OPERA
Vita nuova
La Vita nuova è un prosimetro (componimento misto di prosa e versi) scritto da Dante Alighieri (► AUTORE) negli anni giovanili, presumibilmente nel periodo immediatamente successivo alla morte di Beatrice (1293-1295). Si tratta di una raccolta di 31 liriche composte da Dante in un arco di tempo assai ampio, dal 1283 al 1291 circa, e inserite in una cornice narrativa di 42 capitoli in cui viene raccontata la vicenda amorosa tra lui e Beatrice sino alla morte di quest'ultima e al periodo immediatamente successivo. L'opera viene anche definita, con un'espressione dello stesso autore, "libello" giovanile e si tratta del primo scritto organico sicuramente attribuibile a Dante; il titolo allude all'epoca in cui l'opera è stata realizzata ("vita nuova" significa infatti "gioventù", "periodo giovanile"), ma potrebbe voler dire anche "vita rinnovata dall'amore", senza che le due interpretazioni si escludano a vicenda. In linea generale la Vita nuova è una rivisitazione in chiave allegorica e cristologica della vicenda di Beatrice e dell'amore spirituale che legò la giovane al poeta, nonché una riflessione sulla poesia amorosa e della sua evoluzione nell'opera giovanile di Dante, dallo Stilnovo di stretta osservanza sino ai versi di ispirazione religiosa contenuti soprattutto nell'ultima parte del "libello". L'opera contiene alcuni riferimenti che sembrano preannunciare la futura Commedia e il ruolo centrale che in essa assumerà Beatrice, benché Dante non fornisca ancora nell'operetta giovanile delle indicazioni precise.
Titolo, struttura, composizione
L'espressione "vita nuova" indica propriamente il periodo giovanile (in questo senso è usata in Purg., XXX, 115) e non c'è dubbio che il titolo dell'opera alluda al racconto della gioventù di Dante attraverso il suo amore per Beatrice, anche se potrebbe anche voler dire "vita rinnovata dall'amore" e tale interpretazione non esclude la prima. Ignoriamo quando Dante abbia composto il "libello", ma l'ipotesi più accreditata è il periodo 1293-1295, dopo la morte di Beatrice (da lui collocata nel 1290) e prima di dedicarsi alle "Petrose", quando cioè l'autore avrebbe "riordinato" le rime in precedenza dedicate alla donna inserendole in una "cornice" in prosa che racconta le fasi dell'amore per lei e l'evoluzione della sua stessa poesia. Egli scelse 31 liriche tra quelle scritte nel periodo stilnovista e dedicate in gran parte a Beatrice, tra cui 25 sonetti, 5 canzoni (due sono incomplete) e 1 ballata; i testi più antichi risalirebbero al 1283, anno del primo incontro tra i due, mentre i più tardi sarebbero del 1291, primo anniversario della morte di Beatrice (queste date sono frutto della rielaborazione dantesca e non è escluso che abbiano valore per lo più simbolico). Ecco l'ordine in cui le liriche sono disposte da Dante nell'opera, che corrisponde presumibilmente a quello di composizione:
Cap. III
Cap. VII Cap. VIII Cap. VIII Cap. IX Cap. XII Cap. XIII Cap. XIV Cap. XV Cap. XVI Cap. XIX Cap. XX Cap. XXI Cap. XXII Cap. XXII Cap. XXIII Cap. XXIV Cap. XXVI Cap. XXVI Cap. XXVII Cap. XXXI Cap. XXXII Cap. XXXIII Cap. XXXIV Cap. XXXV Cap. XXXVI Cap. XXXVII Cap. XXXVIII Cap. XXXIX Cap. XL Cap. XLI |
A ciascun'alma presa e gentil core►
