della torre d'assedio compiuta con Argante, sia indirettamente con il suo ricordo lacerante che impedisce a Tancredi di fare il proprio dovere e contribuire alla vittoria finale dei cristiani.
Armida
È un'affascinante maga al servizio dei pagani, che entra in scena nel canto IV allorché suo zio Idraote, re di Damasco, la invia presso il campo dei cristiani per gettare scompiglio tra le file dei Crociati (► TESTO: Armida al campo dei Crociati): la giovane infatti si presenta in tutta la sua bellezza e suscita subito il desiderio della maggior parte dei cavalieri, con l'eccezione di Goffredo, Rinaldo e Tancredi per motivi diversi (i primi due sono refrattari alle lusinghe amorose, il terzo è innamorato di Clorinda). Armida si presenta a Goffredo con un falso discorso con cui dichiara di essere stata cacciata dal suo regno e chiedendo un aiuto militare per riconquistarlo, ottenendo dal capitano solo che si traggano a sorte i nomi di alcuni guerrieri che potranno seguirla nella sua terra (l'episodio è una evidente imitazione dell'arrivo di Angelica alla corte di Carlo Magno nell'Innamorato). In realtà molti cristiani la seguiranno perché innamorati di lei e la maga li farà prigionieri, portandoli in un castello situato sulle rive del mar Morto, dove attirerà anche Tancredi capitato lì mentre era sulle tracce di Erminia travestita da Clorinda. I Crociati saranno poi liberati da Rinaldo e la maga deciderà di vendicarsi di lui, ma al momento decisivo sarà folgorata dalla sua bellezza e ne innamorerà, decidendo di irretirlo in un sortilegio amoroso e portandolo sulle Isole Fortunate, in un palazzo situato in un meraviglioso giardino pieno di delizie (► TESTO: Il giardino di Armida). Qui Rinaldo diventa il suo trastullo amoroso, del tutto dimentico dei suoi doveri militari, finché giungono Carlo e Ubaldo che lo fanno rinsavire e il giovane abbandonerà Armida, che deciderà di trasformarsi in guerriera per vendicare l'affronto subìto (► TESTO: L'amore di Rinaldo e Armida): si unisce infatti all'esercito egiziano che marcia verso Gerusalemme e offre i suoi servigi amorosi a chi ucciderà l'uomo che l'ha abbandonata, anche se nessuno saprà compiere l'impresa. Nelle fasi finali del combattimento Armida tenterà vanamente di colpire Rinaldo con una freccia, capendo alla fine di essere ancora innamorata di lui: cercherà di suicidarsi, ma Rinaldo glielo impedirà e la consolerà augurandosi che possa convertirsi alla fede cristiana, cosa che Armida accetta di fare nella speranza che il giovane possa un giorno ricambiare i suoi sentimenti (► TESTO: La conversione di Armida). Armida è uno dei personaggi femminili del poema più complessi e nel corso delle vicende va incontro a una progressiva trasformazione, che da maga al servizio dei pagani la fa diventare incantatrice per amore, guerriera e infine "ancella" di Rinaldo, disposta a servirlo e farsi cristiana pur di restargli accanto. Inizialmente rappresenta le lusinghe amorose che sviano i cristiani dal loro dovere e poi ha una parte essenziale nel trattenere Rinaldo lontano dalla guerra, benché la conclusione della sua vicenda sia inconsueta e lasci un finale "aperto" che non condanna del tutto l'amore come elemento perturbante rispetto ai doveri religiosi. Il suo personaggio è ispirato a varie incantatrici della tradizione epica, da Circe alla maga Alcina del Furioso, ricordando vagamente anche Didone quando trattiene Enea a Cartagine nel libro IV dell'Eneide, con la differenza che Armida non si uccide dopo l'abbandono e riesce, forse, a tenere viva la speranza dell'amore del suo adorato Rinaldo. Armida comparirà ancora nella Conquistata, anche la sua figura perderà molta della sua attrattiva per i molti episodi soppressi o modificati dall'autore e, ad esempio, le sarà preclusa la conversione finale, vista come esito troppo azzardato per ragioni di decoro religioso.
Erminia
È una delicata principessa pagana, figlia del re di Antiochia e perdutamente innamorata di Tancredi, che nulla sa dei suoi sentimenti e non li ricambia in quanto a sua volta perso dietro a Clorinda: Tancredi aveva espugnato la città e la giovane era stata prigioniera nel suo accampamento, venendo trattata con tutti gli onori e accendendosi di passione per il Crociato che, ovviamente, era all'oscuro di tutto. In seguito Erminia era stata liberata e aveva poi raggiunto Gerusalemme, dove vive l'angoscia del suo amore impossibile che non può rivelare a nessuno per ragioni religiose e di opportunità. Nel canto III mostra a re Aladino dalle mura della città i capi cristiani che lei ha conosciuto, episodio che imita il libro III dell'Iliade in cui Elena fa lo stesso con re Priamo, e in seguito la giovane assiste impotente al terribile duello che oppone Argante a Tancredi, sospeso per il sopraggiungere della notte e in cui l'amato ha riportato gravi ferite. Poiché la giovane conosce le arti mediche decide di uscire dalla città nell'assurdo tentativo di andare a curarlo e indossa le armi di Clorinda, ma quando giunge al campo crociato viene scambiata per la guerriera e inseguita dai cristiani, tra cui lo stesso Tancredi che, credendola Clorinda, vuole proteggerla dai suoi compagni. In seguito a una fuga precipitosa Erminia giunge presso un villaggio di pastori che vivono miracolosamente al riparo dalla guerra e ottiene di essere ospitata qui per qualche tempo, nel tentativo vano di dimenticare le sue pene amorose; la principessa indossa panni umili e attende alle attività pastorali, ma il suo portamento regale rivela le sue origini nobili, mentre il ricordo di Tancredi non la abbandona e la spinge a incidere il nome amato sugli alberi, come Angelica e Medoro nel Furioso (► TESTO: Erminia tra i pastori). In seguito si unisce all'esercito egiziano in marcia verso Gerusalemme e qui incontra Vafrino, lo scudiero di Tancredi inviato come spia: insieme a lui troverà l'uomo amato sul campo di battaglia, mezzo morto dopo il duello vittorioso con Argante, e lo curerà rivelandogli tra le lacrime il suo amore anche se il Crociato, esanime, non potrà sentirla (► TESTO: Erminia soccorre Tancredi). Erminia compare in un numero limitato di episodi del poema, tuttavia è un personaggio interessante per il suo amore dolente e malinconico per Tancredi, che lascia un finale "aperto" analogo per molti aspetti a quello del legame tra Armida e Rinaldo; la principessa è protagonista soprattutto del celebre episodio che la vede tra i pastori, fondamentale per chiarire l'impossibilità di chi è nato e vissuto nell'ambiente di corte di uscirne in modo definitivo, aspetto che almeno in parte Tasso tratta in modo autobiografico.
