Letteratura italiana
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Giovanni Della Casa


L'arte della conversazione
(Il Galateo, 11)

Il capitolo è incentrato sul modo migliore di mantenere la conversazione con altre persone in occasioni pubbliche, ponendo attenzione alla scelta dell'argomento per non urtare la suscettibilità altrui, specie evitando di ridere della religione e di parlare di cose troppo tristi o, al contrario, troppo sciocche e frivole. L'autore introduce un riferimento al "Decameron", criticando ironicamente il tema di alcune novelle proposte dai novellatori della brigata.

► PERCORSO: Il Rinascimento






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Nel favellare [1] si pecca in molti e varii modi, e primieramente nella materia che si propone, la quale non vuole essere [2] frivola né vile, perciò che gli uditori non vi badano e perciò non ne hanno diletto, anzi scherniscono i ragionamenti et il ragionatore insieme. Non si dèe anco pigliar tema molto sottile né troppo isquisito, perciò che con fatica s’intende dai più. Vuolsi diligentemente guardare di far la proposta tale che niuno della brigata ne arrossisca o ne riceva onta. Né di alcuna bruttura [3] si dèe favellare, come che [4] piacevole cosa paresse ad udire, perciò che alle oneste persone non istà bene studiar di piacere altrui, se non nelle oneste cose. [5] Né contra Dio né contr’a’ Santi, né dadovero né motteggiando si dèe mai dire alcuna cosa, quantunque per altro fosse leggiadra o piacevole: il qual peccato assai sovente commise la nobile brigata del nostro messer Giovan Boccaccio ne’ suoi ragionamenti, sì che ella merita bene di esserne agramente ripresa da ogni intendente persona. E nota che il parlar di Dio gabbando [6] non solo è difetto di scelerato uomo et empio, ma egli è ancora vitio di scostumata persona, et è cosa spiacevole ad udire: e molti troverai che si fuggiranno di là dove si parli di Dio sconciamente. E non solo di Dio si convien parlare santamente, ma in ogni ragionamento dèe l’uomo schifare [7] quanto può che le parole non siano testimonio contra la vita e le opere sue, perciò che gli uomini odiano in altrui etiandio [8] i loro vitii medesimi. Simigliantemente si disdice il favellare delle cose molto contrarie al tempo et alle persone che stanno ad udire, etiandio di quelle che, per sé et a suo tempo dette, sarebbono e buone e sante. Non si raccontino adunque le prediche di frate Nastagio alle giovani donne, quando elle hanno voglia di scherzarsi, come quel buono uomo che abitò non lungi da te, vicino a San Brancatio, faceva. [9] Né a festa né a tavola si raccontino istorie maninconose [10], né di piaghe né di malattie né di morti o di pestilentie, né di altra dolorosa materia si faccia mentione o ricordo: anzi, se altri in sì fatte rammemorationi fosse caduto, si dèe per acconcio modo [11] e dolce scambiargli quella materia e mettergli per le mani più lieto e più convenevole soggetto. Quantunque, secondo che io udii già dire ad un valente uomo nostro vicino, gli uomini abbiano molte volte bisogno sì di lagrimare come di ridere: e per tal cagione egli affermava essere state da principio trovate le dolorose favole che si chiamarono tragedie, acciò che, raccontate ne’ teatri (come in quel tempo si costumava di fare), tirassero le lagrime agli occhi di coloro che avevano di ciò mestiere [12]; e così eglino, piangendo, della loro infirmità guarissero. Ma, come ciò sia, a noi non istà bene di contristare gli animi delle persone con cui favelliamo, massimamente colà dove si dimori per aver festa e sollazzo, e non per piagnere: ché, se pure alcuno è che infermi per vaghezza [13] di lagrimare, assai leggier cosa fia [14] di medicarlo con la mostarda forte, o porlo in alcun luogo al fumo. Per la qual cosa in niuna maniera si può scusare il nostro Filostrato [15] della proposta che egli fece piena di doglia e di morte a compagnia di nessuna altra cosa vaga che di letitia: conviensi adunque fuggire di favellare di cose maninconose, e più tosto tacersi. Errano parimente coloro che altro non hanno in bocca già mai che i loro bambini e la donna e la balia loro: - Il fanciullo mio mi fece ieri sera tanto ridere! - Udite:... - - Voi non vedeste mai il più dolce figliuolo di Momo mio! - - La donna mia è cotale... - - La Cecchina disse... Certo voi no ’l credereste del cervello ch’ella ha! -. Niuno è sì scioperato che possa né rispondere né badare a sì fatte sciocchezze, e viensi a noia ad ogniuno.