O voi che per la via d'Amor passate Piangete, amanti, poi che piange Amore Morte villana, di pietà nemica Cavalcando l'altr'ier per un cammino Ballata, i' voi che tu ritruovi Amore Tutti li miei pensier parlan d'Amore Con l'altre donne mia vista gabbate Ciò che m'incontra, ne la mente more Spesse fiate vegnonmi a la mente Donne ch'avete intelletto d'amore Amore e 'l cor gentil sono una cosa Ne li occhi porta la mia donna Amore Voi che portate la sembianza umile Se' tu colui c'hai trattato sovente Donna pietosa e di novella etate Io mi senti' svegliar dentro a lo core Tanto gentile e tanto onesta pare (►Vede perfettamente onne salute Sì lungiamente m'ha tenuto Amore Li occhi dolenti per pietà del core Venite a intender li sospiri miei Quantunque volte, lasso!, mi rimembra Era venuta ne la mente mia (►)Videro li occhi miei quanta pietate (►) Color d'amore e di pietà sembianti L'amaro lagrimar che voi faceste Gentil pensero che parla di vui Lasso! per forza di molti sospiri Deh peregrini che pensosi andate Oltre la spera che più larga gira (►) |
(sonetto)
(sonetto rinterzato) (sonetto) (sonetto rinterzato) (sonetto) (ballata) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (canzone) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (canzone) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (stanza di canzone) (canzone) (sonetto) (canzone) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (sonetto) (sonetto) |
Le prose che precedono e seguono le liriche hanno anzitutto funzione narrativa e raccontano la vicenda amorosa di Dante e Beatrice, sino alla morte della "gentilissima" e all'episodio della "donna gentile" che è seguito dalla "mirabile visione" che richiama Dante al culto della sua amata; molti passi in prosa costituiscono poi un commento al significato delle liriche (le divisioni, come le definisce Dante) e il modello sono certamente le razos della poesia provenzale, che l'autore conosceva assai bene e che rappresentano un punto di riferimento per tutta l'esperienza stilnovistica. Il cap. I è brevissimo e ha lo scopo di introdurre in linea generale il contenuto dell'opera, in base alla finzione per cui Dante trascriverà quanto si trova nel libro della sua memoria sotto la "rubrica" corrispondente alla "vita nuova", alla gioventù; ugualmente breve l'ultimo capitolo (XLII), in cui l'autore parla della visione che lo induce a non parlare più di Beatrice fino a quando non potrà dire di lei "quello che mai non fue detto d'alcuna".
La vicenda
Le rime della "loda" e l'equivoco delle donne-schermo (capp. I-XVII)
Dopo il Proemio (► VAI AL TESTO), Dante racconta il suo incontro Beatrice quando entrambi hanno nove anni, innamorandosi subito di lei e restandone fortemente turbato (► TESTO: Il primo incontro con Beatrice). La incontra nuovamente nove anni dopo, iniziando a dedicarle una serie di poesie d'amore secondo il modello stilnovista della "loda" e ottenendo dalla donna un gesto di saluto quale riconoscimento (► TESTO: A ciascun'alma presa). Un giorno, mentre il poeta e Beatrice di trovano in chiesa, Dante guarda la sua amata ma tutti credono che rivolga la sua attenzione a un'altra donna che si trova tra i due, per cui si crea un equivoco: Dante non fa nulla per chiarirlo e lascia che tutti pensino che i suoi versi siano dedicati a questa donna-schermo, per non danneggiare la reputazione di Beatrice (► TESTO: La donna-schermo). Quando la donna-schermo deve lasciare Firenze, Amore suggerisce a Dante di usare una seconda donna per continuare l'equivoco, ma stavolta Beatrice non gradisce il comportamento del poeta e gli nega il saluto. Dante ne è sconfortato e soffre molto, specie quando incontra nuovamente Beatrice a una festa e viene preso "a gabbo" (viene deriso) da altre donne perché lui, alla vista dell'amata, è colto da turbamento. In seguito Dante riflette sul fatto che farebbe meglio ad evitare di incontrare Beatrice, visto che la sua presenza gli provoca tanta sofferenza, e conclude che in ogni caso il suo amore è lei è troppo forte per consentirgli di evitarla, anche se ciò è motivo per lui di strazio e derisione.
