Torquato Tasso
L'amore di Rinaldo e Armida
(Gerusalemme Liberata, XVI, 17-35)
Grazie alle preziose indicazioni del mago di Ascalona e all'ausilio dello scudo fatato, Carlo e Ubaldo si sono introdotti nel giardino di Armida sulle Isole Fortunate e hanno superato le lusinghe e gli ostacoli disseminati dall'incantatrice lungo il percorso, giungendo infine nel luogo dove si consuma l'amore peccaminoso tra la donna e Rinaldo: il giovane è completamente soggiogato dalla maga e trasformato da lei in uno schiavo d'amore, costretto persino a reggerle lo specchio mentre è intenta ad agghindarsi. Quando Armida si allontana i due guerrieri crociati si presentano a Rinaldo e lo scuotono dal suo torpore, mostrandogli il suo aspetto effeminato e lascivo nello scudo magico (usato come uno specchio) e rimproverandolo per aver abbandonato i suoi doveri di guerriero lasciandosi andare al piacere dell'amore sensuale. La scena, perfettamente costruita dall'autore, si basa su questo contrasto tra la potente seduzione erotica della maga e il richiamo ai doveri militari e religiosi, che avranno la meglio sulle lusinghe infernali dell'incantatrice innamoratasi di Rinaldo.
► PERCORSO: La Controriforma
► AUTORE: Torquato Tasso
► OPERA: Gerusalemme liberata
► PERCORSO: La Controriforma
► AUTORE: Torquato Tasso
► OPERA: Gerusalemme liberata
17
Fra melodia sí tenera, fra tante vaghezze allettatrici e lusinghiere, va quella coppia, e rigida e costante se stessa indura a i vezzi del piacere. Ecco tra fronde e fronde il guardo inante penetra e vede, o pargli di vedere, vede pur certo il vago e la diletta, ch’egli è in grembo a la donna, essa a l’erbetta. 18 Ella dinanzi al petto ha il vel diviso, e ‘l crin sparge incomposto al vento estivo; langue per vezzo, e ‘l suo infiammato viso fan biancheggiando i bei sudor piú vivo: qual raggio in onda, le scintilla un riso ne gli umidi occhi tremulo e lascivo. Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle le posa il capo, e ‘l volto al volto attolle, 19 e i famelici sguardi avidamente in lei pascendo si consuma e strugge. S’inchina, e i dolci baci ella sovente liba or da gli occhi e da le labra or sugge, ed in quel punto ei sospirar si sente profondo sí che pensi: "Or l’alma fugge e ‘n lei trapassa peregrina." Ascosi mirano i due guerrier gli atti amorosi. 20 Dal fianco de l’amante (estranio arnese) un cristallo pendea lucido e netto. Sorse, e quel fra le mani a lui sospese a i misteri d’Amor ministro eletto. Con luci ella ridenti, ei con accese, mirano in vari oggetti un solo oggetto: ella del vetro a sé fa specchio, ed egli gli occhi di lei sereni a sé fa spegli. 21 L’uno di servitú, l’altra d’impero si gloria, ella in se stessa ed egli in lei. «Volgi,» dicea «deh volgi» il cavaliero «a me quegli occhi onde beata bèi, ché son, se tu no ‘l sai, ritratto vero de le bellezze tue gli incendi miei; la forma lor, la meraviglia a pieno piú che il cristallo tuo mostra il mio seno. 22 Deh! poi che sdegni me, com’egli è vago mirar tu almen potessi il proprio volto; ché il guardo tuo, ch’altrove non è pago, gioirebbe felice in sé rivolto. Non può specchio ritrar sí dolce imago, né in picciol vetro è un paradiso accolto: specchio t’è degno il cielo, e ne le stelle puoi riguardar le tue sembianze belle.» 23 Ride Armida a quel dir, ma non che cesse dal vagheggiarsi e da’ suoi bei lavori. Poi che intrecciò le chiome e che ripresse con ordin vago i lor lascivi errori, torse in anella i crin minuti e in esse, quasi smalto su l’or, cosparse i fiori; e nel bel sen le peregrine rose giunse a i nativi gigli, e ‘l vel compose. 24 Né ‘l superbo pavon sí vago in mostra spiega la pompa de l’occhiute piume, né l’iride sí bella indora e inostra il curvo grembo e rugiadoso al lume. Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra che né pur nuda ha di lasciar costume. Diè corpo a chi non l’ebbe, e quando il fece tempre mischiò ch’altrui mescer non lece. 25 Teneri sdegni, e placide e tranquille repulse, e cari vezzi, e liete paci, sorrise parolette, e dolci stille di pianto, e sospir tronchi, e molli baci: fuse tai cose tutte, e poscia unille ed al foco temprò di lente faci, e ne formò quel sí mirabil cinto di ch’ella aveva il bel fianco succinto. 26 Fine alfin posto al vagheggiar, richiede a lui commiato, e ‘l bacia e si diparte. Ella per uso il dí n’esce e rivede gli affari suoi, le sue magiche carte. Egli riman, ch’a lui non si concede por orma o trar momento in altra parte, e tra le fère spazia e tra le piante, se non quanto è con lei, romito amante. 27 Ma quando l’ombra co i silenzi amici rappella a i furti lor gli amanti accorti traggono le notturne ore felici sotto un tetto medesmo entro a quegli orti. Ma poi che vòlta a piú severi uffici lasciò Armida il giardino e i suoi diporti, i duo, che tra i cespugli eran celati, scoprirsi a lui pomposamente armati. 28 Qual feroce destrier ch’al faticoso onor de l’arme vincitor sia tolto, e lascivo marito in vil riposo fra gli armenti e ne’ paschi erri disciolto, se ‘l desta o suon di tromba o luminoso acciar, colà tosto annitrendo è vòlto, già già brama l’arringo e, l’uom su ‘l dorso portando, urtato riurtar nel corso; 29 tal si fece il garzon, quando repente de l’arme il lampo gli occhi suoi percosse. Quel sí guerrier, quel sí feroce ardente suo spirto a quel fulgor tutto si scosse, benché tra gli agi morbidi languente, e tra i piaceri ebro e sopito ei fosse. Intanto Ubaldo oltra ne viene, e ‘l terso adamantino scudo ha in lui converso. 30 Egli al lucido scudo il guardo gira, onde si specchia in lui qual siasi e quanto con delicato culto adorno; spira tutto odori e lascivie il crine e ‘l manto, e ‘l ferro, il ferro aver, non ch’altro, mira dal troppo lusso effeminato a canto: guernito è sí ch’inutile ornamento sembra, non militar fero instrumento. 31 Qual uom da cupo e grave sonno oppresso dopo vaneggiar lungo in sé riviene, tal ei tornò nel rimirar se stesso, ma se stesso mirar già non sostiene; giú cade il guardo, e timido e dimesso, guardando a terra, la vergogna il tiene. Si chiuderebbe e sotto il mare e dentro il foco per celarsi, e giú nel centro. 32 Ubaldo incominciò parlando allora: «Va l’Asia tutta e va l’Europa in guerra: chiunque e pregio brama e Cristo adora travaglia in arme or ne la siria terra. Te solo, o figlio di Bertoldo, fuora del mondo, in ozio, un breve angolo serra; te sol de l’universo il moto nulla move, egregio campion d’una fanciulla. 33 Qual sonno o qual letargo ha sí sopita la tua virtute? o qual viltà l’alletta? Su su; te il campo e te Goffredo invita, te la fortuna e la vittoria aspetta. Vieni, o fatal guerriero, e sia fornita la ben comincia impresa; e l’empia setta, che già crollasti, a terra estinta cada sotto l’inevitabile tua spada.» 34 Tacque, e ‘l nobil garzon restò per poco spazio confuso e senza moto e voce. Ma poi che diè vergogna a sdegno loco, sdegno guerrier de la ragion feroce, e ch’al rossor del volto un novo foco successe, che piú avampa e che piú coce, squarciossi i vani fregi e quelle indegne pompe, di servitú misera insegne; 35 ed affrettò il partire, e de la torta confusione uscí del labirinto. [...] |
