Francesco Petrarca
«Di pensier in pensier, di monte in monte»
(Canzoniere, 129)
Collocata subito dopo la canzone "Italia mia" unico componimento politico della raccolta, questa lirica è dedicata all'amore infelice di Petrarca per Laura e presenta una situazione assai simile al sonetto "Solo et pensoso", con il poeta che ricerca appositamente luoghi remoti e solitari in cui sfuggire il contatto con altre persone (che potrebbero leggergli in volto la pena per il sentimento non corrisposto) e la descrizione della natura con cui dialoga idealmente, credendo di scorgere il volto della donna amata in ogni elemento del paesaggio. La canzone si gioca tutta sul contrasto tra l'infelicità dell'autore e la sua illusione che Laura possa pensare a lui benché lontana, mentre l'alternarsi di momenti di speranza e sconforto segue una logica interna che non è oggettivata in nessun dato esteriore.
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere
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Di pensier in pensier, di monte in monte
mi guida Amor, ch’ogni segnato calle provo contrario a la tranquilla vita. Se ’n solitaria piaggia, rivo, o fonte, se ’nfra duo poggi siede ombrosa valle, ivi s’acqueta l’alma sbigottita; e come Amor l’envita, or ride, or piange, or teme, or s’assecura; e ’l volto che lei segue ov’ella il mena si turba et rasserena, et in un esser picciol tempo dura; onde a la vista huom di tal vita experto diria: Questo arde, et di suo stato è incerto. Per alti monti et per selve aspre trovo qualche riposo: ogni habitato loco è nemico mortal degli occhi miei. A ciascun passo nasce un penser novo de la mia donna, che sovente in gioco gira ’l tormento ch’i’ porto per lei; et a pena vorrei cangiar questo mio viver dolce amaro, ch’i’ dico: Forse anchor ti serva Amore ad un tempo migliore; forse, a te stesso vile, altrui se’ caro. Et in questa trapasso sospirando: Or porrebbe esser vero? or come? or quando? Ove porge ombra un pino alto od un colle talor m’arresto, e pur nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso. Poi ch’a me torno, trovo il petto molle de la pietate; et alor dico: Ahi, lasso, dove se’ giunto! ed onde se’ diviso! Ma mentre tener fiso posso al primo pensier la mente vaga, et mirar lei, ed oblïar me stesso, sento Amor sí da presso, che del suo proprio error l’alma s’appaga: in tante parti et sì bella la veggio, che se l’error durasse, altro non cheggio. I’ l’ò piú volte (or chi fia che mi ’l creda?) ne l’acqua chiara et sopra l’erba verde veduto viva, et nel tronchon d’un faggio e ’n bianca nube, sí fatta che Leda avria ben detto che sua figlia perde, come stella che ’l sol copre col raggio; et quanto in piú selvaggio loco mi trovo e ’n piú deserto lido, tanto piú bella il mio pensier l’adombra. Poi quando il vero sgombra quel dolce error, pur lí medesmo assido me freddo, pietra morta in pietra viva, in guisa d’uom che pensi et pianga et scriva. Ove d’altra montagna ombra non tocchi, verso ’l maggiore e ’l piú expedito giogo tirar mi suol un desiderio intenso; indi i miei danni a misurar con gli occhi comincio, e ’ntanto lagrimando sfogo di dolorosa nebbia il cor condenso, alor ch’i’ miro et penso, quanta aria dal bel viso mi diparte che sempre m’è sí presso et sí lontano. Poscia fra me pian piano: Che sai tu, lasso? forse in quella parte or di tua lontananza si sospira. Et in questo penser l’alma respira. Canzone, oltra quell’alpe là dove il ciel è piú sereno et lieto mi rivedrai sovr’un ruscel corrente, ove l’aura si sente d’un fresco et odorifero laureto. Ivi è ’l mio cor, et quella che ’l m’invola; qui veder pôi l’imagine mia sola. |
L'amore mi guida da un pensiero all'altro e da una montagna all'altra, poiché ogni sentiero segnato [dal passaggio di altre persone] turba la mia vita tranquilla. Se c'è un ruscello o una fonte in una pianura solitaria, se c'è una valle ombrosa tra due colli, lì la mia anima sconvolta si placa; e a seconda delle sollecitazioni di amore, ride, piange, ha paura e si rassicura; e il mio volto che la segue si turba e si rasserena, mantenendosi poco tempo in una stessa condizione; per cui al solo vedermi un uomo esperto di questa vita [delle pene amorose] direbbe: "Costui arde di passione ed è incerto della sua condizione".