Le "nove rime" e la morte di Beatrice (capp. XVIII-XXXIV)
Un
giorno, mentre cammina per la città, Dante incontra un gruppo di donne
che gli chiedono perché continui ad amare Beatrice visto che non
sostiene neppure la sua presenza: Dante riflette e comprende che la sua
felicità non deve essere riposta nel saluto o nel riconoscimento che può
dargli Beatrice, bensì nelle parole di lode che lui le rivolge nelle
sue poesie. Ha inizio la fase delle cosiddette "nove rime", caratterizzata da poesie quali la canzone Donne ch'avete intelletto d'amore (► VAI AL TESTO) e i sonetti Amore e 'l cor gentil (► VAI AL TESTO), Ne li occhi porta la mia donna Amore (► VAI AL TESTO), Tanto gentile (► VAI AL TESTO). La morte del padre di Beatrice costituisce un primo oscuro presagio della prossima morte della stessa donna, così come una terribile visione avuta da Dante durante una grave malattia, in cui la scomparsa di Beatrice viene descritta con gli stessi segni della morte di Cristo; poco oltre Dante immagina Beatrice in compagnia di Giovanna, la donna di Cavalcanti (detta "madonna Primavera") che viene esplicitamente paragonata a Giovanni Battista, che precede la venuta di Cristo. Beatrice muore effettivamente l'8 giugno 1290, secondo la ricostruzione operata dal poeta, lasciando la città di Firenze vedova della sua presenza e gettando Dante in un profondo sconforto, che lo spinge a scrivere alcune rime in memoria della donna amata, tra cui soprattutto la canzone Li occhi dolenti per pietà del core e il sonetto Venite a intender li sospiri miei, scritto per condividere il dolore della perdita con un fratello di Beatrice. Nel primo anniversario della morte della "gentilissima" Dante scrive per ricordarla un sonetto con due inizi, Era venuta ne la mente mia (► VAI AL TESTO).
La "donna gentile" e la "mirabile visione" di Beatrice (capp. XXXV-XLII)
Poco tempo dopo Dante incontra una "gentile donna giovane e bella" che, affacciandosi da una finestra, sembra provare pietà per il suo dolore e lo induce alle lacrime: il poeta si innamora di lei e le dedica alcune rime (tra cui il sonetto Videro li occhi miei quanta pietate, ► VAI AL TESTO) ed è molto combattuto circa l'opportunità di questa sua nuova infatuazione, che sembra in effetti un tradimento verso la memoria di Beatrice. Alcuni giorni dopo Dante ha una prima visione in cui rivede Beatrice come nel primo incontro, giovane e con indosso una veste color rosso sangue, per cui inizia a pentirsi del suo amore per la "donna gentile" e a scuotersi dalla sua condizione, cosa che gli provoca molto dolore; anche il passaggio per Firenze di alcuni pellegrini diretti a Roma per vedere il velo della Veronica suscita turbamento in Dante, che scrive il sonetto Deh peregrini che pensosi andate. Più tardi Dante invia ad alcune donne che avevano richiesto i suoi versi un sonetto che descrive Beatrice nello splendore del Paradiso (Oltre la spera che più larga gira, ► VAI AL TESTO) e in seguito il poeta ha una "mirabile visione" che lo induce a non parlare più di Beatrice finché non sarà in grado di dire di lei "quello che mai non fue detto d'alcuna", proposito col quale la narrazione si interrompe (► TESTO: La conclusione della Vita nuova).
