Giovanni Boccaccio
La badessa e le brache
(Decameron, IX, 2)
In un convento femminile della Lombardia una giovane monaca viene sorpresa con il suo amante dalle consorelle, che corrono a chiamare la madre badessa per denunciarla: la superiora però è anche lei in compagnia di un prete nella sua cella, per cui nella fretta indossa in testa le mutande dell'uomo al posto del velo e si reca in capitolo a giudicare il "fallo" della suora colta in flagrante. Quest'ultima, accortasi del bizzarro abbigliamento della badessa, ricorre a un'astuzia per volgere la situazione a proprio vantaggio.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
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Levasi una badessa in fretta e al buio per trovare una sua monaca, a lei accusata, col suo amante nel letto; ed essendo con lei un prete, credendosi il saltero de’ veli aver posto in capo, le brache del prete vi si pose; le quali vedendo l’accusata e fattalane accorgere, fu diliberata, ed ebbe agio di starsi col suo amante.
Già si tacea Filomena, e il senno della donna a torsi da dosso coloro li quali amar non volea da tutti era stato commendato, e così in contrario non amor ma pazzia era stata tenuta da tutti l’ardita presunzione degli amanti [1], quando la reina ad Elissa vezzosamente disse: - Elissa, segui -. La quale prestamente incominciò: Carissime donne, saviamente si seppe madonna Francesca, come detto è, liberar dalla noia sua; ma una giovane monaca, aiutandola la fortuna, sé da un soprastante pericolo, leggiadramente parlando, diliberò. E, come voi sapete, assai sono li quali, essendo stoltissimi, maestri degli altri si fanno e gastigatori, li quali, sì come voi potrete comprendere per la mia novella, la fortuna alcuna volta e meritamente vitupera; e ciò addivenne alla badessa, sotto la cui obbedienza era la monaca della quale debbo dire. Sapere adunque dovete in Lombardia essere un famosissimo monistero di santità e di religione, nel quale, tra l’altre donne monache che v’erano, v’era una giovane di sangue nobile e di maravigliosa bellezza dotata, la quale, Isabetta chiamata, essendo un dì ad un suo parente alla grata venuta [2], d’un bel giovane che con lui era s’innamorò. Ed esso, lei veggendo bellissima, già il suo disidero avendo con gli occhi concetto [3], similmente di lei s’accese; e non senza gran pena di ciascuno questo amore un gran tempo senza frutto sostennero. Ultimamente, essendone ciascun sollicito, venne al giovane veduta una via da potere alla sua monaca occultissimamente andare; di che ella contentandosi, non una volta ma molte, con gran piacer di ciascuno, la visitò. Ma continuandosi questo, avvenne una notte che egli da una delle donne di là entro fu veduto, senza avvedersene egli o ella, dall’Isabetta partirsi e andarsene. Il che costei con alquante altre comunicò. E prima ebber consiglio d’accusarla alla badessa, la quale madonna Usimbalda ebbe nome, buona e santa donna secondo la oppinione delle donne monache e di chiunque la conoscea; poi pensarono, acciò che la negazione non avesse luogo [4], di volerla far cogliere col giovane alla badessa. E così taciutesi, tra sé le vigilie e le guardie segretamente partirono per incoglier costei. Or, non guardandosi l’Isabetta da questo, né alcuna cosa sappiendone, avvenne che ella una notte vel fece venire; il che tantosto sepper quelle che a ciò badavano. Le quali, quando a loro parve tempo, essendo già buona pezza di notte [5], in due si divisero, e una parte se ne mise a guardia dell’uscio della cella dell’Isabetta, e un’altra n’andò correndo alla camera della badessa; e picchiando l’uscio, a lei che già rispondeva, dissero: - Su, madonna, levatevi tosto, ché noi abbiam trovato che l’Isabetta ha un giovane nella cella. Era quella notte la badessa accompagnata d’un prete, il quale ella spesse volte in una cassa si faceva venire. La quale, udendo questo, temendo non [6] forse le monache per troppa fretta o troppo volonterose, tanto l’uscio sospignessero che egli s’aprisse, spacciatamente [7] si levò suso, e come il meglio seppe si vestì al buio, e credendosi tor certi veli piegati, li quali in capo portano e chiamanli il saltero [8], le venner tolte le brache [9] del prete; e tanta fu la fretta, che, senza avvedersene, in luogo del saltero le si gittò in capo e uscì fuori, e prestamente l’uscio si riserrò dietro, dicendo: - Dove è questa maladetta da Dio? - e con l’altre, che sì focose e sì attente erano a dover far trovare in fallo l’Isabetta, che di cosa che la badessa in capo avesse non s’avvedieno, giunse all’uscio della cella, e quello, dall’altre aiutata, pinse in terra; ed entrate dentro, nel letto trovarono i due amanti abbracciati, li quali, da così subito soprapprendimento storditi, non sappiendo che farsi, stettero fermi. La giovane fu incontanente dall’altre monache presa, e per comandamento della badessa menata in capitolo. [10] Il giovane s’era rimaso; e vestitosi, aspettava di veder che fine la