Argante e Solimano
Sono due guerrieri saraceni, tra i più strenui difensori di Gerusalemme e avversari spietati dell'esercito crociato: Argante è un circasso postosi al servizio del re d'Egitto e suo dignitario, soldato "ne l'arme infaticabile ed invitto", nonché sprezzante verso ogni religione; all'inizio del poema lui e Alete si presentano a Goffredo nel campo cristiano offrendo l'alleanza del re egiziano, purché si astenga dall'assediare Gerusalemme, offerta ambigua che naturalmente il condottiero cristiano rifiuta. In seguito Argante si unirà alle forze che difendono la città e sfiderà a duello i cristiani, venendo affrontato da Tancredi nel duello famoso del canto VI poi interrotto dalla notte, in seguito al quale Tancredi se ne andrà credendo di seguire Clorinda (che in realtà è Erminia con la sua armatura). Il circasso accompagna la stessa Clorinda nella sortita notturna in cui viene incendiata la torre d'assedio dei Crociati e in cui la donna trova la morte per mano di Tancredi, che anche per questo accusa Argante di essere causa indiretta della tragedia (► TESTO: Il duello di Tancredi e Clorinda); il loro duello infinito troverà compimento nelle fasi finali dell'assalto a Gerusalemme, quando Tancredi lo ucciderà al termine di un terribile scontro dal quale lui pure uscirà gravemente ferito (► TESTO: Il duello di Tancredi e Argante). Argante è un guerriero impavido e senza esitazioni, fiero, esattamente l'opposto di Tancredi e di altri cristiani preda invece delle lusinghe amorose e di dubbi laceranti. Personaggio simile è Solimano, re dei Turchi sconfitto dai Crociati e privato del suo dominio, rifugiatosi anch'egli presso il re d'Egitto che gli ha affidato il compito di radunare i predoni arabi; come loro capo si unisce alla guerra a Gerusalemme, attaccando all'improvviso il campo cristiano e venendo poi portato su un carro alato dal mago Ismeno in città, dove incita re Aladino a continuare la lotta. Solimano viene affrontato e ucciso da Rinaldo nelle fasi finali dell'assalto a Gerusalemme, nell'ultimo canto del poema, e rappresenta come Argante il combattente instancabile, che nulla può distogliere dall'obiettivo di opporsi ai Crociati.
Altri personaggi minori
Accanto ai personaggi principali del poema ve ne sono altri minori, sia perché compaiono in un numero limitato di episodi sia perché il loro ruolo è marginale rispetto alla trama generale dell'opera, nell'uno e nell'altro campo: tra i pagani ricordiamo anzitutto Aladino, il re di Gerusalemme che organizza la difesa della città, aiutato tra gli altri da Ismeno, il mago al servizio del male che evoca i demoni infernali per ostacolare l'impresa dei Crociati (entrambi verranno uccisi alla fine del poema, nelle fasi conclusive dell'assalto alle mura di Gerusalemme). Ruolo opposto a quello di Ismeno svolge invece il mago di Ascalona, cristiano e alleato dei Crociati, che ha il compito essenziale di aiutare Carlo e Ubaldo ad andare nelle Isole Fortunate e riportare indietro Rinaldo, prigioniero nel giardino di Armida (il mago porta i due guerrieri nelle viscere della terra e fornisce loro tutte le indicazioni necessarie per vincere gli incanti di Armida, dandogli anche uno scudo fatato che avrà parte essenziale nel far rinsavire Rinaldo; ► TESTO: L'amore di Rinaldo e Armida). Nel campo cristiano vi è anche Pietro l'Eremita, che si ispira alla figura storica del predicatore di Amiens che fu tra i più accaniti promotori della Crociata e che con una schiera raccogliticcia occupò Nicea, prima di unirsi all'esercito regolare; nel poema è il consigliere spirituale di Goffredo e l'interprete della volontà divina, poiché all'inizio caldeggia la nomina del Buglione quale comandante supremo della missione e in seguito si adopera per riportare Rinaldo sulla retta via. Da ricordare ancora Olindo e Sofronia, i due cristiani di Gerusalemme protagonisti dell'intermezzo del canto II, quando Ismeno vuole sottrarre un'immagine sacra da un tempio cristiano per danneggiare i Crociati, ma l'icona scompare misteriosamente; per salvare i cristiani da una feroce rappresaglia i due giovani si accusano del furto, benché innocenti, e sono condannati al rogo, ma sono salvati da Clorinda che offre a re Aladino i suoi servigi in guerra (► TESTO: Olindo e Sofronia). All'inizio Olindo ama senza speranza Sofronia, votata alla verginità, e vorrebbe morire al suo posto, poi quando sono entrambi salvi la fanciulla gli si concede in sposa (è questo l'unico episodio veramente romanzesco di tutto il poema, anche se direttamente collegato alla guerra e alla trama principale dell'opera). Tra i cristiani occorre citare ancora altri personaggi che sono quasi delle comparse, tra cui Eustazio (il fratello minore di Goffredo, che si innamora di Armida al suo arrivo al campo), Gernando (che provoca Rinaldo e viene da lui ucciso in uno scontro), Sveno, Argillano e Alcasto, che fallisce la prova della selva incantata di Saron.
