Dante Alighieri
Dante e Bonagiunta
(Purgatorio, XXIV, 34-63)
Tra le anime dei golosi della sesta cornice del Purgatorio Dante incontra Bonagiunta Orbicciani da Lucca, l'esponente della scuola "siculo-toscana" che a metà del XIII sec. aveva polemizzato con Guido Guinizelli accusandolo di avere mutato la "mainera" di fare poesia sull'amore: è il poeta lucchese che apostrofa Dante e gli chiede ragguagli sulle "nove rime" da lui iniziate nella "Vita nuova", al che il fiorentino ribatte dando la famosa definizione del "Dolce Stil Novo" che appaga Bonagiunta e gli fa esclamare di aver colto la differenza tra gli esponenti della nuova scuola e lui e i suoi amici (inclusi Giacomo da Lentini e Guittone d'Arezzo). L'episodio si inserisce in un discorso intorno alla poesia già iniziato nel canto precedente con Forese Donati e che proseguirà nel XXVI, in cui vi sarà l'incontro tra Dante e lo stesso Guido Guinizelli.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
36 39 42 45 48 51 54 57 60 63 |
Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca, che più parea di me aver contezza. El mormorava; e non so che «Gentucca» sentiv’io là, ov’el sentia la piaga de la giustizia che sì li pilucca. «O anima», diss’io, «che par sì vaga di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda, e te e me col tuo parlare appaga». «Femmina è nata, e non porta ancor benda», cominciò el, «che ti farà piacere la mia città, come ch’om la riprenda. Tu te n’andrai con questo antivedere: se nel mio mormorar prendesti errore, dichiareranti ancor le cose vere. Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’». E io a lui: «I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando». «O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! Io veggio ben come le vostre penne di retro al dittator sen vanno strette, che de le nostre certo non avvenne; e qual più a gradire oltre si mette, non vede più da l’uno a l’altro stilo»; e, quasi contentato, si tacette. |
Ma come fa chi guarda e poi osserva con più insistenza qualcuno in particolare, così feci con Bonagiunta che sembrava conoscermi meglio degli altri.
Egli mormorava; e mi sembrava che dicesse qualcosa come «Gentucca» a fior delle labbra, là dove la giustizia divina li consuma [le anime sono smagrite a causa della fame]. Io dissi: «O anima, che sembri così smaniosa di parlare con me, parla più chiaramente e appagami con le tue parole». Lui iniziò: «È nata una femmina, e ancora è una giovinetta, che ti renderà piacevole la mia città [Lucca], anche se tutti ne parlano male. Tu te ne andrai via di qui con questa profezia: se a causa del mio mormorio non hai capito bene, i fatti ti sveleranno la verità. Ma dimmi se tu sei proprio colui che iniziò le nuove rime, cominciando con la canzone ' Donne ch'avete intelletto d'amore'». E io a lui: «Io sono un poeta che, quando Amore mi ispira, prendo nota e scrivo esattamente ciò che lui mi detta dentro il cuore». Rispose: «O fratello, ora capisco quale nodo ha trattenuto me, il Notaro [Giacomo da Lentini] e Guittone al di qua di questo 'dolce stil novo' che sento! Ora vedo bene che le vostre penne seguono strettamente la dettatura di Amore, mentre le nostre non fecero certo lo stesso; e se uno volesse procedere oltre, non vedrebbe altra differenza dall'uno all'altro stile»; e poi tacque, come se fosse soddisfatto. |
Interpretazione complessiva
- L'episodio di Bonagiunta da Lucca è una parentesi inserita nel più ampio colloquio tra Dante e Forese Donati, altra anima che sconta la pena tra i golosi della sesta cornice: è il poeta lucchese a notare Dante e a rivolgersi a lui mormorando il nome "Gentucca", che forse allude a una giovane donna che ospiterà il fiorentino a Lucca nei primi anni dell'esilio (sul punto siamo poco informati). Bonagiunta chiede poi a Dante se lui è il rimatore che ha iniziato le "nove rime" con la canzone Donne ch'avete intelletto d'amore (Vita nuova, XIX), propriamente la canzone in cui il poeta poneva la sua felicità nella lode rivolta a Beatrice (► VAI AL TESTO), e la risposta di Dante è la definizione di "Dolce Stil Novo" (secondo le parole dello stesso Bonagiunta), ovvero la diretta ispirazione d'amore a cui lui e gli altri poeti della scuola si attengono strettamente. Dante sceglie il suo interlocutore come esponente dello stile "vecchio", anche per il sonetto polemico rivolto a Guinizelli (► TESTO: Voi, ch'avete mutata la mainera) e questa è la sola attestazione del termine "Stilnovo" normalmente estesa anche a Cavalcanti e agli altri amici fiorentini di Dante.
- La canzone Donne ch'avete intelletto d'amore (inserita nel cap. XIX della Vita nuova) è un tipico testo stilnovista, anche se a stretto rigore la novità da esso rappresentata è legata alla particolare concezione amorosa espressa da Dante nel libello giovanile, ovvero il passaggio dalle rime della "lode" (in cui il poeta si aspettava una forma di riconoscimento da parte di Beatrice) alle "nove rime" (in cui tutta la felicità è riposta nelle parole di elogio, senza altri riscontri da parte dell'amata). Alcuni studiosi contestano l'estensione della definizione di "Dolce Stil Novo" a tutti i testi della scuola, anche se Bonagiunta parla al plurale ("Io veggio ben come le vostre penne") e pare riferirsi a una pluralità di poeti, inclusi Cavalcanti e gli altri amici fiorentini di Dante.
- Bonagiunta mostra di comprendere la differenza ("il nodo") che separa lui, il Notaro (Giacomo da Lentini, caposcuola dei Siciliani) e Guittone d'Arezzo dagli Stilnovisti, ovvero il fatto che questi non scrissero sotto la dettatura di amore. Guittone verrà duramente criticato anche dallo stesso Guinizelli nell'episodio del canto XXVI (► TESTO: Dante e Guinizelli), a dispetto delle lodi che il poeta bolognese gli aveva effettivamente rivolto nel sonetto O caro padre meo.