Francesco Petrarca
«Ne la stagion che 'l ciel rapido inchina»
(Canzoniere, 50)
Composta nel 1337 nell'imminenza del decimo anniversario del primo incontro con Laura, questa canzone descrive l'arrivo della sera e delle tenebre della notte come un momento di sollievo e riposo dalle fatiche per tutti, ma non per il poeta che continua a soffrire per il suo amore non corrisposto dalla propria donna. Il raffronto è ripetuto col il medesimo schema in tutte le stanze del componimento e una possibile fonte è senza dubbio la canzone "Io son venuto al punto de la rota" di Dante, che fa parte delle "Petrose" e presenta lo stesso numero di strofe (inoltre anche quell'amore era infelice e provocava sofferenza al poeta).
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
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Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina
verso occidente, et che ’l dí nostro vola a gente che di là forse l’aspetta, veggendosi in lontan paese sola, la stancha vecchiarella pellegrina raddoppia i passi, et piú et piú s’affretta; et poi cosí soletta al fin di sua giornata talora è consolata d’alcun breve riposo, ov’ella oblia la noia e ’l mal de la passata via. Ma, lasso, ogni dolor che ’l dí m’adduce cresce qualor s’invia per partirsi da noi l’eterna luce. Come ’l sol volge le ’nfiammate rote per dar luogo a la notte, onde discende dagli altissimi monti maggior l’ombra, l’avaro zappador l’arme riprende, et con parole et con alpestri note ogni gravezza del suo petto sgombra; et poi la mensa ingombra di povere vivande, simili a quelle ghiande, le qua’ fuggendo tutto ’l mondo honora. Ma chi vuol si rallegri ad ora ad ora, ch’i’ pur non ebbi anchor, non dirò lieta, ma riposata un’hora, né per volger di ciel né di pianeta. Quando vede ’l pastor calare i raggi del gran pianeta al nido ov’egli alberga, e ’nbrunir le contrade d’orïente, drizzasi in piedi, et co l’usata verga, lassando l’erba et le fontane e i faggi, move la schiera sua soavemente; poi lontan da la gente o casetta o spelunca di verdi frondi ingiuncha: ivi senza pensier’ s’adagia et dorme. Ahi crudo Amor, ma tu allor piú mi ’nforme a seguir d’una fera che mi strugge, la voce e i passi et l’orme, et lei non stringi che s’appiatta et fugge. E i naviganti in qualche chiusa valle gettan le membra, poi che ’l sol s’asconde, sul duro legno, et sotto a l’aspre gonne. Ma io, perché s’attuffi in mezzo l’onde, et lasci Hispagna dietro a le sue spalle, et Granata et Marroccho et le Colonne, et gli uomini et le donne e ’l mondo et gli animali aquetino i lor mali, fine non pongo al mio obstinato affanno; et duolmi ch’ogni giorno arroge al danno, ch’i’ son già pur crescendo in questa voglia ben presso al decim’anno, né poss’indovinar chi me ne scioglia. Et perché un poco nel parlar mi sfogo, veggio la sera i buoi tornare sciolti da le campagne et da’ solcati colli: i miei sospiri a me perché non tolti quando che sia? perché no ’l grave giogo? perché dí et notte gli occhi miei son molli? Misero me, che volli quando primier sí fiso gli tenni nel bel viso per iscolpirlo imaginando in parte onde mai né per forza né per arte mosso sarà, fin ch’i’ sia dato in preda a chi tutto diparte! Né so ben ancho che di lei mi creda. Canzon, se l’esser meco dal matino a la sera t’à fatto di mia schiera, tu non vorrai mostrarti in ciascun loco; et d’altrui loda curerai sí poco, ch’assai ti fia pensar di poggio in poggio come m’à concio ’l foco di questa viva petra, ov’io m’appoggio. |
Nell'ora in cui il sole tramonta veloce verso occidente e in cui il giorno del nostro emisfero vola verso popoli che forse dall'altra parte lo attendono, la vecchia pellegrina stanca cammina più svelta e si affretta sempre di più; e poi tutta sola, alla fine della sua giornata, talvolta si consola con un breve riposo, con cui dimentica il fastidio e la sofferenza del cammino affrontato. Ma ogni dolore che il giorno mi procura , ahimè, aumenta quando la luce del sole si allontana dal nostro mondo.