La Liberata come poema "eroico"
Nel secondo Cinquecento vi erano molte discussioni tra i dotti sul modello più adatto al genere del poema epico, poiché quello "cavalleresco" dell'Orlando furioso non sembrava adattarsi alle regole aristoteliche ricavate dalla Poetica e si iniziava a concepire un poema di tipo nuovo, definito "eroico": Tasso progettò appunto la Gerusalemme Liberata secondo questa linea e realizzò un'opera con una trama lineare priva di intermezzi romanzeschi, un numero esiguo di personaggi principali, una vicenda che ricalcasse il vero storico e raccontasse un episodio significativo della Cristianità, quale poteva essere appunto la prima Crociata che portò nel 1099 alla riconquista del Santo Sepolcro. L'idea di un'opera celebrativa della Crociata rientrava nel clima religioso della Controriforma ed era un riflesso della paura per l'avanzata dei Turchi nel Mediterraneo alla fine del XVI sec., anche se dopo la vittoria di Lepanto del 1571 essa aveva subìto una battuta d'arresto; l'eroismo dei Crociati che lottavano contro gli infedeli, poi, era un modo indiretto per celebrare la grandezza della Chiesa di Roma negli anni in cui la Cristianità era lacerata al suo interno dalla Riforma protestante, tra l'altro in un'atmosfera di forte contrapposizione che preludeva alle guerre di religione che nel XVII sec. avrebbero sconvolto l'Europa (► PERCORSO: La Controriforma). I modelli a cui Tasso intendeva rifarsi erano ovviamente i poemi dell'epica greco-latina, Iliade ed Eneide da cui ricavava il tema guerresco (specie dal poema greco, incentrato sull'assedio alla città di Troia destinata a cadere per volontà del fato) e la figura di un eroe protagonista della vicenda (specie dal poema latino, in cui Enea prelude alla figura di Goffredo che, pure, non ha un ruolo predominante nella vicenda). La narrazione, come detto, è organizzata in modo simile a una tragedia classica e i fatti sono descritti secondo il principio aristotelico della "peripezia", con un evento centrale (l'assedio di Gerusalemme) da cui deviano una serie di episodi secondari, salvo poi convergere alla fine sulla conclusione della missione. Tasso affrontò nella riflessione teorica i capisaldi della sua concezione letteraria e scrisse, tra le altre cose, i Discorsi dell'arte poetica e i Discorsi sul poema eroico in cui spiegava le linee del nuovo genere letterario, difendendosi anche dalle polemiche che colpirono il poema dopo la sua pubblicazione (peraltro non autorizzata dall'autore). Va detto che le discussioni sulla superiorità del modello ariostesco o tassesco continuarono anche dopo la morte di Tasso per buona parte del XVII sec., senza che si giungesse a una conclusione netta, mentre nel corso del Seicento si afferma il poema mitologico e quello eroicomico, che finiscono per snaturare in modo definitivo il genere epico.
Vero storico e invenzione romanzesca
Il poema è maggiormente aderente alla verità storica rispetto al poema cavalleresco, in cui lo sfondo della guerra tra Cristiani e mori rappresentava solo l'ambientazione in cui inserire vicende romanzesche del tutto inventate e con profonde distorsioni della realtà sociale dell'epoca, mentre ora il racconto della Crociata deve rispondere a un'esigenza realistica e almeno in parte precisamente documentata, specie per quanto riguarda la ricostruzione dei duelli e degli scontri militari in cui Tasso dimostra una competenza tutt'altro che superficiale. Nonostante tutto, però, la Liberata resta pur sempre un poema in cui vero e invenzione sono mescolati insieme per ragioni artistiche e di ciò l'autore fornisce una giustificazione fin dal proemio dell'opera, in cui chiede perdono alla Musa (intesa come l'ispirazione divina) se aggiunge "fregi al ver" e condisce i suoi versi con "diletti" poetici, poiché in tal modo il pubblico troverà più gradevole la lettura e potrà gustare gli insegnamenti religiosi e morali contenuti del poema, come il fanciullo che beve un'amara medicina da un bicchiere i cui orli siano cosparsi di zucchero (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme liberata). I "fregi" sono appunto gli intermezzi narrativi che accompagnano l'azione propriamente militare dell'opera e, in particolare, le vicende amorose di cui sono protagonisti alcuni personaggi, presentate come una lusinga che distoglie i Crociati dal compimento del loro dovere (sul punto si veda oltre), ma anche gli elementi fantastici che vedono l'intervento di angeli e demoni, anch'essi rientranti in una visione religiosa propria del mutato clima culturale (anche su questo, si veda oltre). Quanto alla vicenda storica in sé essa è sostanzialmente rispettata, anche se per ragioni narrative l'autore modifica alcuni fatti e, ad esempio, immagina che i Crociati siano presenti in Terrasanta già da sei anni quando Goffredo assume il comando delle operazioni, mentre l'impresa durò solo un triennio; alcuni personaggi sono vagamente ispirati a quelli reali (Goffredo, Pietro l'Eremita, Tancredi, alcuni cavalieri cristiani...), cui tuttavia si mescolano figure totalmente inventate (Rinaldo, Clorinda, Armida...) che rendono la trama più ricca e complessa, com'era necessario in un'opera destinata anche, in parte, all'intrattenimento di un pubblico di corte. Va detto che la presenza di questi elementi fantastici fu la maggiore preoccupazione di Tasso circa l'esito finale del poema e infatti, quando riscriverà la Gerusalemme conquistata, sopprimerà o modificherà profondamente alcuni degli episodi romanzeschi più noti, ampliando maggiormente le parti squisitamente belliche (anche per questo la Conquistata risulterà un poema alquanto più arido della Liberata, poco apprezzato dal pubblico dell'epoca e dagli stessi commentatori moderni).