Fra una melodia così tenera, tra tante bellezze che lusingano e allettano, quella coppia [Carlo e Ubaldo] procede e si rende insensibile ai richiami del piacere, con atteggiamento duro e costante. Ed ecco che lo sguardo penetra tra le fronde del giardino e vede, o almeno gli sembra, vede certamente l'amante e la sua donna [Rinaldo e Armida], ed egli [poggia la testa] in grembo a lei e lei è seduta sull'erba. Lei ha il velo aperto davanti al petto e sparge i capelli sciolti al venticello estivo; langue per gioco e i bei sudori rendono biancheggiando più vivo il suo viso arrossato: nei suoi occhi umidi scintilla un sorriso tremulo e lascivo, come un raggio nell'onda del mare. Pende sopra di lui; e lui le posa il capo sul molle grembo, e solleva il suo volto al volto di lei, e nutrendo avidamente i suoi sguardi famelici in lei, si consuma e si strugge. Lei si china e spesso assapora i dolci baci dagli occhi e li sugge dalle labbra, e in quel momento si sente lui che sospira così profondamente che penseresti: "Ora la sua anima fugge e si trasfonde in lei come una pellegrina". I due guerrieri, nascosti, osservano gli atti amorosi. Dal fianco di Rinaldo, attrezzo assai strano, pendeva uno specchio lucido e pulito. Lei si alzò e mise quello specchio nelle mani di lui, scelto quale ministro ai misteri d'amore. Lei con occhi sorridenti, lui con occhi accesi, osservano in vari oggetti un oggetto solo: lei si specchia nel vetro, e lui si specchia negli occhi sereni di lei. Uno si vanta della propria schiavitù, l'altra della sua signoria, lei di se stessa e lui di lei. Il cavaliere diceva: «Orsù, rivolgi a me quegli occhi con i quali tu, felice, rendi felici, poiché la mia passione (se non lo sai) è il vero specchio della tua bellezza; il mio petto mostra pienamente la sua forma e la sua meraviglia, più dello specchio. Orsù! Visto che sdegni me, almeno tu potessi ammirare com'è bello il tuo volto; infatti il tuo sguardo, che non si appaga altrove, gioirebbe felice rivolto in se stesso. Uno specchio non può ritrarre una così dolce immagine, né un paradiso può essere accolto da un piccolo cristallo: il cielo è uno specchio degno di te e nelle stelle puoi ammirare le tue belle sembianze». Armida sorride a quelle parole, ma non per questo smette di farsi bella e di agghindarsi. Dopo aver intrecciato i capelli e aver ricomposto in bell'ordine le chiome capricciose, attorcigliò in anelli i riccioli più sottili e mise su di essi dei fiori, come smalto sull'oro; e aggiunse in seno le rose estranee [per il colore] ai gigli nativi [al colore bianco della pelle] e ricompose il velo. Il superbo pavone non spiega così bello la magnificenza delle piume occhiute [della coda] per farne sfoggio, né l'arcobaleno indora e imporpora il suo arco stillante di pioggia in modo altrettanto piacevole. Tuttavia Armida mostra, bello più di ogni altro ornamento, il cinto che non è solita lasciare neppure quando è nuda. Fece corporee cose impalpabili e, quando lo creò, mescolò elementi che ad altri non è possibile mescolare. Teneri sdegni, pacati e tranquilli rifiuti, cari vezzi e liete riconciliazioni, parole sorridenti, dolci lacrime, sospiri tronchi e morbidi baci: fuse insieme tutte queste cose e poi le unì e le temprò a fuoco lento sulla brace, e ne formò quel mirabile cinto con cui ornava il suo bel fianco. Quando infine ebbero finito di amoreggiare, lei si accomiata da lui e lo bacia e si allontana. Lei è solita durante il giorno uscire dal giardino e rivedere i suoi affari, le sue carte magiche. Egli resta lì, poiché non gli è concesso porre il piede o passare un momento altrove, e quando non è con lei passeggia tra le fiere e le piante, amante solitario. Quando invece l'ombra con i silenzi complici richiama ai loro amori furtivi gli amanti accorti, essi trascorrono le felici ore notturne sotto lo stesso tetto, in quel giardino. Ma dopo che Armida, rivolta a occupazioni più severe, lasciò il giardino e le sue delizie, i due [Carlo e Ubaldo] che erano nascosti tra i cespugli, si mostrarono a Rinaldo armati di tutto punto. Come un feroce destriero, che sia sottratto da vincitore al faticoso onore delle armi [dai campi di battaglia] e vaghi libero in un vile riposo tra le mandrie e nei pascoli, dedito ad accoppiarsi [come cavallo da monta], se lo desta un suono di tromba militare o il lampo delle armi, corre