Il significato poetico e allegorico dell'opera
L'evoluzione della poesia amorosa
Apparentemente la Vita nuova è il semplice racconto della vicenda amorosa che lega Dante a Beatrice, anche se ovviamente la narrazione è molto lontana dagli standard moderni e priva di molti riferimenti oggettivi, per cui ad esempio la città di Firenze non è mai nominata direttamente e gli stessi personaggi sono indicati per lo più attraverso perifrasi, mentre quasi nessuna azione viene propriamente descritta ma tutto è analizzato attraverso gli effetti che il sentimento amoroso provoca in Dante. Lo Stilnovo è certo l'esperienza nella quale maturano molte delle liriche contenute nel "libello", anche se la poesia di Dante attraversa una prima fase che ricalca lo schema del "servizio d'amore" e della "loda" alla donna amata (secondo i dettami dell'amor cortese e della lirica provenzale), per poi passare a una fase successiva in cui la felicità del poeta è riposta nelle stesse parole con cui loda Beatrice senza attendere più alcun riconoscimento da parte sua (le cosiddette "nove rime", secondo la definizione data dall'autore stesso in Purg., XXIV, 50 durante l'incontro con Bonagiunta che è anche la definizione di "Dolce Stil Novo"; ► TESTO: Dante e Bonagiunta). Nella fase delle "nove rime" l'amore per Beatrice assume contorni mistici, specie nel sonetto più famoso dell'opera Tanto gentile (► VAI AL TESTO), per cui si ha quasi un superamento dello Stilnovo inteso come semplice lode della bellezza della donna-angelo e l'amata diventa davvero tramite tra uomo e Dio, con una spiritualizzazione del sentimento che è decisamente accentuata rispetto alle liriche classiche della scuola. La trasfigurazione di Beatrice si completa dopo la sua morte, quando la donna cessa di essere l'oggetto del desiderio dell'amore del poeta e diventa oggetto di venerazione religiosa, mostrata nello splendore del Paradiso e talmente elevata da non poter essere neppure descritta pienamente, motivo che Dante riprende almeno in parte dalla poesia dell'amico Cavalcanti.
Beatrice come "figura" di Cristo
La trasfigurazione di Beatrice è il vero tema al centro del "libello" ed è evidente che la donna amata da Dante diventa qualcosa di più della semplice donna-angelo già cantata dagli Stilnovisti come tramite tra cielo e terra, poiché essa assume significati cristologici che a più riprese vengono sottolineati nella narrazione e che fanno dell'opera un'esperienza più matura, che in certo qual modo va addirittura oltre lo Stilnovo: la trasformazione si opera già nella fase delle "nove rime", quando Dante ha ormai superato la concezione della poesia come "servizio amoroso" in cambio del quale attende il "saluto" quale riconoscimento, poiché Beatrice è colei che dà beatitudine col semplice nominarla, oggetto più di venerazione mistica che di amore; la sua morte opera una metamorfosi ancor più netta, anche perché l'evento luttuoso è ampiamente preannunciato nel corso della narrazione ed esplicitamente paragonato alla morte di Cristo, specie nel cap. XXIII in cui Dante, colto da una grave malattia, sogna la morte dell'amata e vede il sole oscurarsi, uccelli che cadono morti dal cielo e terremoti, tutti segni con cui nei Vangeli si annuncia la morte di Gesù sulla croce. Si aggiunga che nel cap. XXIV Dante ha una specie di visione in cui Beatrice è accompagnata e preceduta da Giovanna, la donna amata da Cavalcanti e indicata col senhal "Primavera", la quale è esplicitamente paragonata a S. Giovanni Battista che nel Vangelo precede e annuncia la venuta di Cristo (viene anche citato Giov., I, 23 con la frase del Battista: "Io sono la voce che proclama nel deserto, preparate la via al Signore"). L'identificazione Beatrice-Cristo precede la trasfigurazione allegorica della donna nella Commedia, in cui sarà figura della teologia che guida Dante alla salvezza, mentre il suo arrivo nell'Eden di Purg., XXX avverrà nuovamente con attributi cristologici, per cui non sembra improbabile che già all'altezza della Vita nuova Dante concepisse l'abbozzo di quel che sarà la poesia impegnata del poema, anche se il progetto dell'opera verrà messo a punto solo anni dopo; ciò è coerente anche con la conclusione del "libello", in cui Beatrice è mostrata nello splendore della "candida rosa" dei beati e con Dante che rinuncia a parlare ancora di lei finché non potrà dire quel che non era mai stato detto di nessun'altra, il che pare un preannuncio, per quanto ancora vago, del Paradiso. In questo senso la Vita nuova si presenta come il superamento e la spiritualizzazione della poesia amorosa dello Stilnovo, verso la poesia moralmente impegnata della Commedia il cui impianto allegorico sarebbe stato messo a punto più avanti, anche sotto la spinta degli eventi politici e alla luce della drammatica esperienza dell'esilio.
