Niccolò Machiavelli
La volpe e il leone
(Il principe, XVIII)
Nel descrivere le qualità del principe, Machiavelli si sofferma sull'astuzia e sulla capacità di usare violenza (da lui esemplificate attraverso la metafora della "volpe" e del "leone"), affermando in particolare che il sovrano non deve sentirsi obbligato a rispettare la parola data quando ciò si risolva a suo danno, proprio come gli esempi di papa Alessandro VI e di re Ferdinando il Cattolico dimostrano chiaramente. Scopo principale del monarca deve essere la sopravvivenza dello Stato e a ottenere ciò non deve farsi scrupoli di tipo morale, ma solo evitare quei comportamenti che danneggino la sua immagine pubblica e possano screditarlo agli occhi dei sudditi.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
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CAPITOLO XVIII
Quomodo fides a principibus sit servanda. [1] Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede [2] e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende; nondimanco si vede, per esperienzia ne’ nostri tempi, quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare e’ cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. Dovete, adunque, sapere come sono dua generazioni di combattere [3]: l’uno con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo è delle bestie: ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Pertanto, a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l’uomo. Questa parte è suta [4] insegnata a’ principi copertamente dagli antichi scrittori; li quali scrivono come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li custodissi. Il che non vuole dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra natura; e l’una sanza l’altra non è durabile. Sendo, dunque, uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe [5] e il lione; perché il lione non si defende da’ lacci, la golpe non si defende da’ lupi. Bisogna, adunque, essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. [6] Non può, pertanto, uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. [7] E se gli uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi, e non la osservarebbono a te, tu etiam [8] non l’hai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorire la inosservanzia. [9] Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e mostrare quante paci, quante promesse sono state fatte irrite e vane [10] per la infidelità de’ principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna, troverrà sempre chi si lascerà ingannare. Io non voglio, degli esempli freschi, tacerne uno. Alessandro VI [11] non fece mai altro, non pensò mai ad altro, che a ingannare uomini: e sempre trovò subietto da poterlo fare. E non fu mai uomo che avessi maggiore efficacia in asseverare, e con maggiori giuramenti affermassi una cosa, che la osservassi meno: nondimeno sempre li succederono gli inganni ad votum [12], perché conosceva bene questa parte del mondo. A uno principe, adunque, non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualità, ma è bene necessario parere di averle. Anzi ardirò di dire questo, che, avendole e osservandole sempre sono dannose, e parendo di averle, sono utili, come parere pietoso, fedele, umano, intero [13], religioso, ed essere; ma stare in modo edificato con l’animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario. E hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime [14] uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti della fortuna e le variazioni delle cose li comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato. Debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non gli esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità; e paia, a vederlo e udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione. E non è cosa più necessaria a parere di avere che questa ultima qualità. E gli uomini, in universali, iudicano più agli occhi che alle mani [15]; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti che abbino la maestà dello stato che li defenda; e nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio a chi reclamare, si guarda al fine. [16] Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno laudati; perché il vulgo ne va sempre preso con quello che pare, e con lo evento della cosa; e nel mondo non è se non vulgo, e li pochi non ci hanno luogo quando li assai hanno dove appoggiarsi. Alcuno principe de’ presenti tempi, quale non è bene nominare [17], non predica mai altro che pace e fede, e dell’una e dell’altra è inimicissimo; e l’una e l’altra, quando e’ l’avessi osservata, gli arebbe più volte tolto o la reputazione o lo stato. |
