Letteratura italiana
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Torquato Tasso


Il finale del Re Torrismondo
(Re Torrismondo, Atto V, scena VI)

La tragedia si è ormai consumata col doppio suicidio di Torrismondo e Alvida, che hanno scoperto di essere fratello e sorella e di avere commesso un incesto, tema che Tasso trae dall'«Edipo re» di Sofocle, e Germondo, l'amico del re con cui condivideva l'amore per Alvida, tenta di consolare la regina madre della perdita di entrambi i figli, anche se la donna si abbandona a un lamento disperato. La scena si conclude con il Coro che commenta in modo desolato la vanità della vita umana, in cui nulla resta da sperare circa l'amore e l'amicizia ma resta solamente il pianto e il dolore.

► PERCORSO: La Controriforma
► AUTORE: Torquato Tasso




ATTO V, SCENA VI
Regina, Cameriere, Germondo, Rosmonda, Coro






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GERMONDO
[...] S'io potessi, regina, i figli vostri [1]
con la mia morte ritornare in vita,
sì 'l farei senza indugio, e 'n altro modo
creder non posso di morir contento.
Ma, poi che legge il nega aspra e superba
di spietato destin, vivrò dolente
sol per vostro sostegno e vostro scampo.
E saran con funebre e nobil pompa
i vostri cari figli ambo rinchiusi
in un grande e marmoreo sepolcro:
perché questo è de' morti onore estremo,
benché ad invitti re, famosi in arme,
sia tomba l'universo e 'l cielo albergo.
A voi [2] dunque vivrò, regina e madre:
voi sarete regina, io vostro servo,
e vostro figlio ancor, se troppo a sdegno
voi non m'avete. A voi la spada io cingo,
per voi non gitto la corona o calco [3],
non spargo l'arme sì felici un tempo,
e non verso lo spirto e spando il sangue. [4]
Pronto a' vostri servigi, al vostro cenno,
sinché le membra reggerà quest'alma,
sarà co 'l proprio regno il re Germondo.

REGINA
Oimè, che la mia vita
è quasi giunta al fine,
ed io pur anco vivo,
perché l'amata vista
mi faccia di morire
via più bramosa
co' dolci figli,
ahi, ahi, ahi, ahi!

GERMONDO
Oimè, che non trapassi [5]. O donne, o donne,
portatela voi dentro, abbiate cura,
che 'l dolor non l'uccida, o tosco, o ferro. [6]
O mia vita non vita, o fumo, od ombra
di vera vita, o simulacro, o morte!

CORO
Ahi lacrime, ahi dolore:

passa la vita e si dilegua e fugge,
come giel che si strugge. [7]
Ogni altezza s'inchina, e sparge a terra
ogni fermo sostegno,
ogni possente regno
in pace cadde al fin, se crebbe in guerra.
E come raggio il verno, imbruna e more
gloria d'altrui splendore; [8]
e come alpestro e rapido torrente,
come acceso baleno
in notturno sereno,
come aura, o fumo, o come stral [9], repente
volan le nostre fame, ed ogni onore
sembra languido fiore. [10]
Che più si spera o che s'attende omai?
Dopo trionfo e palma [11],
sol qui restano a l'alma
lutto e lamento e lagrimosi lai. [12]
Che più giova amicizia, o giova amore?
Ahi lagrime, ahi dolore!


[1] Torrismondo e Alvida, entrambi figli della regina madre.













[2] Per voi, per il vostro sostegno.


[3] Per voi non getto via e non disprezzo la mia corona.

[4] E rinuncio a suicidarmi, a spargere il mio sangue.














[5] Ahimè, possa non morire.

[6] Fate in modo che il dolore non l'uccida, né il veleno o una spada [la regina potrebbe tentare il suicidio].





[7] Come gelo che si scioglie.




[8] E come i raggi del sole in inverno si oscurano e muoiono, così fa la gloria delle azioni umane.


[9] Come una freccia.
[10] Rapidamente vola via la nostra fama, e ogni onore sembra un fiore che appassisce.

[11] Dopo i trionfi e le vittorie.

[12] E lamenti lacrimevoli.


Interpretazione complessiva

  • Metro: versi endecasillabi sciolti nelle parole di Germondo, settenari in quelle della regina con gli ultimi tre versi quinari (l'ultimo tronco). Il Coro ha la struttura di una stanza di canzone, formata da 21 versi settenari ed endecasillabi, con schema della rima aBb, CddCAa, EffEAa, GhhGAa.
  • Il finale della scena è diviso in due parti, prima con le parole di Germondo che tenta, senza successo, di consolare la regina madre della duplice morte dei figli, dichiarando di voler continuare a regnare e di rinunciare ai propositi di suicidio pur di restarle accanto, proposito tanto più nobile in quanto Germondo, amico di Torrismondo e innamorato di Alvida, è anch'egli affranto per il loro suicidio. La regina reagisce con un lamento disperato e Germondo invita le ancelle a soccorrere la donna, prestando attenzione a che non tenti a sua volta di togliersi la vita col veleno o la spada e affermando dolorosamente che la sua stessa vita è solo un "simulacro", simile in tutto alla morte. Il Coro che chiude di fatto la tragedia è un ultimo sconsolato lamento sulla vanità della vita umana e sulla sua precarietà, poiché essa "si dilegua e fugge" e anche le più grandi glorie terrene scompaiono di fronte al mistero della morte, tema alquanto cupo che, da un lato, si collega alla tragedia del tardo XVI sec., dall'altro anticipa certe liriche mortuarie del Barocco in cui la morte è vista come presenza incombente e minacciosa sulle esistenze di chiunque. Questa amara considerazione della vita come dolore e della gloria come qualcosa di effimero a paragone dell'eternità riflette lo stato d'animo dell'autore negli ultimi anni della sua vita, così come i poemetti religiosi da lui composti negli anni novanta del Cinquecento.
  • Il tono cupo del Coro riprende alcuni passi dell'Edipo re di Sofocle, che costituisce il modello dichiarato della tragedia di Tasso, in particolare il Coro finale che, in modo analogo, commisera il triste destino del protagonista e osserva che la vita umana vale davvero poco e che la felicità illude per poco, per cui nessun mortale può dirsi davvero felice finché non supera il supremo limite della morte. Il lamento sulla vanità dell'esistenza umana contiene echi classici (soprattutto Orazio) e biblici, in particolare le parole di Qoèlet, il figlio di re Davide, in Ecclesiaste, 1.1 (Vanitas vanitatum, / dixit Ecclesiastes, / vanitas vanitatum et omnia vanitas).

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