Il "meraviglioso" cristiano
Tasso non rinuncia all'elemento fantastico proprio della tradizione epico-cavalleresca del XV-XVI sec. e ampiamente presente nell'Innamorato e nel Furioso, tuttavia lo adatta alle nuove esigenze del poema eroico e lo trasforma in un soprannaturale cristiano, che vede l'intervento di angeli e demoni nelle vicende della guerra al fianco, rispettivamente, dei Crociati e dei difensori di Gerusalemme: ciò rientra fra l'altro nell'imitazione dell'epica classica, in cui le divinità pagane interagivano con gli eroi aiutandoli o ostacolandoli, specie nell'Iliade in cui il destino di Troia è già scritto ed è vano l'intervento di Afrodite e di Apollo contro gli Achei votati alla vittoria finale. Del resto tale contrapposizione è già evidente nell'ottava proemiale del poema, in cui si dice che il Cielo "diè favore" a Goffredo e "in van l'Inferno vi s'oppose", per cui è chiaro fin dall'inizio che gli inganni e le insidie dei demoni sono destinate a fallire e ritarderanno l'inevitabile caduta di Gerusalemme sotto i colpi di Rinaldo e degli altri Crociati (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme liberata). L'intervento del divino nelle vicende del poema si vede fin dall'inizio, con l'arcangelo Gabriele che si presenta a Goffredo e lo invita ad assumere il comando supremo della Crociata, mentre più avanti è l'arcangelo Michele a respingere l'assalto dei pagani al campo cristiano guidato da Solimano; le forze infernali invece si radunano in un orrendo concilio all'inizio del canto IV, quando decidono di intervenire per ostacolare la santa impresa (► TESTO: Il concilio infernale), e in seguito la maga Armida verrà inviata al campo dei Crociati per seminare discordia con i suoi incanti e il suo fascino di seduttrice. La stessa azione dei maghi risponde alla logica dell'intervento del cielo o dell'inferno per influenzare la battaglia, e non più solo per un intreccio romanzesco come il mago Atlante o la maga Alcina nel Furioso, così Armida e Ismeno da una parte, il mago di Ascalona dall'altra agiscono per dare manforte agli assediati e agli assedianti, naturalmente con esiti differenti: Ismeno in particolare arriverà a evocare i demoni per "stregare" la selva di Saron e impedire ai Crociati di abbatterne gli alberi per procurarsi la legna necessaria a ricostruire la torre d'assedio (► TESTO: Tancredi nella selva di Saron), il mago di Ascalona aiuterà Carlo e Ubaldo a raggiungere Rinaldo sulle Isole Fortunate e richiamarlo al suo dovere, fornendo loro istruzioni e aiuti fatati che avranno la meglio sulle forze infernali. L'episodio della selva di Saron risulta particolarmente felice, poiché i demoni intimoriscono i guerrieri cristiani facendo leva sulle loro paure o debolezze, come se leggessero nella loro mente, per cui Alcasto è spaventato dall'immagine di una falsa città di Dite, Tancredi dal suono della voce di Clorinda che lui ha ucciso, Rinaldo sarà invece tentato dalle lusinghe erotiche di una falsa Armida e dalla bellezza del suo giardino incantato (► TESTO: Rinaldo vince gli incanti della selva). La selva appare come lo specchio delle fragilità umane e il simbolo di tutto ciò che distoglie dal dovere militare, ed è significativo che sia proprio Rinaldo a vincerne l'incanto resistendo alle tentazioni diaboliche, poiché lui è il guerriero prescelto dal fato per sconfiggere i pagani ed è legato al tema encomiastico del poema (si veda oltre), inoltre è grazie all'intervento dal mago di Ascalona che ha potuto tornare al campo e riconciliarsi con Goffredo, superando l'immaturità che lo aveva distinto fino a quel momento. Legata alla dimensione fantastica del poema è anche la figura allegorica della Fortuna, che scorta Carlo e Ubaldo sulle Isole Fortunate con un vascello prodigioso e, passando le colonne d'Ercole, profetizza i viaggi di Colombo, preannunciando anche la colonizzazione del Nuovo Mondo e l'evangelizzazione dei popoli amerindi, altro tema che si collega alla religiosità tipica dell'età della Controriforma.
