Francesco Petrarca
«Solo et pensoso»
(Canzoniere, 35)
È uno dei sonetti più celebri del "Canzoniere", composto prima del 1337 e in cui Petrarca descrive se stesso intento a camminare in luoghi remoti e selvaggi, nel tentativo (vano) di evitare i suoi pensieri amorosi e, soprattutto, per non mostrare agli altri il suo aspetto afflitto rivelatore delle sue pene sentimentali. La lirica è interessante, oltre che per l'accuratezza stilistica e retorica, anche per l'oggettivazione del sentimento interiore attraverso il paesaggio esterno, poiché la desolazione dei luoghi solitari percorsi dall'autore rispecchia pienamente la sua intima afflizione (questo è uno degli elementi di maggior novità della poesia petrarchesca, nonché di distanza dalla precedente tradizione della lirica cortese).
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
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Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti, et gli occhi porto per fuggire intenti ove vestigio human l’arena stampi. Altro schermo non trovo che mi scampi dal manifesto accorger de le genti, perché negli atti d’alegrezza spenti di fuor si legge com’io dentro avampi: sì ch’io mi credo omai che monti et piagge et fiumi et selve sappian di che tempre sia la mia vita, ch’è celata altrui. Ma pur sì aspre vie né sì selvagge cercar non so ch’Amor non venga sempre ragionando con meco, et io co·llui. |
Essendo solo e pensieroso, percorro i campi più deserti a passi lenti e cadenzati, come se li misurassi, e porto gli occhi attenti a sfuggire i luoghi dove un'impronta umana segni il terreno.
Non trovo altra difesa per evitare che le persone si accorgano [della mia condizione], poiché negli atti privi di allegria si legge bene all'esterno come io bruci [d'amore] dentro: a tal punto che credo che, ormai, monti, pianure, fiumi e selve sappiano di che qualità sia la mia vita, che è celata agli altri. Eppure non so cercare vie così impervie e selvagge che Amore non venga sempre a parlare con me, e io con lui. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, CDE. La lingua presenta i consueti latinismi ("et", vv. 1-2, ecc.; "human", v. 4; "con meco", v. 14). Nella prima quartina la presenza di endecasillabi a minore conferisce una particolare lentezza al ritmo, che sottolinea il procedere lento e cadenzato dei passi dell'autore. Ai vv. 9-10 vi è un polisindeto ("et... et... et"), mentre i quattro elementi sono disposti a chiasmo (monti-selve / piagge-fiumi, anche se "piagge" qui vale soprattutto "pianure"). Allitterazione della "r" e della "s" al v. 12, forse a sottolineare il carattere brullo e desolato del paesaggio.
- L'autore presenta se stesso come afflitto dalle pene amorose e vergognoso della propria condizione che non vuole svelare agli altri, ragione che lo spinge a sfuggire la compagnia degli altri uomini e a passeggiare in luoghi remoti e solitari, nel tentativo (non riuscito) di non pensare continuamente a Laura: vi è la ripresa di un tema già presente nel sonetto proemiale, dove Petrarca diceva di essere stato per lungo tempo la "favola" del popolo e in cui qualificava il suo amore non corrisposto come un "vaneggiare", il cui frutto era stato appunto la "vergogna" (► TESTO: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono). L'oggettivazione dell'interiorità con il dato esteriore del paesaggio desolato è una delle novità più interessanti della lirica petrarchesca e segna la massima distanza dalla tradizione precedente, in cui il locus amoenus fungeva soltanto da sfondo all'avventura amorosa e non di rado il dato spaziale era del tutto assente o appena accennato (tipica in questo senso l'essenzialità della Vita nuova, dove la città di Firenze non viene mai nominata).
- Il testo mostra una delle peculiarità della lirica petrarchesca, ovvero la consapevolezza del carattere vano e peccaminoso del suo amore per Laura e, dunque, il desiderio di isolamento e solitudine, sia per evitare il contatto col "volgo" che non potrebbe comprendere l'esperienza sconvolgente dell'amore (secondo una tradizione trobadorica e in parte anche stilnovistica), ma soprattutto in quanto il poeta si sente solo e incompreso nella sua triste condizione di innamorato non corrisposto, che lo spinge a evitare gli sguardi altrui per non mostrare fino in fondo la sua afflizione di cui si vergogna. Questo è un forte elemento di novità della poesia di Petrarca, specialmente rispetto allo Stilnovo in cui, al contrario, il poeta si sentiva parte di una comunità fatta di uomini e di donne "cortesi" tra cui individuare il suo pubblico e ai quali rivolgersi per esprimere i propri sentimenti, laddove invece quello di Petrarca è piuttosto un dialogo con se stesso che solo incidentalmente si indirizza a dei lettori in grado di comprenderlo fino in fondo. Il motivo della ricerca di luoghi remoti ove trovare sollievo dai tormenti d'amore è affrontato anche nella canzone 129 (► TESTO: Di pensier in pensier, di monte in monte).