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Dante Alighieri


«Guido, i' vorrei»
(Rime, 9)

In questo celebre sonetto del periodo stilnovista Dante si rivolge idealmente agli amici Guido Cavalcanti e Lapo Gianni (entrambi membri della "scuola") e manifesta il desiderio di fare un viaggio con loro su un vascello favoloso, lasciandosi trasportare dal vento e dai propri desideri, auspicando inoltre che ai tre si uniscano le rispettive donne (tra cui non è inclusa curiosamente Beatrice) per trascorrere il tempo felicemente nella gioia di stare insieme. Il testo si può ricondurre alla lirica amorosa del Dolce Stil Novo, anche se riprende in parte anche il "plazer" provenzale ed esprime, forse, un desiderio di evasione e fuga dalla realtà mercantile della società comunale, per ricercare l'idealizzazione propria dei romanzi del ciclo arturiano (il "buono incantatore" è il mago Merlino dei romanzi cortesi).

► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Dante Alighieri





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Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.
Guido, io vorrei che tu, Lapo [Gianni] ed io fossimo presi da un incantesimo e messi in un vascello che andasse in mare spinto da ogni vento, secondo i vostri e i miei desideri, cosicché né il fortunale [vento tempestoso] né altro tempo sfavorevole ci potesse fare da ostacolo, anzi, vivendo sempre nella medesima volontà, [vorrei] che crescesse il desiderio di stare insieme.



E [vorrei che] il buon mago [Merlino] mettesse insieme a noi monna Vanna, monna Lagia e quella donna che occupa il numero trenta [nella lista delle sessanta donne più belle di Firenze]:

e [vorrei che] qui noi parlassimo sempre d'amore, e ciascuna di loro fosse felice, come credo che saremmo anche noi
.


Interpretazione complessiva

  • Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, EDC (B e D sono quasi-rime, -ento/-enta). La lingua è il toscano della tradizione letteraria, con uno stile particolarmente piano e facile che riprende il trobar leu ed è conforme al linguaggio dello Stilnovo (il testo tende forse allo stile comico, anche per il carattere trasognato della situazione descritta).
  • Dante si rivolge agli amici di "scuola" stilnovista Guido Cavalcanti e Lapo Gianni immaginando che il mago Merlino della tradizione dei romanzi cortesi (nota a Dante attraverso tardi volgarizzamenti) li metta su un "vasel" pronto ad andare per mare spinto da venti favorevoli, che è certamente la nef de joie et de deport della letteratura in lingua d'oïl (forse la fonte è il Roman de Tristan o il Mare amoroso, dove si menziona una "barchetta" donata da Merlino): è un desiderio di evasione secondo lo schema del plazer provenzale, forse (come è parso ad alcuni) con una punta di insofferenza per la civiltà mercantile dei Comuni ormai in contrasto con l'ideale aristocratico perseguito dai poeti dello Stilnovo e idealizzato nei romanzi del ciclo arturiano. Alcuni manoscritti anziché "Lapo" leggono "Lippo", che potrebbe essere identificato con un altro poeta contemporaneo estraneo allo Stilnovo (l'ipotesi pare però poco probabile). Cavalcanti risponderà a Dante con il sonetto S'io fosse quelli che d'amor fu degno, in cui sostanzialmente declina l'invito in quanto distrutto dall'amore per la propria donna.
  • Il testo si divide in due parti, poiché nelle quartine Dante si augura di poter compiere il viaggio favoloso con i due amici, mentre nelle terzine spera che ai tre si uniscano le rispettive donne, ovvero Giovanna (Madonna Primavera, la donna amata da Cavalcanti), Lagia (la donna di Lapo) e quella che occupava la posizione numero trenta nella lista delle più belle donne di Firenze, di cui Dante parla nel cap. VI della Vita nuova: il testo, in forma di sirventese e purtroppo perduto, poneva Beatrice alla posizione numero nove e pertanto non sarà lei la donna citata qui da Dante, bensì, forse, la prima "donna-schermo" (► TESTO: La donna-schermo). Sintatticamente tutto il sonetto è retto dal verbo iniziale vorrei, mentre nelle terzine è presente la doppia anafora con... e..., in posizione chiastica.


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