Il tema encomiastico
Anche al centro della Liberata è presente il motivo encomiastico tipico del poema cavalleresco del XV-XVI sec. e naturalmente l'opera è dedicata ad Alfonso II d'Este, il duca di Ferrara signore e protettore del poeta, cui Tasso si rivolge nel proemio ringraziandolo di avergli offerto asilo nella sua corte dopo i viaggi e le peregrinazioni in gioventù, poi auspicando che Alfonso possa assumere il comando di una futura ipotetica crociata che dovrebbe riconquistare il Santo Sepolcro di Gerusalemme, indicandolo quale "emulo di Goffredo" (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme liberata). Gli Este sono poi celebrati nel poema attraverso il personaggio di Rinaldo, che riveste una funzione analoga a quella di Ruggiero nei poemi di Boiardo e Ariosto, poiché il giovane guerriero crociato è presentato quale futuro progenitore della casata estense: l'autore lo indica come figlio di Bertoldo, figlio a sua volta di Azzo IV d'Este, e di Sofia di Zaeringen, ed è un personaggio immaginario anche se Tasso ne sostenne l'esistenza storica (ma sul fatto non c'è alcuna conferma). Rinaldo è, non a caso, il campione dei guerrieri cristiani, nonché colui che è destinato per i suoi meriti a dare un contributo decisivo alle sorti della guerra, anzitutto vincendo gli incanti diabolici della selva di Saron e poi offrendo magnifiche prove militari nella conquista di Gerusalemme, in cui fa strage di nemici. Attraverso di lui Tasso celebra la casata degli Este soprattutto nel canto XVII, quando il mago di Ascalona prima gli mostra istoriate in uno scudo le gesta dei suoi più illustri antenati, poi gli predice le imprese dei suoi discendenti, fra i quali ovviamente viene celebrato Alfonso II che fin dalla più giovane età mostrerà il suo valore in cacce e tornei, poi in autentiche battaglie, e viene ribadito che se mai venisse bandita una nuova crociata contro gli infedeli e lui ne avesse il comando, l'esito della guerra sarebbe scontato e Alfonso porterebbe il "bianco augello" simbolo della casata estense fin nell'estremo Oriente, ottenendo magnifiche vittorie. La celebrazione dei protettori nobili era un topos nella letteratura epica del Cinquecento e analoghe rassegne di insigni membri della famiglia estense si avevano già nei poemi di Boiardo e Ariosto, anche se in Tasso acquistano un significato particolare se si pensa che pochi anni dopo il duca avrebbe fatto imprigionare il poeta a Sant'Anna e i rapporti tra i due si sarebbero incrinati, in maniera ben più drammatica di quanto non fosse avvenuto tra Ariosto e il cardinale Ippolito d'Este. Non stupisce pertanto che la Gerusalemme conquistata sia stata dedicata nel 1593 al cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII e protettore del poeta negli ultimi anni della sua vita, quando ormai aveva lasciato definitivamente Ferrara, mentre nel secondo poema Rinaldo diventa Riccardo e non è più il progenitore degli Este, né vi è alcuna celebrazione della famiglia ferrarese.
La concezione amorosa nel poema
L'amore ha grande spazio nelle vicende della Liberata ed è strettamente intrecciato al tema propriamente epico e militare della Crociata, non però come semplice intermezzo romanzesco sul modello del poema cavalleresco di Ariosto, bensì come elemento perturbante che svia i guerrieri cristiani dal compimento del loro dovere e che pertanto, almeno in parte, deve essere condannato e respinto. L'amore assume i contorni di una lusinga diabolica che allontana i Crociati dalla guerra, specie attraverso il personaggio della maga Armida che usa il fascino per creare scompiglio nel campo cristiano seducendo con la sua bellezza (► TESTO: Armida al campo dei Crociati), oppure si presenta come sentimento contrastato che impedisce ai cavalieri di andare fino in fondo nell'adempimento del dovere militare, come avviene a Tancredi che a causa del suo amore impossibile per Clorinda si allontana dal campo finendo prigioniero di Armida e poi fallisce nell'affrontare gli incanti della selva di Saron (► TESTO: Tancredi nella selva di Saron). La condanna dell'amore non è però assoluta, in quanto alcuni personaggi riescono grazie ad esso a trasformarsi positivamente, come accade alla stessa Armida la quale, innamorata realmente di Rinaldo, prima lo soggioga con un incantesimo per esserne corrisposta e in ultimo arriva persino a convertirsi alla fede cristiana pur di restargli accanto, con un finale "aperto" della loro travagliata vicenda (la maga costituisce l'esempio opposto a quello di Clorinda, che si converte in punto di morte dopo aver conservato la propria verginità e aver rifiutato l'amore in quanto contrario alla guerra). Anche l'amore struggente di Erminia per Tancredi non viene del tutto negato, poiché la principessa può prestare le cure all'amato dopo il terribile duello finale con Argante e rivelargli i suoi sentimenti, benché lui sia esanime e non possa sentirla, per cui anche questa vicenda resta "sospesa" e non è escluso che il guerriero possa un giorno corrispondere l'amore della fanciulla (► TESTO: Erminia soccorre Tancredi). Non va scordato inoltre l'esempio a sé stante di Olindo e Sofronia, i due protagonisti dell'intermezzo del canto II la cui storia finisce felicemente, con il matrimonio dopo che i due hanno rischiato di morire sul rogo per un crimine non commesso (il giovane amava la vergine Sofronia, votata alla fede cristiana, e non osava rivelarsi a lei, mentre poi l'eroismo dimostrato da lui nella vicenda spinge la ragazza a concedersi in sposa; ► TESTO: Olindo e Sofronia). È da osservare comunque che l'amore nel poema appare sempre come sentimento contrastato e fonte di sofferenza, in quanto colei (o colui) che è oggetto del sentimento non corrisponde oppure perché si tratta di un legame impossibile e contrario alle leggi sociali e religiose, specie nel caso delle coppie più nobili che sono sempre formate da persone di fede diversa (diverso è il caso di Olindo e Sofronia, che però sono personaggi secondari). Scompare nella Liberata la leggerezza ironica presente in tanti episodi amorosi del Furioso e soprattutto l'eros viene relegato in una dimensione proibita, contraria all'etica, dal momento che l'unico intermezzo realmente "erotico" dell'opera è quello di Rinaldo e Armida che si svolge nel giardino della maga, in un luogo creato dalla magia e lontanissimo dai doveri militari e guerreschi, rispetto ai quali l'abbandono ai sensi viene considerato colpevolmente peccaminoso (► TESTO: L'amore di Rinaldo e Armida). Non stupisce pertanto che Tasso, riscrivendo il poema nella Gerusalemme conquistata, abbia eliminato o corretto gran parte degli episodi in cui l'amore veniva presentato in una luce parzialmente positiva, per cui scompare l'intermezzo di Olindo e Sofronia, Nicea (la Erminia della Liberata) non cura più le ferite dell'amato Tancredi, Armida viene incatenata dopo la liberazione di Riccardo (Rinaldo) e le viene negata la possibilità di redimersi con la conversione, mentre maggiore spazio assumono le parti guerresche e il racconto dell'espugnazione militare di Gerusalemme (sul punto si veda oltre).
