Dante Alighieri
Il folle viaggio di Ulisse
(Inferno, XXVI, 85-142)
Tra i dannati dell'ottava bolgia dell'ottavo cerchio dell'Inferno (consiglieri fraudolenti) vi sono anche Ulisse e Diomede, i due eroi omerici condannati per aver ordito con l'abilità della parola vari inganni, tra cui soprattutto quello del cavallo di Troia narrato nel libro II dell'«Eneide». Le anime sono avvolte dalle fiamme sul fondo della bolgia e quella che ospita i due personaggi greci ha due punte, poiché essi devono scontare la pena insieme: Dante esprime il desiderio di parlare con loro e Virgilio invita Ulisse a raccontare le circostanze della propria morte, cosa che l'eroe dell'«Odissea» fa spiegando di aver spinto i compagni a navigare oltre le colonne d'Ercole, giungendo sin quasi in vista del Purgatorio, quando una tempesta scatenata dalla giustizia di Dio fece inabissare la loro nave e li uccise tutti. Dante condanna il viaggio di Ulisse in quanto "folle", poiché superando lo Stretto di Gibilterra egli ha varcato il limite posto da Dio alle conoscenze umane ed è stato giustamente punito.
► PERCORSO: La poesia religiosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
► PERCORSO: La poesia religiosa
► AUTORE: Dante Alighieri
► OPERA: Divina Commedia
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Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori, e disse: «Quando mi diparti’ da Circe, che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enea la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna. Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi, acciò che l’uom più oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. "O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente, non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte e ’l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». |
La punta più alta di quell'antica fiamma cominciò a scuotersi mormorando, come quella colpita dal vento;
quindi, volgendo la cima da una parte e dall'altra, come una lingua che parlasse, gettò fuori la voce e disse: «Quando mi allontanai da Circe, che mi tenne più di un anno là vicino a Gaeta, prima che Enea desse questo nome al promontorio, né la tenerezza per mio figlio, né la devozione per il mio vecchio padre, né il legittimo amore che doveva fare felice Penelope poterono vincere in me il desiderio che ebbi di diventare esperto del mondo, dei vizi e delle virtù degli uomini; ma mi misi in viaggio in alto mare solo con una nave e con quei pochi compagni dai quali non fui abbandonato. Vidi entrambe le sponde del Mediterraneo fino alla Spagna, al Marocco e alla Sardegna, e alle altre isole bagnate da quel mare. Io e i miei compagni eravamo vecchi e deboli quando giungemmo a quello stretto [di Gibilterra] dove Ercole pose le colonne, limite oltre il quale l'uomo non deve procedere: a destra avevamo Siviglia, a sinistra Ceuta. Dissi: "O fratelli, che siete giunti all'estremo ovest attraverso centomila pericoli, non vogliate negare a questa piccola veglia che rimane ai vostri sensi [ai vostri ultimi anni] l'esperienza del mondo disabitato, seguendo la rotta verso occidente. Pensate alla vostra origine: non siete stati creati per vivere come bestie, ma per seguire la virtù e la conoscenza". Con questo breve discorso resi i miei compagni così smaniosi di mettersi in viaggio, che in seguito avrei stentato a trattenerli; e volta la poppa a est, facemmo dei remi le ali al nostro folle volo, sempre proseguendo verso sud-ovest [a sinistra]. La notte ormai mostrava tutte le costellazioni del polo australe, mentre quello boreale era tanto basso che non emergeva dalla linea dell'orizzonte. La luce dell'emisfero lunare a noi visibile si era già spenta e riaccesa cinque volte [erano passati circa cinque mesi], dopo che avevamo intrapreso il viaggio, quando ci apparve una montagna [il Purgatorio] scura per la lontananza, e mi sembrò più alta di qualunque altra io avessi mai vista. Noi ci rallegrammo, ma l'allegria si tramutò presto in pianto: infatti da quella nuova terra nacque una tempesta che colpì la nave a prua. La fece girare su se stessa tre volte, in un vortice; la quarta volta fece levare in alto la poppa e fece inabissare la prua, come piacque ad altri [Dio], finché il mare si fu richiuso sopra di noi». |
Interpretazione complessiva
- L'episodio della morte di Ulisse è estraneo alla tradizione omerica, poiché nell'Odissea si dice solo che l'eroe è destinato a compiere ulteriori viaggi dopo essere tornato a Itaca, fino a giungere presso popoli che non conoscono i remi e i viaggi per mare (XXIII, 269 ss.) e solo allora potrà tornare in patria e attendere la morte per vecchiaia. Dante si è probabilmente ispirato a un rimaneggiamento tardo del poema (che nella lingua originale gli era ignoto) non giunto sino a noi, nel quale forse l'eroe moriva in mare a causa di una tempesta.
- Nella rielaborazione di Dante le colonne d'Ercole costituiscono il limite estremo delle terre esplorabili per l'uomo e al contempo il confine della conoscenza umana che non può essere varcato dall'intelletto: il viaggio di Ulisse è "folle" in quanto l'eroe tenta di esplorare l'Oceano che invade l'emisfero sud della terra (che al tempo di Dante si credeva disabitato), giungendo in vista del monte del Purgatorio dove nessuno può giungere quand'è ancora in vita, per cui la tempesta è il castigo divino che colpisce la superbia del viaggiatore che ha osato avventurarsi là dove non doveva. Nella mentalità medievale dell'autore l'intelletto umano non può conoscere tutto e deve rinunciare a esplorare argomenti riservati alla rivelazione divina, dunque il viaggio di Ulisse indica metaforicamente il tentativo di giungere alla vera conoscenza solo attraverso la ragione e non attenendosi alla fede.
- Dante descrive Ulisse come maestro di inganni e non certo quale "eroe della conoscenza" come erroneamente è parso a tanti studiosi moderni, in quanto l'eroe omerico usa la sua abilità dialettica per imbrogliare i compagni e spingerli a esplorare un mondo che egli sa benissimo essere "sanza gente", dove quindi è impossibile diventare esperti "de li vizi umani e del valore". Il suo discorso è un piccolo capolavoro di retorica finalizzata a compiere un inganno, che infatti egli pagherà con la morte insieme ai suoi uomini e che in quanto tale è condannato, non certo esaltato dallo scrittore medievale.
- La rotta seguita dalla nave di Ulisse dopo aver varcato lo Stretto di Gibilterra procede verso sud-ovest e compie pressappoco lo stesso percorso che due secoli dopo sarà fatto dalle navi di Cristoforo Colombo in occasione della prima spedizione verso il Nuovo Mondo (il viaggio di Ulisse dura circa cinque mesi e si conclude in vista dell'isola del Purgatorio, che secondo Dante sorge al centro dell'emisfero australe invaso dalle acque). Il poeta considera la terra di forma sferica e non nega la possibilità di navigare il mare a ovest dell'Europa, anche se ovviamente non crede nella possibilità che lì vi siano terre abitate da uomini. Alla fine del XV sec. Luigi Pulci nel Morgante affermerà, prima del viaggio di Colombo, che non solo quel mare è navigabile ma che nell'altro emisfero vi sono terre abitate da popoli dotati di una loro civiltà autonoma (► TESTO: Le colonne d'Ercole).