[1] In che misura i principi debbano mantenere la parola data. [2] Mantenere la parola, onorare gli impegni. [3] Due modi di combattere. [4] È stata. [5] Volpe (forma popolare del fiorentino). [6] Coloro che si basano solo sulla violenza, non sono politici esperti. [7] Quando il tener fede alla parola sia uno svantaggio e quando siano cessate le ragioni per cui si ha promesso. [8] Anche tu. [9] Non mancarono motivi validi per giustificare il venir meno agli impegni. [10] Sono state annullate, vanificate. [11] Papa Alessandro VI Borgia (1431-1503) fu padre di Cesare, la cui figura è stata oggetto di analisi nel cap. VII. [12] Secondo i suoi piani. [13] Leale. [14] Specialmente. [15] Giudicano piuttosto in base alle apparenze. [16] Dove non c'è un tribunale cui appellarsi, si guarda al risultato. [17] Ferdinando il Cattolico (1452-1516), re di Spagna ancora vivo quando il trattato fu scritto nel 1513. |
Interpretazione complessiva
- È questo uno dei capitoli più controversi del Principe, in cui Machiavelli affronta la delicata questione della possibilità o meno per il sovrano di comportarsi con astuzia e venir meno agli impegni sottoscritti ufficialmente: punto di partenza della sua riflessione è la possibilità di "combattere" (noi diremmo di governare) con le leggi o con la forza, cioè in modo umano o bestiale, e poiché il primo modo non sempre è sufficiente a causa della malvagità insita negli esseri umani deriva la necessità per il principe di essere metà uomo e metà bestia, cosa descritta metaforicamente dagli scrittori antichi con l'esempio del centauro Chirone che fu precettore del guerriero e re acheo Achille. Quanto alla parte bestiale, poi, questa è divisa tra "volpe" (astuzia) e "leone" (violenza), entrambe necessarie all'azione di governo poiché la volpe non si difende dai lupi, il leone non si guarda dalle trappole e dai lacci, quindi chi volesse governare unicamente con la forza sarebbe destinato a cadere (ciò sembra una condanna implicita della tirannide e della monarchia assoluta, altrove ribadita nel trattato). L'astuzia si manifesta soprattutto nella capacità di venir meno agli impegni presi e nel non mantenere la parola data, quando ciò è necessario per conservare lo Stato, e secondo Machiavelli la storia antica e moderna è piena di principi abili a sconfessare quando dichiarato con estrema disinvoltura e a "colorire la inosservanzia" con argomentazioni valide, così come è necessario saper "simulare e dissimulare" (sul punto si veda oltre). Il discorso si lega strettamente a quando affermato nel cap. XV relativamente alla necessità per il principe di comportarsi in modo non etico qualora le circostanze lo richiedano, sempre in base alla convinzione che lo Stato è un valore assoluto da preservare a ogni costo, in quanto baluardo contro il disordine e l'anarchia (► TESTO: La verità effettuale).
- Il capitolo è interessante anche perché Machiavelli ribadisce la necessità per il principe di curare la propria immagine pubblica ed evitare quei comportamenti che possano screditarlo agli occhi del popolo, idea già espressa nel cap. XV e ulteriormente sviluppata nel cap. XIX (► TESTO: L'immagine pubblica del potere): è il concetto di "simulazione" e "dissimulazione" che diverrà familiare nella trattatistica politica della Controriforma, in base al quale il sovrano non deve necessariamente avere tutte le buone qualità che ci si aspetta da lui, ma deve "parere di averle", e soprattutto deve sembrare pio e religioso in quanto ciò è utilissimo a conquistare il favore popolare, secondo quell'idea della religione come instrumentum regni espressa anche nei Discorsi (► TESTO: Religione e politica). Ciò non significa che il sovrano debba necessariamente compiere il male, ma non deve rifuggire dal compiere azioni delittuose se "necessitato" e, al contempo, badare che non gli esca mai di bocca qualcosa che contraddica le migliori qualità che normalmente ci si attende dall'uomo di governo, per cui egli deve apparire pietoso, fedele, umano, leale, religioso, ma essere pronto a fare il contrario quando la convenienza politica e la stringente necessità lo obblighi a mutare la sua azione. Machiavelli fornisce anche un esempio concreto di un simile comportamento "doppio", ovvero re Ferdinando il Cattolico di Spagna (sia pure citato in modo indiretto) che, a parole, "non predica mai altro che pace e fede", mentre nella realtà concreta "è inimicissimo" di entrambe, rappresentando la miglior dimostrazione di come simulazione e dissimulazione siano politicamente utili.
- L'autore cita quale esempio di principe che ha sempre ingannato il prossimo papa Alessandro VI Borgia, il padre naturale di Cesare la cui figura è stata ampiamente analizzata nel cap. VII e che era stato il principale artefice della fortuna e dell'ascesa politica del figlio (► TESTO: L'esempio di Cesare Borgia): il pontefice era stato elogiato anche nel cap. XI sui principati ecclesiastici ed era stato presentato come un grande papa capace di rafforzare l'edificio politico della Chiesa, ulteriormente irrobustito dalla successiva azione conquistatrice di Giulio II. I papi vengono di fatto equiparati da Machiavelli a dei sovrani temporali, essendo i capi di uno Stato vero e proprio quale era la Chiesa nel XVI sec., e ciò dimostra ancora una volta la totale separazione tra etica religiosa e politica del trattato, nonché la visione della religione come instrumentum regni che tante critiche avrebbe sortito allo scrittore.