L'idillio come fuga dalla realtà della corte
Nel poema è dunque presente un forte contrasto tra la dimensione del dovere religioso e militare, che riguarda sia i personaggi cristiani che quelli pagani e si identifica con l'ambiente della corte e dei codici di comportamento che essa impone, e quella dell'idillio e dell'evasione che alla corte si oppone e che assume i contorni della favola e dell'intermezzo pastorale (specie nell'episodio famosissimo di Erminia tra i pastori, nel canto VII; ► VAI AL TESTO) oppure della passione amorosa vissuta lontano dalla guerra e dai doveri legati ad essa (ed è il caso soprattutto dell'amore di Rinaldo e Armida sulle Isole Fortunate, frutto dell'incantesimo della maga; ► TESTO: L'amore di Rinaldo e Armida). Il tema non è nuovo in Tasso e se ne ha un esempio già nell'Aminta, in cui il mondo in cui si muovono ninfe e pastori è messo esplicitamente in contrasto con l'ambiente cortigiano, poiché i personaggi sono liberi dalle leggi dell'onore e possono abbandonarsi serenamente alla passione amorosa, cosa che agli uomini e alle donne nobili non è concesso per ragioni di decoro aristocratico (► TESTO: O bella età de l'oro). Tale motivo viene pertanto ripreso e ampliato nel poema, ma con la novità che ora tale dimensione di "evasione" e fuga dal dovere viene apertamente condannata in quanto contraria alla fede e al dovere militare, e ciò è evidente soprattutto nell'episodio del giardino di Armida, dove Rinaldo è condotto dalla maga che lo ha irretito con un incantesimo e lo tiene segregato dalla guerra e dai suoi doveri, in un luogo creato artificialmente che anche geograficamente è situato agli antipodi di Gerusalemme (le Isole Fortunate corrispondono alle Canarie, nell'Atlantico al largo della Spagna). L'arrivo di Carlo e Ubaldo spezza l'incanto e riporta Rinaldo alla realtà, distruggendo per sempre quel paradiso fittizio che la maga aveva prodotto con l'aiuto dei demoni, a significare che l'amore tra lei e il Crociato è stata solo una parentesi momentanea, da condannare in quanto sviante dai doveri guerreschi che impongono al giovane di tornare a espugnare Gerusalemme. Anche nella selva di Saron i demoni ricreano lo stesso tipo di "idillio" per cercare di impedire a Rinaldo di abbattere gli alberi per procurare la legna necessaria alle macchine d'assedio, ma il guerriero non si farà abbindolare e compirà fino in fondo il proprio dovere distruggendo per la seconda volta l'illusione di un mondo perfetto in cui l'amore possa trionfare sulla guerra, stavolta in modo definitivo e creando le premesse per l'imminente caduta della città santa (► TESTO: Rinaldo vince gli incanti della selva). Altrettanto provvisorio e di breve durata il soggiorno di Erminia tra i pastori, anche qui in una dimensione staccata dalla guerra e miracolosamente intatta, in cui la principessa trova ospitalità non tanto per sfuggire i doveri della corte quanto per dimenticare il suo infelice amore per Tancredi: la giovane indossa gli umili panni di una pastorella, porta le pecore al pascolo e le munge, ma il poeta precisa che "Non copre abito vil la nobil luce / e quanto è in lei d'altero e di gentile", a significare che il suo "travestimento" pastorale non cambia la sua natura di nobile principessa e non le permette di uscire dal mondo della corte in cui è imprigionata, tanto che dopo qualche tempo si unirà all'esercito egiziano in marcia verso Gerusalemme e interromperà la breve "vacanza" che ha preso dai suoi doveri sociali, dai quali non ha scampo. Sono evidenti le implicazioni autobiografiche di questo discorso che Tasso affronta nel poema ed è chiaro anche che, rispetto all'Aminta, la sua visione si è fatta più pessimista, nella consapevolezza che chi è nato e vissuto nella corte non può uscirne, deve assoggettarsi alle sue regole ferree che, spesso, impongono rinunce dolorose che causano sofferenza (è innegabile che questo incupirsi del discorso poetico coincida con gli squilibri psichici manifestati dall'autore, che anche per questo non sarà soddisfatto del poema e lo riscriverà per eliminare o correggere proprio gli intermezzi "idillici" presenti nella prima redazione, da lui sentiti come inopportuni e contrari allo spirito religioso).