subito là nitrendo e brama lo scontro, e, portando un cavaliere in groppa, vuole urtare a sua volta dopo essere stato urtato nella battaglia; così divenne il giovane [Rinaldo] quando all'improvviso il lampeggiare delle armi colpì i suoi occhi. Quel guerriero così valido, quel suo spirito così feroce e ardente si scosse tutto a quel fulgore, anche se languiva tra le dolci comodità, e benché fosse inebriato e assopito tra i piaceri. Intanto Ubaldo si avvicina e ha rivolto verso di lui il lucido scudo di diamante. Egli rivolge lo sguardo allo scudo, per cui si specchia in esso [e vede] com'è diventato e quanto è agghindato in modo delicato; i suoi capelli e la veste spirano profumi e lascivia e vede che al fianco ha la spada, solo la spada, resa effeminata dal troppo lusso: essa è decorata in modo tale che sembra un inutile ornamento, non un fiero strumento militare. Come un uomo oppresso da un cupo e pesante sonno ritorna in sé dopo un lungo vaneggiamento, così divenne lui nel guardare se stesso, ma ormai non tollera di guardarsi; lo sguardo cade giù e, timoroso e umile, mentre guarda a terra, la vergogna lo induce a fissare lì. Si chiuderebbe in fondo al mare e dentro il fuoco, nonché al centro della terra, per nascondersi. Ubaldo allora cominciò a dire: «Tutta l'Asia [la Palestina] e l'Europa vanno in guerra: chiunque desidera la gloria e adora Cristo ora combatte in armi nella terra di Siria. Tu solo, o figlio di Bertoldo, sei tenuto fuori del mondo, in ozio, da un breve angolo di terra; tu solo, egregio campione di una fanciulla, non sei smosso per nulla dallo sconvolgimento universale [della Crociata]. Quale sonno o quale letargo hanno assopito così il tuo valore? O quale viltà la alletta? Su, su; il campo di battaglia e Goffredo ti chiamano, la fortuna e la vittoria ti aspettano. Vieni, o guerriero del destino, e sia conclusa l'impresa bene iniziata; e la malvagia setta [l'Islam], a cui già hai dato dei colpi, cada a terra estinta sotto la tua spada ineluttabile». Ubaldo tacque e il giovane nobile restò per poco tempo confuso, immobile e silenzioso. Ma quando la vergogna lasciò il posto allo sdegno, allo sdegno guerriero proprio della ragione feroce, e quando al rossore di vergogna del volto si sostituì un nuovo fuoco, che avvampa e scalda di più [quello della rabbia], si strappò i vani ornamenti e quelle indegne decorazioni, simboli di una misera schiavitù; e si affrettò ad andarsene, e uscì dalla contorta confusione del labirinto. |
Interpretazione complessiva
- Nella prima parte del brano i protagonisti sono Rinaldo e Armida, rappresentati in una scena di forte connotazione erotica che imita volutamente altri personaggi della tradizione classica (a cominciare da Venere e Marte nel De rerum natura di Lucrezio): significativa è la posizione fisica dei due amanti, con il giovane che posa il capo sul grembo di lei e le è quindi sottomesso, proprio come il dio della guerra lo era alla dea dell'amore nella descrizione classica, anche se qui ovviamente la cosa è condannata dall'autore. Armida è descritta come una superba seduttrice, che usa con sapienza tutte le armi del fascino femminile per tenere avvinto a sé il guerriero, sia facendo sfoggio della sua bellezza (il velo è aperto e lascia intravedere il petto, i capelli sono scompigliati dal vento, la donna "langue per vezzo", mentre il volto arrossato dopo l'amore è reso "più vivo" dal sudore bianco che lo imperla), sia mescolando abilmente atteggiamenti svenevoli con una certa noncuranza verso l'amante, che ottiene l'effetto di sollecitarne ancor di più il desiderio. Non è un caso, inoltre, che "gli atti amorosi" siano spiati da Carlo e Ubaldo nascosti dietro i cespugli, il cui punto di vista è esterno alla scena e coincide con la condanna morale della relazione, che infatti i due sono venuti a interrompere.
