Dante Alighieri
La celebrazione del volgare
(Convivio, I, X)
Dante giustifica agli occhi dei lettori la scelta del volgare come lingua del trattato, apparentemente meno adatto all'altezza della materia affrontata rispetto al latino ma di gran lunga preferibile per una serie di ragioni che l'autore qui e nei capp. successivi minuziosamente elenca: in sostanza il volgare è anteposto al latino per l'amore dell'autore verso la propria lingua naturale, difesa dai suoi detrattori e da chi antepone ad essa la lingua d'oc, e anche perché maggiormente adatto al commento di canzoni in volgare in quanto dotato "di dolcissima e amabilissima bellezza".
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Dante Alighieri
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Dante Alighieri
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X
Grande vuole essere la scusa, quando a così nobile convivio per le sue vivande, a così onorevole per li suoi convitati, s’appone pane di biado [1] e non di frumento; e vuole essere evidente ragione che partire faccia l’uomo da quello che per li altri è stato servato lungamente, sì come di comentare con latino. [2] E però vuole essere manifesta la ragione, che de le nuove cose lo fine non è certo; acciò che la esperienza non è mai avuta onde le cose usate e servate sono e nel processo e nel fine commisurate. Però si mosse la Ragione a comandare che l’uomo avesse diligente riguardo ad entrare nel nuovo cammino, dicendo che "ne lo statuire le nuove cose evidente ragione dee essere quella che partire ne faccia da quello che lungamente è usato". [3] Non si maravigli dunque alcuno se lunga è la digressione de la mia scusa, ma, sì come necessaria, la sua lunghezza paziente sostenga. La quale proseguendo, dico che - poi ch’è manifesto come per cessare [4] disconvenevole disordinazione e come per prontezza di liberalitade io mi mossi al volgare comento e lasciai lo latino - l’ordine de la intera scusa vuole ch’io mostri come a ciò mi mossi per lo naturale amore de la propria loquela; che è la terza e l’ultima ragione che a ciò mi mosse. Dico che lo naturale amore principalmente muove l’amatore a tre cose: l’una si è a magnificare l’amato; l’altra è ad esser geloso di quello; l’altra è a difendere lui, sì come ciascuno può vedere continuamente avvenire. E queste tre cose mi fecero prendere lui, cioè lo nostro volgare, lo qual naturalmente e accidentalmente amo e ho amato. Mossimi prima per magnificare lui. E che in ciò io lo magnifico, per questa ragione vedere si può; avvegna che per molte condizioni di grandezze le cose si possono magnificare, cioè fare grandi, e nulla fa tanto grande quanto la grandezza de la propia bontade, la quale è madre e conservatrice de l’altre grandezze; onde nulla grandezza puote avere l’uomo maggiore che quella de la virtuosa operazione, che è sua propia bontade [5], per la quale le grandezze de le vere dignitadi, de li veri onori, de le vere potenze, de le vere ricchezze, de li veri amici, de la vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono: e questa grandezza do io a questo amico [6], in quanto quello elli di bontade avea in podere e occulto, io lo fo avere in atto e palese ne la sua propria operazione, che è manifestare conceputa sentenza. Mossimi secondamente per gelosia di lui. La gelosia de l’amico fa l’uomo sollicito a lunga provedenza. Onde pensando che lo desiderio d’intendere queste canzoni, a alcuno illitterato avrebbe fatto lo comento latino transmutare in volgare, e temendo che ‘l volgare non fosse stato posto per alcuno che l’avesse laido fatto parere [7], come fece quelli che transmutò lo latino de l’Etica - ciò fu Taddeo ipocratista [8]-, providi a ponere lui, fidandomi di me di più che d’un altro. Mossimi ancora per difendere lui da molti suoi accusatori, li quali dispregiano esso e commendano li altri, massimamente quello di lingua d’oco [9], dicendo che è più bello e migliore quello che questo; partendose in ciò da la veritade. Ché per questo comento la gran bontade del volgare di sì [10] [si vedrà]; però che si vedrà la sua vertù, sì com’è per esso altissimi e novissimi concetti convenevolemente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso latino, manifestare; [la quale non si potea bene manifestare] ne le cose rimate, per le accidentali adornezze che quivi sono connesse, cioè la rima e lo ri[tim]o e lo numero regolato: sì come non si può bene manifestare la bellezza d’una donna, quando li adornamenti de l’azzimare e de le vestimenta la fanno più ammirare che essa medesima. Onde chi vuole ben giudicare d’una donna, guardi quella quando solo sua naturale bellezza si sta con lei, da tutto accidentale adornamento discompagnata: sì come sarà questo comento, nel quale si vedrà l’agevolezza de le sue sillabe, le proprietadi de le sue co[stru]zioni e le soavi orazioni che di lui si fanno; le quali chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcissima e d’amabilissima bellezza. Ma però che virtuosissimo è ne la ‘ntenzione mostrare lo difetto e la malizia de lo accusatore, dirò, a confusione di coloro che accusano la italica loquela, perché a ciò fare si muovono; e di ciò farò al presente speziale capitolo, perché più notevole sia la loro infamia. |
[1] Pane di biada, meno pregiato di quello di frumento. [2] La giustificazione è tanto più necessaria, in quanto il commento in latino deriva da lunga tradizione. [3] Dante cita una sentenza del Corpus iuris civilis [4] Schivare, evitare. [5] Poiché per molti loro aspetti le cose si possono esaltare, e nulla rende tanto grandi quanto la grandezza della propria bontà, ne segue che l'uomo non può avere grandezza maggiore di quella operazione virtuosa che è la propria bontà [6] Al volgare italiano [7] Temendo che alcuni illetterati, volendo comprendere le canzoni, traducessero in volgare il commento latino e usassero un volgare brutto [8] Taddeo d'Alderotto (1235-95), fiorentino e traduttore dell'Etica di Aristotele [9] La lingua d'oc [10] Il volgare italiano. |
Interpretazione complessiva
- La metafora del banchetto di sapienza offerto dall'autore ai suoi lettori è ripresa nella giustificazione della scelta della lingua, poiché Dante paragona il commento in volgare a "pane di biado" contrapposto a quello "di frumento" rappresentato dal commento latino, più adatto all'argomento trattato e sostenuto da una lunga tradizione: consapevole della novità proposta, lo scrittore spiega di essere stato mosso da "amore" nei confronti della propria lingua naturale, per lui adattissima ad affrontare la materia dottrinale dell'opera in quanto avente "in potenza" tutte le caratteristiche formali che, grazie alla sua abilità, verranno tradotte "in atto". Dante dichiara inoltre di temere che il commento in latino possa essere tradotto malamente in volgare da qualche lettore illetterato, per cui preferisce essere lui stesso a redigerlo in tale lingua, inoltre difende il volgare "del sì" con passione, definendolo uguale se non superiore alla lingua d'oc (allora diffusa nel nord Italia come lingua di cultura, accanto a latino e lingua d'oïl) e dotato di tutte quelle bellezze estetiche e quelle raffinatezze che si vedranno nel commento da lui prodotto alle canzoni dottrinali.
- La scelta linguistica operata da Dante nel Convivio è opposta a quella del De vulgari eloquentia, scritto negli stessi anni in latino per rivolgersi a un pubblico dotto di specialisti: nel trattato linguistico l'autore definirà un "volgare illustre" diverso da tutte le parlate d'Italia e concepito piuttosto come costruzione retorica, benché nelle sue opere in volgare (Convivio incluso) la lingua usata sia proprio quel fiorentino che nel De vulgari viene duramente criticato e quasi disprezzato (► TESTO: Definizione del volgare illustre).