Niccolò Machiavelli
L'immagine pubblica del potere
(Il principe, XIX)
Il capitolo vuol essere una continuazione ideale del precedente, in cui l'autore ha spiegato in che misura il principe debba non rispettare la parola data, mentre qui si sofferma su quei "vizi" che il sovrano deve assolutamente evitare per non essere odiato e disprezzato dai sudditi, dal momento che l'immagine pubblica è fondamentale a mantenere il favore popolare ed evitare così di essere vittima di congiure e intrighi. Assai utile sotto questo aspetto anche l'evitare di compiere mansioni spiacevoli che possano screditare il sovrano agli occhi del popolo e demandare ciò ai suoi ministri, proprio come avviene nella monarchia francese dove il Parlamento assolve, secondo Machiavelli, la funzione di equilibrare i poteri dei "grandi" e del popolo.
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Niccolò Machiavelli
► OPERA: Il principe
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CAPITOLO XIX
De contemptu et odio fugiendo. [1] Ma perché, circa le qualità di che di sopra [2] si fa menzione, io ho parlato delle più importanti, l’altre voglio discorrere brevemente sotto queste generalità: che il principe pensi, come di sopra in parte è detto, di fuggire quelle cose che lo faccino odioso e contennendo [3]; e qualunque volta [4] fuggirà questo, arà adempiuto le parti sua e non troverrà nelle altre infamie periculo alcuno. Odioso lo fa, sopra tutto, come io dissi, lo essere rapace e usurpatore della roba e delle donne de’ sudditi: di che si debbe astenere; e qualunque volta alle universalità degli uomini non si toglie né roba né onore, vivono contenti; e solo si ha a combattere con la ambizione di pochi, la quale in molti modi, e con facilità si raffrena. Contennendo lo fa essere tenuto vario, leggieri, [5] effeminato, pusillanime, irresoluto: da che uno principe si debbe guardare come da uno scoglio, e ingegnarsi che nelle azioni sua si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza, e, circa e’ maneggi privati [6] de’ sudditi, volere che la sua sentenzia sia irrevocabile; e si mantenga in tale opinione, che alcuno non pensi né a ingannarlo né ad aggirarlo. Quel principe che dà di sé questa opinione, è reputato assai; e contro a chi è reputato con difficultà si coniura [7], con difficultà è assaltato, purché si intenda che sia eccellente e reverito da’ suoi. Perché uno principe debbe avere dua paure: una drento [8], per conto de’ sudditi; l’altra di fuora, per conto de’ potentati esterni. Da questa si defende con le buone arme e con li buoni amici; e sempre, se arà buone arme, arà buoni amici; e sempre staranno ferme le cose, di drento, quando stieno ferme quelle di fuora, se già le non fussino perturbate da una coniura; e quando pure quelle di fuora movessino, s’egli è ordinato e vissuto come ho detto, quando non si abbandoni, sempre sosterrà ogni impeto, come io dissi che fece Nabide spartano. [9] Ma circa e’ sudditi, quando le cose di fuora non muovino, si ha a temere che non coniurino secretamente: del che il principe si assicura assai, fuggendo lo essere odiato o disprezzato, e tenendosi el populo satisfatto di lui [10]; il che è necessario conseguire, come di sopra a lungo si disse. E uno de’ più potenti rimedii che abbi uno principe contro alle coniure, è non essere odiato dallo universale [11]: perché sempre chi coniura crede, con la morte del principe satisfare al populo; ma quando creda offenderlo, non piglia animo a prendere simile partito, perché le difficultà che sono dalla parte de’ coniuranti sono infinite. E per esperienzia si vede molte essere state le coniure, e poche avere avuto buon fine; perché chi coniura non può essere solo, ne può prendere compagnia se non di quelli che creda esser mal contenti; e subito che a uno mal contento tu hai scoperto l’animo tuo, gli dai materia a contentarsi, perché manifestamente lui ne può sperare ogni commodità: talmente che, veggendo el guadagno fermo da questa parte, e dall’altra veggendolo dubio e pieno di periculo, conviene bene o che sia raro amico, o che sia, al tutto, ostinato inimico del principe, ad osservarti la fede. E per ridurre la cosa in brevi termini, dico che, dalla parte del coniurante, non è se non paura, gelosia, sospetto di pena che lo sbigottisce; ma, dalla parte del principe, è la maestà del principato, le leggi, le difese degli amici e dello stato che lo defendano: talmente che, aggiunto a tutte queste cose la benivolenzia populare, è impossibile che alcuno sia sì temerario che coniuri. Perché, per lo ordinario, dove uno coniurante ha a temere innanzi alla esecuzione del male, in questo caso debbe temere ancora poi (avendo per inimico el popolo) seguìto lo eccesso [12], né potendo per questo sperare refugio alcuno. [...] Concludo, pertanto, che uno principe debbe tenere delle coniure poco conto, quando il popolo li sia benivolo, ma, quando li sia inimico e abbilo in odio debbe temere d’ogni cosa e d’ognuno. E li stati bene ordinati e li principi savi hanno con ogni diligenzia pensato di non desperare e’ grandi [13], e di satisfare al populo e tenerlo contento; perché questa è una delle più importanti materie che abbia uno principe. Intra’ regni bene ordinati e governati, a’ tempi nostri, è quello di Francia: e in esso si trovano infinite costituzione buone [14], donde depende la libertà e sicurtà del re. Delle quali la prima è il parlamento e la sua autorità; perché quello che ordinò quel regno, conoscendo la ambizione de’ potenti e la insolenzia loro e iudicando essere loro necessario uno freno in bocca che li correggessi e, dall’altra parte, conoscendo l’odio dello universale [15] contro a’ grandi fondato in sulla paura, e volendo assicurarli, non volse che questa fussi particulare cura del re [16], per torli quel carico ch’e’ potessi avere co’ grandi favorendo e’ populari, e con li populari favorendo e’ grandi; e però costituì uno iudice terzo, che fussi quello che, sanza carico del re [17], battessi e’ grandi e favorissi e’ minori. Né possé essere questo ordine migliore né più prudente, né che sia maggiore cagione della securtà del re e del regno. Di che si può trarre un altro notabile [18]: che li principi debbano le cose di carico fare sumministrare ad altri, quelle di grazia a loro medesimi. [19] Di nuovo concludo che uno principe debbe stimare e’ grandi, ma non si fare odiare dal populo. [...] |