- Rinaldo è presentato come un autentico "schiavo d'amore" di Armida, vittima di un incantesimo che lo tiene soggiogato e del tutto privo di volontà propria: il giovane non indossa l'armatura ma "vani fregi" che lo rendono effeminato, i capelli e la veste sono profumati, la spada che ha al fianco sembra un oggetto di decoro più che uno strumento militare; quando la maga si allontana e lo lascia solo a lui non è concesso allontanarsi, essendo ormai diventato una sorta di oggetto sessuale nelle mani della sua bella carceriera. La sua condizione di "strumento di piacere" è sottolineata in modo paradossale quando regge lo specchio in cui Armida ammira narcisisticamente la sua bellezza e si agghinda, tra l'altro pregandola di rivolgere a lui lo sguardo in quanto la sua passione è la migliore immagine del fascino della donna: Rinaldo "petrarcheggia" rimproverando Armida, tra l'altro, di essere vanitosa come la Laura del Canzoniere (► TESTO: L'oro et le perle), oltretutto ignorato dalla maga che ride tra sé del dominio esercitato sul giovane e si compiace del desiderio che suscita in lui provocandolo. Lo specchio tenuto da Rinaldo è dunque strumento di seduzione infernale e di vanità femminile per Armida, mentre lo scudo magico in cui il guerriero vede riflessa la sua immagine effeminata è specchio di verità, che avrà l'effetto di farlo tornare in sé.
- Il cinto che Armida porta alla vita e che non lascia mai neppure quando è nuda si ispira al cinto di Afrodite-Venere, che aveva la proprietà di rendere irresistibile chiunque lo indossasse: secondo il racconto dell'Iliade (XIV, 214 ss.) Era lo ottenne in prestito dalla dea della bellezza e se ne servì per irretire Zeus e distrarlo, consentendo a Poseidone di aiutare i Greci nella guerra contro i Troiani. Quello di Armida è il prodotto di arti magiche ed è stato creato con l'unione di elementi immateriali, vale a dire gli atteggiamenti contrastanti con cui la donna opera la sua seduzione su Rinaldo (sdegni e rifiuti, ma anche vezzi e riconciliazioni, sorrisi e lacrime).
- Il discorso di rimprovero che Ubaldo rivolge a Rinaldo riprende quello di Mercurio ad Enea nell'Eneide (IV, 265 ss.) e fa leva soprattutto sul fatto che il crociato si è sottratto ai suoi doveri militari abbandonandosi colpevolmente alla passione, proprio come l'eroe troiano si era trattenuto a Cartagine diventando l'amante di Didone e rinunciando a partire per il Lazio. La differenza è che Rinaldo non avrà alcuna esitazione a seguire Carlo e Ubaldo nel lasciare l'isola, mentre il discorso che Armida gli rivolgerà nel tentativo di trattenerlo riprenderà molto da vicino quello di Didone ad Enea nello stesso libro del poema di Virgilio, anche se la risposta di Rinaldo sarà alquanto più "signorile" (► TESTO: L'abbandono di Armida).
- La descrizione di Rinaldo che rinsavisce dopo essersi specchiato nello scudo (ott. 31) riprende quella di Orlando che recupera il senno nell'Orlando furioso (XXXIX, 58), episodio rispetto al quale la vicenda di Rinaldo, che è il campione dei crociati ed è lontano dalla guerra per un incanto amoroso, presenta diverse analogie.