Non appena il sole muove le ruote fiammeggiante per lasciare posto alla notte, per cui dai molti più alti l'ombra viene proiettata più lunga, l'avido contadino raccoglie gli attrezzi, poi con parole e con canti agresti scaccia dal suo cuore ogni pensiero triste; quindi riempie la sua tavola di cibi poveri, simili a quelle ghiande che tutto il mondo loda, anche se le evita. Ma chi può si rallegri di quando in quando, dal momento che io non ho ancora trascorso neppure un'ora di riposo, non dico di allegria, né per il passare del tempo né delle stagioni. Quando il pastore vede calare i raggi del grande astro [il sole] verso il nido dove esso dimora, e vede oscurarsi i luoghi a oriente, si alza in piedi e con il consueto bastone muove con dolcezza il suo gregge, lasciando l'erba, le fonti e i gatti; poi, lontano da tutti, sparge con verde fogliame una casetta o una grotta: qui si stende e dorme senza pensieri. Ahimè, Amore crudele, proprio allora tu mi spingi a inseguire la voce e i passi e le orme di una belva [Laura] che mi distrugge, invece non catturi lei che si nasconde e fugge [da me]. E i marinai in qualche insenatura di mare si distendono sul duro ponte [della nave] e sotto i loro ruvidi panni, quando il sole tramonta. Invece io, anche se [il sole] si tuffa tra le onde e lascia dietro le sue spalle la Spagna, Granata, il Marocco e le Colonne d'Ercole [va verso occidente], e anche se gli uomini, le donne, il mondo e gli animali placano i loro affanni, non pongo fine al mio ostinato affanno; e mi dolgo perché ogni giorno aggiunge qualcosa al danno, poiché io vado crescendo in questo amore da quasi dieci anni, né posso indovinare chi riuscirà a liberarmene. E poiché mi sfogo un po' parlando, vedo la sera che i buoi tornano liberi dal giogo dalle campagne e dai colli arati: invece perché i miei sospiri non vengono tolti a me una buona volta? perché non mi viene tolto il grave giogo? perché i miei occhi sono bagnati [di pianto] giorno e notte? Povero me, che pensiero fu il mio quando per la prima volta tenni gli occhi così fissi nel bel viso [di Laura] per scolpirlo con l'immaginazione in un luogo [il mio cuore] da dove mai, né con la forza né con l'inganno, verrà rimosso, fino a quando io non sarò dato in preda a colei [la morte] che scioglie tutto! E non so neppure cosa pensare di lei [della morte, se mi toglierà il pensiero di Laura]. Canzone, se il fatto di stare con me dal mattino alla sera ti ha fatto diventare come sono [triste e misero], tu non vorrai mostrarti da nessuna parte; e ti curerai poco delle lodi altrui, al punto che ti basterà andare di monte in monte pensando come mi ha ridotto il fuoco di questa viva pietra [Laura], che è il sostegno della mia vita. |
Interpretazione complessiva
- Metro: canzone formata da cinque stanze di quattordici versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima ABCBACcddEEFeF e un congedo di otto versi il cui schema riprende la sirma (cddEEFeF). La lingua presenta numerosi latinismi, tra cui "et" (v. 2 e altrove), "stancha" (v. 5, di tipo grafico), "anchor" (v. 26, grafico), "hora" (v. 27), "ingiuncha" (v. 37, grafico), "obstinato" (v. 52). Anafora di "e(t)" ai vv. 42, 47-50, 53, che conferisce un ritmo incalzante alla descrizione del rapido tramontare del sole, e di "perché" ai vv. 60-62, con identico effetto (l'incalzare delle domande retoriche dell'autore).