Per alte montagne e fitte foreste trovo qualche sollievo: ogni luogo abitato è mortale nemico per i miei occhi. Ad ogni passo nasce un nuovo pensiero della mia donna [di Laura], che spesso tramuta in gioia il tormento che provo per lei; e a stento vorrei cambiare questa mia vita dolce e amara, poiché dico fra me: "Forse l'amore ti riserva un tempo migliore; forse tu, che sei vile a te stesso, sei caro a qualcun altro [a Laura]". E intanto vado oltre, sospirando: "Potrebbe mai essere vero? Come, quando?". Talvolta mi fermo dove un alto pino o un colle offrono un po' d'ombra e nel primo sasso [che vedo] disegno con la mente il suo bel viso. Poi torno in me e mi trovo il petto bagnato di lacrime di angoscia; e allora dico: "Ahimè, povero me, dove sono arrivato! e quale spazio mi divide da lei!" Ma finché posso tenere fissa la mente instabile a quel primo pensiero [la visione immaginaria di Laura], sento l'amore così vicino che la mia anima si appaga nel suo stesso errore [nell'illusione di vederla]: la vedo in tanti posti e così bella che, se tale illusione durasse a lungo, non chiederei altro. Io l'ho vista più volte (e chi mi crederebbe mai?) viva nelle acque limpide e sopra l'erba verde, e nel tronco di un faggio e in una nuvola bianca, così bella che Leda avrebbe detto che sua figlia [Elena] risulta inferiore a lei in bellezza, come una stella che è offuscata dal raggio del sole; e quanto più selvaggio e deserto è il luogo in cui mi ritrovo, tanto più bella la immagino col mio pensiero. Poi, quando la realtà elimina quel dolce errore [mi rendo conto che Laura non è lì], mi siedo in quel punto, simile a una pietra morta sopra una pietra viva [un sasso naturale], come un uomo che pensa, piange e scrive. Un intenso desiderio è solito trascinarmi verso la cima più alta e più panoramica, dove non c'è l'ombra di nessun'altra montagna; quindi inizio a misurare con lo sguardo la mia infelicità [la distanza tra me e Laura] e intanto piangendo do sfogo al cuore rappreso di nebbia dolorosa, nel momento in cui osservo e penso quanta aria [distanza] mi separa dal bel viso di Laura che mi è sempre tanto vicino e lontano. Poi fra me, piano, dico: "Che ne sai tu, pover'uomo? forse da quella parte [in Provenza] qualcuno piange per la tua lontananza". E in questo pensiero la mia anima si rasserena. O canzone, mi rivedrai oltre quella montagna dove il cielo è più sereno e lieto, sopra un ruscello che scorre [il Sorga] e dove si sente il profumo di un fresco e odorato bosco di lauri. Laggiù è il mio cuore e colei [Laura] che lo ha rubato; qui puoi vedere soltanto la mia immagine, il mio corpo. |
Interpretazione complessiva
- Metro: canzone formata da cinque stanze di tredici versi ciascuna (endecasillabi e settenari, questi ultimi in minoranza essendo due per stanza), con schema della rima ABCABCcDEeDFF e un congedo di sette versi il cui schema riprende la sirma (cDEeDFF). La lingua presenta i consueti latinismi, tra cui "et" (v. 10 e altrove), "huom" (v. 12), "experto" (v. 12), "habitato" (v. 15), "anchor" (v. 22, di tipo grafico), "tronchon" (v. 42, grafico), "expedito" (v. 54). Anafora di "or" al v. 8 e di "e(t)" ai vv. 9-11, in corrispondenza della descrizione dei cambiamenti d'umore del poeta. Al v. 51 l'antitesi "pietra morta in pietra viva" indica che l'autore, sedendo su un sasso naturale, sembra privo di sensibilità e come morto. Nel congedo Petrarca si rivolge tradizionalmente al componimento promettendo di tornare presto in Provenza e di rivedere Laura (indicata col gioco verbale "laureto", bosco di allori) nel contesto naturalistico già indicato in altri testi.