cosa avesse, con intenzione di fare un mal giuoco a quante giugner ne potesse, se alla sua giovane novità niuna fosse fatta [11], e di lei menarne con seco. La badessa, postasi a sedere in capitolo, in presenzia di tutte le monache, le quali solamente alla colpevole riguardavano, incominciò a dirle la maggior villania che mai a femina fosse detta, sì come a colei la quale la santità, l’onestà e la buona fama del monistero con le sue sconce e vituperevoli opere, se di fuor si sapesse, contaminate avea; e dietro alla villania aggiugneva gravissime minacce. La giovane, vergognosa e timida, sì come colpevole, non sapeva che si rispondere, ma tacendo, di sé metteva compassion nell’altre; e, multiplicando pur la badessa in novelle, venne alla giovane alzato il viso e veduto ciò che la badessa aveva in capo, e gli usolieri [12] che di qua e di là pendevano. Di che ella, avvisando ciò che era, tutta rassicurata disse: - Madonna, se Iddio v’aiuti, annodatevi la cuffia, e poscia mi dite ciò che voi volete. La badessa, che non la intendeva, disse: - Che cuffia, rea femina? Ora hai tu viso di motteggiare? [13] Parti egli aver fatta cosa che i motti ci abbian luogo? Allora la giovane un’altra volta disse: - Madonna, io vi priego che voi v’annodiate la cuffia, poi dite a me ciò che vi piace; - laonde molte delle monache levarono il viso al capo della badessa, ed ella similmente ponendovisi le mani, s’accorsero perché l’Isabetta così diceva. Di che la badessa, avvedutasi del suo medesimo fallo e vedendo che da tutte veduto era né aveva ricoperta [14], mutò sermone, e in tutta altra guisa che fatto non avea cominciò a parlare, e conchiudendo venne impossibile essere [15] il potersi dagli stimoli della carne difendere; e per ciò chetamente, come infino a quel dì fatto s’era, disse che ciascuna si desse buon tempo quando potesse. E liberata la giovane, col suo prete si tornò a dormire, e l’Isabetta col suo amante. Il qual poi molte volte, in dispetto di quelle che di lei avevano invidia, vi fe’ venire. L’altre che senza amante erano, come seppero il meglio, segretamente procacciaron lor ventura. |
[1] Si riferisce alla novella precedente, di madonna Francesca. [2] Le suore di clausura ricevevano le visite al parlatorio, attraverso una grata. [3] Avendo capito che anche lei lo desiderava. [4] Per impedirle di negare la cosa. [5] Essendo un'ora tarda di notte. [6] Temendo che (latinismo). [7] In fretta e furia. [8] Il "saltero" o "salterio" è il velo indossato dalle monache. [9] Per "brache" si intendono le mutande lunghe portate dagli uomini. [10] Il capitolo qui è l'assemblea delle monache chiamate a giudicare una consorella. [11] Con l'intenzione di fare un brutto scherzo a quante ne potesse raggiungere, se mai fosse stato fatto del male alla sua fanciulla. [12] I legacci delle mutande maschili. [13] Hai la sfacciataggine di scherzare? [14] E non poteva nascondersi. [15] E concluse che è impossibile. |
Interpretazione complessiva
- Questa breve novella narrata da Elissa è incentrata sul tema dell'eros e dell'impossibilità di reprimere gli istinti sessuali in quanto naturali, cosa che naturalmente vale anche per gli ecclesiastici: l'argomento è affrontato in molti altri racconti, tra cui quello di Masetto da Lamporecchio (III, 1) in cui un giovane che lavora in un convento femminile si finge sordomuto e diventa l'amante di tutte le monache, inclusa la badessa che gode dei suoi favori (► TESTO: Masetto da Lamporecchio). Il discorso rientra nella più ampia concezione dell'amore fisico che Boccaccio esprime nel Decameron, decisamente moderna e anticipatrice di molti aspetti che l'Umanesimo nel XV sec. farà propri, e anche nella polemica anti-ecclesiastica che attraversa largamente il libro e accusa i religiosi di essere ipocriti e obbligati a regole che in realtà non possono rispettare.
- Il tono della novella è decisamente comico, così come paradossale è la scena in cui la badessa, con le brache in testa di cui nessuno si accorge, accusa Isabetta di colpe che evidentemente sono anche sue: la giovane è la prima ad avvedersi della cosa e ne approfitta per trarne vantaggio, inducendo la superiora a toccare i lacci delle mutande che ha in testa e a comprendere l'imbarazzo cui è sottoposta. È interessante la prontezza con cui Usimbalda, vistasi additata al pubblico ludibrio, cambia improvvisamente tenore al proprio discorso e fa proprio il punto di vista dell'autore, ammettendo che è "impossibile... il potersi dagli stimoli della carne difendere" e consentendo di fatto a Isabetta di tornare col proprio amante. Le altre monache, che l'avevano denunciata più per invidia che non per senso del dovere, troveranno a loro volta il modo di soddisfare i loro desideri amorosi.
- La vicenda compare nel nel film Decameron di Pier Paolo Pasolini, in cui è narrata da un cantastorie in un vicolo di Napoli durante la novella di Ciappelletto, intento a borseggiare gli ignari passanti (► CINEMA: Decameron).