- L'intero componimento si regge sulla similitudine apparente tra una serie di personaggi ideali (la vecchia pellegrina, il contadino, il pastore, i marinai, i buoi liberati dal giogo) che alla fine della giornata trovano sollievo dalle loro fatiche, e il poeta che invece al tramonto non trova pace perché sempre in pena a causa del suo amore infelice: ogni stanza è costruita in modo analogo, con una prima descrizione riguardante il personaggio in questione e poi un'avversativa che introduce la condizione opposta di Petrarca ("Ma, lasso...", v. 12; "Ma, chi vuol...", v. 25; "ma tu allor", v. 39; "Ma io...", v. 46), tranne la quinta stanza in cui il paragone è introdotto dalla interrogativa ("perché...", vv. 60 ss.). La prima immagine della "stancha vecchiarella pellegrina" riprende in parte quella del "vecchierel" del sonetto 16, con cui ha in comune il pellegrinaggio in terra straniera e la fatica del cammino, secondo un motivo diffuso nella letteratura medievale (► TESTO: Movesi il vecchierel canuto et biancho) e sarà ripresa a sua volta da Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, testo in cui verranno rielaborati altri elementi di questa canzone (► VAI AL TESTO).
- La figura dell' "avaro zappador" che alla fine della giornata di lavoro imbandisce la sua tavola con "povere vivande" riprende forse Virgilio quando descrive il vecchio di Corico (Georg., IV, 133: dapibus mensas onerabat inemptis, "riempiva la tavola con cibi non comperati") e tratteggia in modo ideale la vita povera e "sana" dell'agricoltore, con riferimento alle "ghiande" che erano il cibo della mitica età dell'oro quando gli uomini vivevano felicemente (l'autore osserva in tono polemico che il mondo "honora" tale cibo, ma lo rifugge). Entrambi i passi, quello virgiliano e quello petrarchesco, saranno ripresi da Tasso nella Gerusalemme liberata, VII con la rappresentazione del pastore che accoglie Erminia (► TESTO: Erminia tra i pastori).
- Virgilio è citato indirettamente da Petrarca anche nei vv. 16-17, quando la descrizione delle ombre che calano più lunghe dai monti al tramonto si rifà a Eglogae, I, 84 (maioresque cadunt altis de montibus umbrae); invece i vv. 46-49, in cui viene presentato il sole che tramonta e si lascia alle spalle gli elementi geografici dell'occidente, richiamano Dante, Inf., XXVI, in cui Ulisse racconta il suo "folle viaggio" nell'Oceano oltre le Colonne d'Ercole facendo rotta verso ovest (vv. 103-104: "L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, / fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi"; ► TESTO: Il folle viaggio di Ulisse).
- Laura non è la protagonista della canzone, tuttavia la donna è evocata in più passi richiamando la sua crudeltà, ad es. nei vv. 39-42 in cui è paragonata a una "fera" vanamente inseguita da Petrarca che non riesce a catturarla (anche nella canzone 126 è definita "fera bella et mansueta"; ► TESTO: Chiare, fresche et dolci acque), mentre nei vv. 63-70 l'autore afferma di aver fissato con lo sguardo il volto di Laura e di averlo scolpito nella memoria da dove non potrà essere portato via, riprendendo un motivo tipico della lirica duecentesca (cfr. ad es. Giacomo da Lentini; ► TESTO: Meravigliosamente); Laura viene infine paragonata a una "viva petra" nel v. finale, con riferimento forse alla canzone Io son venuto al punto della rota delle "Petrose" di Dante. Al v. 55 Petrarca afferma che l'amore per la donna lo consuma da quasi dieci anni, dal che si deduce che la composizione di questo testo risale forse al 1337.