Mondo cristiano e Islam
La fede islamica è naturalmente presentata sotto una luce fortemente negativa nella Liberata, in linea con la rappresentazione che di essa era offerta già nei poemi cavallereschi del XV-XVI sec., ma con una più accentuata condanna morale dovuta al nuovo clima culturale della Controriforma e, soprattutto, per la paura della minaccia turca nel Mediterraneo, che porta tra l'altro Tasso a scegliere quale sfondo storico del poema non più la guerra tra Mori e Cristiani nella Spagna dell'VIII sec., bensì la guerra santa di liberazione del Santo Sepolcro, in cui la condanna dell'Islam è parallela all'esaltazione della fede cristiana e della Chiesa di Roma. Sotto questo aspetto, anzi, Tasso si collega alla tradizione medievale in cui la religione musulmana era vista come deviazione peccaminosa dall'ortodossia per l'intervento diabolico, per cui è sufficiente ricordare la condanna di Maometto nell'Inferno di Dante tra i seminatori di scisma, e la Crociata viene presentata nel poema come vero scontro di civiltà, in cui la superiorità di quella cristiana è ribadita a più riprese e confermata dalla vittoriosa conclusione della guerra, in cui Goffredo strappa ai "pagani" il Santo Sepolcro che diventa quasi un simbolo culturale oltre che propriamente religioso. Tale contrapposizione "morale" tra cristiani e islamici è sottolineata anche dall'intervento delle entità soprannaturali nelle vicende, poiché a favore dei difensori di Gerusalemme agiscono i demoni infernali che vogliono impedire il trionfo della fede in Cristo e cercano di seminare discordie nel campo dei Crociati (► TESTO: Il concilio infernale), riprendendo la visione medievale dell'Islam come "scisma" nato in seno alla Cristianità e adorante idoli pagani, concezione ben lontana dalla verità storica (i Mori sono definiti "pagani" anche nei poemi cavallereschi del Quattrocento, in cui tuttavia la contrapposizione con la civiltà occidentale è meno evidente: all'inizio dell'Innamorato, ad es., saraceni e cristiani si incontrano pacificamente nella tregua di Pentecoste, fatto impensabile nella Liberata e, in parte, anche nel Furioso). È ovvio che questa idea dello "scontro di civiltà" è frutto del clima oscurantista e intollerante della Controriforma, in cui la paura del "diverso" (inteso come chi appartiene a un'altra fede, inclusa quella luterana, o semplicemente chi devia da una norma prefissata) domina la cultura del secolo e si manifesta anche nella persecuzione di intellettuali giudicati pericolosi per la gerarchia ecclesiastica, di cui Campanella e poi Galileo costituiscono esempi significativi, mentre è totalmente contraria allo spirito di tolleranza e di accettazione delle diversità proprio del mondo contemporaneo, in cui pure, per tanti motivi, esso è messo in discussione dal terrorismo che fa leva sul sentimento della paura e insinua l'idea che una cultura sia superiore all'altra e debba prevalere con la violenza. La condanna dell'Islam trova del resto espressione nel poema anche attraverso la conversione al Cristianesimo di alcuni protagonisti, anzitutto di Clorinda che, in virtù anche delle sue origini cristiane, chiede il battesimo in punto di morte in quanto illuminata dalla fede (► TESTO: Il duello di Tancredi e Clorinda), e poi di Armida che accetta di abbandonare la sua religione per amore di Rinaldo, arrivando addirittura a definirsi la sua "ancella" parafrasando le parole di Maria all'arcangelo Gabriele (questo episodio, come altri simili dell'opera, verrà eliminato nella Conquistata; ► TESTO: La conversione di Armida). Non va scordato infine che la stessa rappresentazione dei guerrieri islamici nella Liberata risponde in genere ai più scontati stereotipi della cultura occidentale, poiché essi vengono definiti erroneamente "pagani" e presentati come infedeli, massa indistinta di popoli dispersi e barbari, anche se una certa dignità eroica viene riconosciuta ad alcuni personaggi (soprattutto Clorinda, ma anche Argante e Solimano, i due difensori di Gerusalemme) in una sottile ambiguità che, da un lato, condanna senza appello l'Islam come minaccia alla sopravvivenza del mondo cristiano, dall'altro è attratta da alcuni aspetti della civiltà orientale che trovano un certo spazio nel poema e che nella Conquistata verranno invece trascurati, nel quadro di una maggiore attenzione agli elementi "ortodossi" per sanare i difetti del primo poema.
La Gerusalemme conquistata
Tasso non era soddisfatto del poema per ragioni di stile e per elementi di contenuto che temeva fossero in contrasto con l'ortodossia religiosa e infatti la Liberata venne pubblicata contro la volontà dell'autore mentre lui si trovava a Sant'Anna, suscitando tra l'altro vivaci polemiche letterarie che costrinsero il poeta a rispondere con scritti teorici in cui confutava le critiche ricevute. Tasso già all'epoca progettava un totale rifacimento dell'opera ed esso prese forma negli anni successivi alla sua liberazione, dando vita alla Gerusalemme conquistata (pubblicata nel 1593) che presenta notevoli cambiamenti rispetto alla prima redazione, a cominciare dalla lunghezza accresciuta (24 libri come Iliade e Odissea, per un totale di 2739 ottave, 812 in più della Liberata) e dalla soppressione o modifica di molti celebri episodi, sentiti come estranei o contrari allo spirito religioso della Controriforma. Alcuni personaggi cambiano nome (Rinaldo diventa Riccardo, Erminia è ribattezzata Nicea) e, in generale, vengono ridotte le parti relative agli intermezzi amorosi e idillici del primo poema, mentre al contrario sono ampliate le descrizioni degli scontri militari e gli elementi più tipici della narrazione "epica"della Crociata. Tra gli episodi eliminati va ricordato l'intermezzo di Olindo e Sofronia del canto II della Liberata, che scompare totalmente nella seconda versione, mentre la figura di Nicea viene fortemente ridimensionata ed è soppressa la sua avventura idillica tra i pastori, così come la principessa non cura le ferite di Tancredi, di cui è innamorata, dopo lo scontro con Argante. La stessa maga Armida viene incatenata nel luogo dove sorgeva il suo palazzo incantato dopo che Riccardo si è sottratto al suo influsso e la fanciulla non compare più alla fine del poema, né è a lei concessa la possibilità di una conversione religiosa, elemento fortemente controverso nel primo poema. Tra le novità più vistose vi è poi l'elemento encomiastico, dal momento che la Conquistata è dedicata al cardinale Aldobrandini e non più ad Alfonso II, con il quale i rapporti si erano evidentemente incrinati in seguito alla drammatica prigionia di Tasso, mentre dal poema scompare qualunque riferimento celebrativo alla casa estense, con il personaggio di Riccardo che non è più presentato come mitico progenitore della famiglia ferrarese. La Conquistata venne accolta con molta freddezza da pubblico e intellettuali del tempo e lo scarso successo dell'opera indusse l'autore a giustificarne le scelte di contenuto e stile in vari scritti, a cominciare dai Discorsi del poema eroico pubblicati nel 1594, anche se il poema venne ben presto dimenticato e la fama di Tasso rimase legata in modo indissolubile alla Gerusalemme liberata, al di là delle stesse intenzioni del poeta.