- Il testo ripropone la stessa situazione già vista nel sonetto 35, in cui il poeta ricercava luoghi remoti e solitari per evitare il contatto con altra gente e cercare di dimenticare le pene del suo amore infelice, non riuscendo tuttavia a impedire all'amore di dialogare con lui (► TESTO: Solo et pensoso): qui avviene la stessa cosa ma con in più la forzata separazione da Laura che è detta essere lontana (probabilmente Petrarca è distante dalla Provenza, forse in Italia come suggeriscono i vv. 31-32, 60 e soprattutto il congedo), mentre è maggiormente sottolineata l'instabilità psicologica dell'autore, che alterna momenti di gioia e tristezza del tutto indipendenti dal dato esteriore e dal paesaggio (ciò emerge specialmente nei vv. 10-14, in cui lo stato del poeta è definito "incerto"). La predilezione di Petrarca per i luoghi selvaggi è un dato biografico e ne è prova, tra l'altro, la lettera a Dionigi di Borgo S. Sepolcro sulla scalata del Monte Ventoso insieme al fratello Gherardo, in cui la situazione finale ricorda molto quella della stanza 5 della canzone quando Petrarca, giunto sulla cima di un alto monte, ammira il paesaggio circostante e fantastica sui possibili sentimenti di Laura per lui (► TESTO: L'ascensione del Monte Ventoso).
- Per tutta la lirica Petrarca alterna momenti di speranza e conforto ad altri di amaro disincanto, specie quando si illude di essere forse ricambiato da Laura che in questo momento è lontana (indubbiamente la distanza da lei accentua il carattere fantastico dei suoi ragionamenti), e tale incertezza è sottolineata soprattutto dalle interrogative che il poeta rivolge a se stesso, chiedendosi è mai possibile che lui sia "caro" alla donna che gli ha rubato il cuore e provoca in lui "tormento". La nostalgia di Laura lo spinge a immaginare la sua effigie in vari elementi del paesaggio, nonostante lui sappia che questa è un'illusione (tale però da confortare il suo animo), e questo motivo è ripreso dalla tradizione della lirica amorosa del Duecento, specie dai Siciliani in cui non di rado il poeta affermava di conservare nel proprio cuore un'immagine della donna amata simile a una pittura (► TESTO: Meravigliosamente, di Giacomo da Lentini).
- Il dolore per la lontananza da Laura e per l'incertezza sui sentimenti di lei ha l'effetto di svuotare l'autore della sua vitalità di trasformarlo quasi in una fredda statua, come detto ai vv. 50-52 in cui Petrarca siede su una "pietra viva" (un sasso naturale) simile a una "pietra morta", con un'antitesi che allude alla freddezza del suo spirito, ma anche ai vv. 71-72 del congedo in cui si dice che il cuore del poeta è rimasto in Provenza sulle rive del Sorga, mentre lì sui monti c'è solo la sua immagine, motivo questo che è ripreso dalla lirica del Duecento e soprattutto dagli Stilnovisti (cfr. Guido Guinizelli, ► TESTO: Lo vostro bel saluto; Guido Cavalcanti, ► TESTO: Voi che per gli occhi). Il congedo esplicita il riferimento a Laura attraverso il senhal "l'aura" e la parola "laureto" (bosco di allori), che allude chiaramente al nome della donna e all'immagine dell'alloro che per tutta la raccolta è associato alla sua figura, mentre il "ruscel corrente" è il Sorga sulle rive del quale Petrarca aveva ammirato la bellezza di Laura intenta a fare il bagno, come spiegato soprattutto nella canzone 126 che precede di poco questa stessa lirica (► TESTO: Chiare, fresche et dolci acque).