[1] Sulla necessità di evitare l'odio e il disprezzo. [2] Nel cap. XVIII. [3] Disprezzabile (latinismo). [4] Ogni volta. [5] Mutevole, frivolo. [6] Nei conflitti privati. [7] Difficilmente si ordisce una congiura contro chi ha buona reputazione. [8] All'interno dello Stato. [9] Esempio fatto nel cap. IX. [10] E facendo in modo che il popolo gli dia favore. [11] Dalla massa dei sudditi. [12] Dopo aver commesso il delitto. [13] Di non portare alla disperazione gli aristocratici. [14] Buone leggi. [15] Della massa dei sudditi. [16] Non volle che di questo si occupasse personalmente il re. [17] Senza farne carico al re (esonerandolo da questa incombenza). [18] Un altro fatto notevole. [19] Che i principi debbano affidare ad altri le incombenze spiacevoli, compiere essi stesse quelle onorevoli. |
Interpretazione complessiva
- Il passo è strettamente legato al cap. XVIII, dedicato alla necessità per il principe di non mantenere sempre la parola data (► TESTO: La volpe e il leone) e ne prosegue idealmente la trattazione soffermandosi su quei comportamenti che il sovrano deve assolutamente evitare per non danneggiare la propria immagine pubblica e screditarsi agli occhi dei sudditi, tra cui l'essere "rapace e usurpatore" nei confronti dei beni del popolo, il mostrarsi frivolo e irresoluto, e così via. Secondo Machiavelli, il principe che conserva una buona reputazione agli occhi dei suoi cittadini è meno esposto al rischio di subire congiure e tentativi di rovesciare il suo potere, poiché "contro a chi è reputato con difficultà si coniura", nel che si vede certamente un riflesso delle vicende recenti che hanno interessato la città di Firenze nel XVI sec., quando i Medici subirono il tentativo fallito di cospirazione ad opera di P. P. Boscoli in cui anche Machiavelli fu coinvolto pur essendo probabilmente innocente (e anche nel 1478, com'è noto, c'era stata la congiura dei Pazzi in cui era stato ucciso Giuliano, fratello di Lorenzo il Magnifico). L'autore riprende le linee del ragionamento già svolto nel cap. IX (► TESTO: Il conflitto sociale), in cui aveva condannato la monarchia assoluta e tirannica per lodare invece il principato che nasce col favore popolare, assai più solido e destinato a durare più a lungo in quanto, per Machiavelli, i pericoli principali per il sovrano possono giungere dall'esterno o dall'interno, nella forma appunto di congiure ordite dai "grandi" nei confronti dei quali chi governa deve sempre diffidare. L'attenzione dello scrittore per l'immagine pubblica del sovrano e l'importanza assegnata ad essa nella solidità del governo è una delle novità più interessanti del Principe e uno degli elementi di maggiore modernità di tutta la trattazione politica di Machiavelli.
- L'autore riconduce ancora una volta l'origine dello Stato a una sorta di compromesso e di equilibrio tra due forze sociali contrapposte, ovvero i "grandi" (la vecchia aristocrazia feudale) e il "popolo" (la ricca borghesia mercantile), tra cui il principe deve barcamenarsi senza scontentare apertamente né l'una né l'altra, con maggiore attenzione all'elemento popolare. Interessante è per lui a tal riguardo l'esempio della monarchia francese, da lui conosciuta direttamente durante i suoi viaggi diplomatici quand'era al servizio della Repubblica e già oggetto di trattazione nel Ritratto di cose di Francia, in quanto in quel Paese esiste l'istituzione del Parlamento che funge, secondo lui, da "iudice terzo" e mantiene l'equilibrio tra i grandi feudatari e il popolo, evitando al re l'odiosa incombenza di prendere provvedimenti spiacevoli per l'una o l'altra forza sociale (nella Francia del XV sec. il Parlamento era una corte regia con poteri giudiziari e legislativi, non certo un'assemblea che esprimesse la volontà popolare come sarebbe stato solo nel XIX sec. dopo la Rivoluzione). Lo scrittore definisce questo sistema politico come quello ideale, poiché il principe dovrebbe sempre demandare ai suoi ministri "le cose di carico", ovvero i provvedimenti meno accetti ai suoi sudditi, e invece occuparsi delle incombenze "di grazia", che possono cioè accrescere la sua popolarità e non danneggiare la sua immagine.
- Il capitolo si conclude con una lunga analisi della vita di alcuni imperatori romani, che furono uccisi in congiure e sembrerebbero contraddire il ragionamento dello scrittore, che invece argomenta come quei sovrani fossero vittime dei loro soldati che dovevano accontentare con continue guerre e, così facendo, finivano per scontentare il popolo che invece amava la quiete (Machiavelli si sofferma in particolare sulle figure di Marco Aurelio, Commodo, i Severi, Massimino il Trace, molti dei quali uccisi da insurrezioni militari). La disamina di Machiavelli è anche in questo caso piuttosto semplicistica e si fonda essenzialmente su fonti storiografiche della tarda antichità, con scarse conoscenze documentarie.