Lingua e stile
Le scelte linguistiche del poema aderiscono alla proposta di Bembo e al fiorentino della tradizione trecentesca, per cui si può dire che Tasso sia ormai al di là dell'annosa questione della lingua, tuttavia la forma finale della Liberata suscitò la vivace opposizione degli accademici della Crusca e ciò non tanto per ragioni strettamente linguistiche, ma soprattutto per fatti inerenti il lessico e lo stile del poeta. Tasso infatti fa uso di un lessico molto ampio, che attinge dall'intera tradizione letteraria e non solo da quella del XIV sec., inoltre predilige (come afferma nei Discorsi dell'arte poetica) le parole "non comuni... peregrine e da l'uso popolare lontane": numerosi sono pertanto i latinismi colti ("margo" per margine, "dumi" per cespugli, "formidabile" per terribile, inoltre alcune voci di uso tassesco, come "esclusa" per "chiusa fuori" ed "esprimere" per "spremere"), mentre non rare risultano le voci padane e settentrionali già ampiamente presenti nell'Innamorato e nel Furioso, ma non ben viste dai "puristi" della Crusca. Anche la sintassi e la costruzione della frase si allontanano dall'uso comune e ricercano l'elevato, il sublime, specie attraverso periodi lunghi e complessi con incisi posti tra parentesi, ampio uso dell'enjambement per legare un verso all'altro, iperbati e inversioni dell'ordine normale delle frasi che talvolta rendono la comprensione non immediata. Tra gli esempi più marcati ci sono frasi come "tal va di sua bontate intorno il grido" (IV.36.8), "Tornano allora i saracini, e stanchi / restan nel vallo e sbigottiti i Franchi" (VII.121.7-8), "per sette il Nilo sue famose porte" (XV.16.3), tutti artifici retorici e linguistici coi quali Tasso cercava di compensare la mancanza di "epicità" del volgare italiano, ma che facevano storcere il naso ai "cruscanti" ed erano origine di aspre polemiche intorno al poema, che com'è noto veniva paragonato al Furioso e giudicato ad esso inferiore. Anche sul piano più propriamente stilistico il poema presenta una certa varietà di toni, specialmente quello elevato e "tragico" dei passi di guerra o della descrizione dei duelli, e quello invece lirico e tendente al patetico degli episodi amorosi, aspetto che forse Tasso avrebbe voluto correggere prima della pubblicazione dell'opera ma che non poté fare in quanto ne perse il controllo dopo la reclusione a Sant'Anna. Questa operazione fu invece fatta nella Conquistata ed in effetti il secondo poema presenta uno stile assai più monocorde, che è certo tra le ragioni del suo scarso successo tra i lettori del Cinquecento che continuavano a preferire la prima versione della Liberata.
Versioni musicali
La fama di Tasso e della sua opera fu grande soprattutto nel XVII sec. e ciò è testimoniato, tra l'altro, dalle numerosi versioni musicali che il compositore Claudio Monteverdi (1567-1643) realizzò di rime del poeta, incluso l'episodio del Combattimento di Tancredi e Clorinda che divenne un madrigale musicato nel 1624 (► TESTO: Il duello di Tancredi e Clorinda): fu eseguito per la prima volta a Venezia in casa del committente, un certo Girolamo Mocenigo, riscuotendo un enorme successo e venendo poi pubblicato nel 1638 nell'VIII libro dei Madrigali guerrieri et amorosi. Monteverdi mise in musica le ottave 52-62 e 64-68 del canto XII del poema e immaginò tre personaggi (il Testo, Tancredi e Clorinda) che cantano i versi di Tasso sulla scena, senza sovrapporsi e accompagnando il canto con una "mimica gestuale" che esprime le emozioni provate in quel momento (è lo stesso compositore a chiarire questi aspetti nella Prefazione al madrigale). L'esecuzione dura in tutto circa 24 minuti e l'accompagnamento musicale è costituito da due violini, una viola da braccio e dal basso continuo (viola da gamba e clavicembalo). La partitura mette a contrasto due passioni contrarie, ovvero l'ira e lo sdegno di Tancredi e la calma rassegnazione di Clorinda quando è ormai morente, espressa attraverso l'esecuzione di momenti in stile "temperato" e melodico ed altri in stile "concitato", con frequenti contrappunti e il "tremolo" degli strumenti ad arco. Il "pezzo forte" è costituito dall'invocazione alla Notte (XII.54.3-8), che è anche l'unico momento del madrigale in cui sono consentiti i "trilli e gorgheggi" messi al bando dal resto dell'esecuzione in cui, secondo le indicazioni dell'autore, il canto dev'essere pulito e chiaro. Tale versione ebbe straordinario successo nel Seicento e viene tuttora eseguita talvolta a teatro, nell'ambito di rivisitazioni dell'opera del grande musicista cremonese (► MUSICA: Il madrigale di Monteverdi). Tra gli altri compositori che si ispirarono in vario modo al poema di Tasso ricordiamo G. B. Lulli, autore dell'Armida (1686) sul libretto di P. Quinault, G. F. Händel, che nel 1710 musicò il Rinaldo, e infine Gioachino Rossini, che nel 1817 scrisse l'opera in tre atti Armida, ispirata alla vicenda amorosa della maga pagana e del guerriero crociato Rinaldo (su libretto di Giovanni Schmidt).