La "donna gentile" e la filosofia
L'episodio della "donna gentile" si colloca nell'opera un anno circa dopo la morte di Beatrice e nel "libello" assume la semplice valenza di un evento amoroso, come l'infatuazione di Dante per una giovane nobildonna che si mostra pietosa del suo dolore e di cui lui si innamora, tradendo in un certo modo la memoria della "gentilissima": alla donna vengono dedicate alcune rime e il poeta è molto combattuto tra sé circa i suoi sentimenti per questa figura, non sapendo risolversi tra la fedeltà all'amata defunta e il sollievo provato per il nuovo rapporto, finché una serie di "visioni" in cui Beatrice gli appare tra i beati lo richiamano al suo dovere e pongono fine a quell'episodio isolato. Tuttavia nel Convivio (II, ii) la "donna gentile" è reinterpretata come allegoria della filosofia, ovvero come immagine di quegli studi cui Dante si era dedicato per trovare conforto dalla morte della donna amata e il cui frutto sarebbero state le canzoni dottrinali poi commentate nel trattato, dunque la vicenda della Vita nuova viene rielaborata a posteriori da Dante e riadattata alle nuove circostanze, mentre nell'operetta giovanile nulla autorizzava una lettura in chiave allegorica dell'episodio (la cosa appare bizzarra agli occhi di noi moderni, tuttavia rientra nell'atteggiamento tipicamente medievale di Dante per cui ogni cosa può nascondere un altro significato, dunque non è strano che il poeta abbia riletto in chiave allegorica una vicenda che nella Vita nuova aveva significato unicamente amoroso). Poiché inoltre il Convivio nasce come omaggio alla "donna gentile" e non a Beatrice, è ovvio che quest'opera si presenta come un ripensamento rispetto al proposito enunciato alla fine del "libello", poiché Dante si dedica a una poesia di argomento filosofico in cui è la ragione e non la teologia a guidarlo, intento che fu forse da lui rinnegato negli anni seguenti e che potrebbe essere stato a sua volta interpretato come il peccato che lo ha condotto nella "selva oscura" dell'inizio della Commedia, in cui del resto l'esperienza del Convivio appare superata e sottoposta a una profonda critica. Non va scordato che la stessa Beatrice, quando appare a Dante in Purg., XXX, lo rimprovera per aver volto i suoi passi "per via non vera" e di essersi dato "altrui" (ad altri, forse ad un'altra donna), parole che sembrano richiamarsi proprio alla vicenda della "donna gentile" che, quindi, andrà letta come il tentativo di giungere alla verità attraverso la filosofia e la ragione trascurando colpevolmente gli insegnamenti teologici (e in Purg., XXXIII ancora Beatrice parlerà a Dante di una scola da lui seguita dopo la sua morte, che sembra nuovamente alludere a un insegnamento filosofico che lo ha condotto lontano da lei). Se l'ipotesi è corretta, ciò significa che un filo ideale lega Vita nuova e Commedia come opere entrambe dedicate a Beatrice-teologia (la prima giovanile e rientrante negli schemi dello Stilnovo, la seconda matura e volta a una poesia moralmente impegnata) e che questo filo appare interrotto dall'esperienza filosofica del Convivio, che in questo senso potrebbe davvero essere al centro del "traviamento" di Dante inteso come peccato intellettuale, perciò bruscamente interrotto prima di dedicarsi a tempo pieno alla stesura del poema.