[1]
Nel discorrere
.
[2] Non deve essere.


[3] Di un qualche argomento sconveniente. [4] Benché.
[5] Poiché le persone perbene devono piacere agli altri solo con cose convenienti.
[6] Il parlare prendendosi gioco di Dio.

[7] Evitare.

[8] Persino.


[9] Il riferimento è a una novella del Decameron (III, 4). [10] Storie tristi, piene di malinconia.

[11] In un modo accorto.



[12] Che avevano bisogno di questo.

[13] Per desiderio. [14] Sarà cosa molto facile.
[15] Filostrato è uno dei novellatori del Decameron, che nella Quarta Giornata propone di narrare di amori infelici.



Interpretazione complessiva

  • Il passo si concentra sul modo di intrattenere una conversazione tra interlocutori di alto livello sociale, attività che richiede una certa attenzione soprattutto nella scelta degli argomenti: questi non devono essere frivoli né troppo complessi, per consentire a tutti i membri della "brigata" signorile di seguire il discorso, inoltre l'autore sconsiglia di farsi beffe di Dio o della religione, criticando in questo le scelte narrative del Decameron di Boccaccio. Il buon conversatore deve anche evitare gli argomenti spiacevoli e tristi, poiché lo scopo di un ritrovo di amici è quello di divertirsi, non di piangere, e parimenti non bisogna toccare discorsi sciocchi e vani, inclini al pettegolezzo o al motteggio (per esempio quando si raccontano i fatti delle proprie donne e dei figli, argomenti giudicati indegni di una conversazione di un certo livello). Il criterio adottato qui e altrove dall'autore sembra essere quello della "mediocrità", ovvero evitare gli eccessi in un senso e nell'altro, mentre la parte finale del passo rivela forse un atteggiamento affine alla misoginia.
  • Della Casa cita ironicamente il Decameron di Giovanni Boccaccio, anzitutto criticando le molte novelle in cui il tema religioso è oggetto di beffe e scherno, poi ricordando la "proposta" del novellatore Filostrato che nella Quarta Giornata aveva fissato come tema quello degli amori infelici, giudicato troppo triste e inadatto alla conversazione di un'allegra brigata (nel libro la scelta di Filostrato era motivata dalla sua delusione amorosa ed era stata criticata dagli altri novellatori; ► OPERA: Decameron). L'autore cita anche una novella dell'opera di Boccaccio (quella di don Felice e frate Puccio, III.4) per dire che non bisogna conversare con le giovani donne di argomenti troppo seri e gravi, come appunto faceva Puccio con la giovane moglie raccontandole "la vita di Cristo e le prediche di frate Nastagio o il lamento della Magdalena o così fatte cose", mentre il riferimento al "buono uomo che abitò non lungi da te, vicino a San Brancatio" è ironico e allude proprio al protagonista della novella del Decameron (in cui si dice che Puccio è un terziario francescano che vive vicino alla chiesa di S. Pancrazio, a Firenze, del cui territorio il Della Casa era originario). L'autore del Galateo, arcivescovo e uomo di Chiesa, non poteva certo approvare le scelte narrative e stilistiche di Boccaccio, per quanto nelle sue parole si avverta un sottile intento ironico.


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