La Vita nuova nella tradizione letteraria
La Vita nuova appartiene a un genere letterario (il "prosimetro") che prima di Dante non ha precedenti di rilievo nella letteratura volgare, per cui l'operetta si presenta come innovativa e i modelli devono essere ricercati in altre tradizioni, a cominciare da quella mediolatina in cui Dante può essersi ispirato al De consolatione philosophiae di Severino Boezio che certamente conosceva (il trattato mescolava parti in prosa a passi poetici, anche se l'argomento era filosofico e non amoroso), mentre come già detto le prose esplicative delle liriche si rifanno sicuramente alle razos della tradizione trobadorica, altrettanto nota all'autore. Il "libello" è originale anche in quanto costituisce la rielaborazione della produzione lirica degli anni precedenti e una rilettura, anche in chiave allegorica, delle vicende giovanili del poeta, fatto questo veramente unico nella letteratura amorosa del Duecento e che lascia già presagire il futuro schema della Commedia, peraltro vagamente evocato nella conclusione dell'opera. Non mancano richiami più o meno espliciti alle Scritture e ad altri testi di ispirazione religiosa, specie alle Confessioni di S. Agostino che sono state indicate come una delle fonti dell'opera, mentre lo Stilnovo è presente soprattutto attraverso la citazione a testi di Guido Guinizelli e Cavalcanti, quest'ultimo presente nel testo anche come personaggio e definito dall'autore il "primo" dei suoi amici.
La Vita nuova è opera del Medioevo e appare profondamente legata a schemi mentali e culturali della cultura duecentesca, tanto che già a metà del Trecento il Canzoniere di Petrarca è strutturato in modo molto diverso, con una serie di liriche che raccontano in modo analogo una vicenda amorosa, senza però la cornice in prosa e, soprattutto, disegnando una storia concreta priva delle complicazioni allegoriche al centro dell'operetta dantesca (► OPERA: Canzoniere). La struttura della Vita nuova sarà ripresa in parte da Lorenzo de' Medici alla fine del XV sec. nel suo Comento a 41 sonetti dedicati all'amore per Simonetta Cattaneo e poi Lucrezia Donati, anche se la somiglianza è puramente esteriore e l'ispirazione è ovviamente molto diversa, incentrata soprattutto sulla visione dell'amore in senso neoplatonico (► AUTORE: Lorenzo de' Medici). Dal Cinquecento in poi il modello petrarchesco diventerà quello dominante nella poesia lirica e il Canzoniere oscurerà completamente la Vita nuova come fonte d'ispirazione, anche nel periodo barocco in cui la commistione prosa-versi resta ai margini della produzione poetica. Gli scrittori e i critici moderni hanno concentrato il loro interesse sulla Commedia e il "libello" giovanile è stato studiato soprattutto in funzione del poema, come suo precedente nella glorificazione di Beatrice protagonista del Paradiso, e spesso dall'opera sono state tratte alcune rime isolate come lettura antologica, senza un'interpretazione complessiva del libro (resa tra l'altro assai ardua dal peso dell'allegoria e dei significati simbolici).
La Vita nuova è opera del Medioevo e appare profondamente legata a schemi mentali e culturali della cultura duecentesca, tanto che già a metà del Trecento il Canzoniere di Petrarca è strutturato in modo molto diverso, con una serie di liriche che raccontano in modo analogo una vicenda amorosa, senza però la cornice in prosa e, soprattutto, disegnando una storia concreta priva delle complicazioni allegoriche al centro dell'operetta dantesca (► OPERA: Canzoniere). La struttura della Vita nuova sarà ripresa in parte da Lorenzo de' Medici alla fine del XV sec. nel suo Comento a 41 sonetti dedicati all'amore per Simonetta Cattaneo e poi Lucrezia Donati, anche se la somiglianza è puramente esteriore e l'ispirazione è ovviamente molto diversa, incentrata soprattutto sulla visione dell'amore in senso neoplatonico (► AUTORE: Lorenzo de' Medici). Dal Cinquecento in poi il modello petrarchesco diventerà quello dominante nella poesia lirica e il Canzoniere oscurerà completamente la Vita nuova come fonte d'ispirazione, anche nel periodo barocco in cui la commistione prosa-versi resta ai margini della produzione poetica. Gli scrittori e i critici moderni hanno concentrato il loro interesse sulla Commedia e il "libello" giovanile è stato studiato soprattutto in funzione del poema, come suo precedente nella glorificazione di Beatrice protagonista del Paradiso, e spesso dall'opera sono state tratte alcune rime isolate come lettura antologica, senza un'interpretazione complessiva del libro (resa tra l'altro assai ardua dal peso dell'allegoria e dei significati simbolici).