Chrétien de Troyes
Lancillotto e Ginevra
(Lancillotto o il cavaliere della carretta, vv. 4583-4701)
Il passo è tratto dal romanzo cortese "Lancillotto, o il cavaliere della caretta", un poemetto in lingua d'oïl composto in versi "octosyllabes" in rima baciata: il testo, che risale al XII sec., è incentrato sull'amore adultero tra la regina Ginevra, moglie di re Artù, e Lancillotto del Lago, il più valoroso dei cavalieri della Tavola Rotonda, che pur di salvare la donna amata non esita a salire con proprio disonore su una carretta destinata a portare i condannati al patibolo (Ginevra era stata rapita dal perfido Meleagant e rinchiusa in una torre). Nel brano che segue è narrato l'incontro notturno tra i due amanti, che si svolge secondo i dettami dell'amor cortese e si conclude con l'unione fisica tra di essi, che naturalmente viene sottaciuta dall'autore.
► PERCORSO: Le Origini
► SCHEDA: La concezione dell'amor cortese
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► SCHEDA: La concezione dell'amor cortese
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Quand’egli vede la regina
che dalla finestra s’inclina, che di grossi ferri è ferrata, dolcemente l’ha salutata. Ella il saluto ha presto reso, ché grande desiderio preso lei di lui e lui di lei ha. Di villania né di viltà discorso alcuno o accordo fanno. L’uno vicino all’altra vanno, e le loro mani congiungono. Che ad essere insieme non giungono dispiace loro a dismisura, e ne incolpan la ferratura. Ma Lancillotto si fa vanto, se piace alla regina tanto, che andrà dentro e insieme staranno: i ferri non lo tratterranno. Ma non vedete», ella a lui fa, «come son questi ferri qua forti a infrangerli, duri a fletterli? Non potrete tanto sconnetterli né tirarli a voi né strapparli abbastanza da sradicarli». «Dama», fa lui, «non ve ne importi! Non conta se i ferri son forti; niente oltre voi mi può impedire che io possa da voi venire. Se concesso da voi mi sia, tutta libera m’è la via; ma se la cosa non v’è grata, allora m’è così sbarrata che per niente vi passerei». [1] «Certo che lo voglio», fa lei, «dalla mia volontà non siete trattenuto, però attendete che a coricarmi me ne vada, che far rumore non v’accada; non sarebbe un gioco o un diletto se il siniscalco ch’è qui a letto [2] si svegliasse per il trambusto. Che me ne vada è perciò giusto; nessuno potrebbe pensare bene, vedendomi qui stare». «Dama», egli fa, «dunque ora andate, ma per nulla vi preoccupate ch’io debba fare del baccano. Leverò i ferri piano piano, credo, e impaccio non troverò, e nessuno risveglierò». La regina se ne va allora, e lui si prepara e lavora a sconficcare l’inferriata. Prende i ferri, dà una scrollata, tira e tutti li piega, e fuori li estrae dal muro via dai fori. Ma poiché il ferro era affilato, s’è al dito mignolo tagliato fino al nervo la prima giunta, e all’altro dito dalla punta tutta la prima giunta; ma del sangue che gocciando va né di quelle ferite sente, poiché a tutt’altro intende, niente. La finestra non era bassa; pure, Lancillotto ci passa presto, senza essere impedito. Vede nel letto Keu [3] assopito, e va al letto della regina, e l’adora, ed a lei s’inchina, perché non c’è reliquia [4] a cui creda più. E la regina a lui le braccia distende, e l’abbraccia, e stretto al petto se l’allaccia; se l’è a fianco nel letto tratto, ed il più bel viso gli ha fatto che possa fargli, che da Amore le viene ispirato e dal cuore. Questa gioia da Amore viene che gli mostra [5], e se l’ama bene lei, centomila volte più lui, perché nei cuori altrui fu Amore niente, al suo rispetto; ma rifiorì tutto nel petto di lui, e fu tanto intero Amore, che fu vile in ogni altro cuore. [6] Lancillotto ora ha ciò che brama: la regina lo accoglie, ed ama che stia con lei e che le faccia piacere: tiene fra le braccia lui lei, e lei lui tra le sue. È così dolce il gioco ai due e del baciare e del sentire, che n’ebbero, senza mentire, una gioia meravigliosa tanto che mai una tale cosa non fu udita né conosciuta; ma da me resterà taciuta: nel racconto non può esser detta. Delle gioie fu la più eletta quella, la gioia che più piace, che il racconto ci cela e tace. Gran piacere ebbe, e gioia vera Lancillotto la notte intera. Ma viene il giorno, e gran dolore ha, perché s’alza dal suo amore. Vero martire fu ad alzarsene, tanto penoso fu di andarsene; martirio è il dolore che ha. Il cuore tira sempre là dove la regina si trova. A richiamarlo invano prova [7], tanto la regina gli piace, che di lasciarla non ha pace: va il corpo, il cuore lì soggiorna. Dritto alla finestra ritorna; ma tanto sangue resta lì, che dai tagli alle dita uscì, che il lenzuolo è tinto e macchiato. |
[1] Lancillotto dichiara di voler entrare solo con il permesso della regina, dunque solo un suo rifiuto potrebbe impedirglielo. [2] Il siniscalco era un ufficiale addetto alla protezione della regina, che per questo dorme negli appartamenti reali. [3] Si tratta del siniscalco, che giace ferito a causa di un'impresa compiuta in difesa di Ginevra. [4] L'amore di Lancillotto per la regina assume un significato religioso, tanto che la donna è paragonata a una reliquia. [5] Questa gioia che lei gli mostra viene direttamente da Amore. [6] Amore ha colpito il cuore di Lancillotto con grande maestria, tanto che in confronto ha fallito con tutti gli altri cuori. [7] Lancillotto non può impedire al proprio cuore di desiderare di restare accanto alla donna amata. |
Interpretazione complessiva
- Il vincolo tra Lancillotto e Ginevra ricalca tutte le caratteristiche dell'amor cortese, anche con riferimenti al De amore di Andrea Cappellano: è un amore adultero tra un nobile cavaliere e la moglie del re, Lancillotto giura eterna fedeltà e devozione alla donna, arrivando al punto di lottare per lei e sopportare gravi umiliazioni pur di salvarla quando viene rapita da Meleagant. L'amore non resta sul piano idealizzato ma si concretizza in una vera e propria relazione adulterina, come nel brano in esame in cui Lancillotto raggiunge Ginevra per una appassionata notte d'amore.
- Il convegno notturno tra i due si realizza attraverso un rituale tipico dei romanzi cortesi, non solo di Chrétien: Ginevra si affaccia a una finestra, con una inferriata che la separa dal cavaliere e impedisce momentaneamente ai due di abbracciarsi; Lancillotto dichiara di volersi unire a lei solo se anche lei lo vuole, nel qual caso niente al mondo potrà impedirgli di entrare (infatti sconficcando l'inferriata si ferirà a una mano); Ginevra si preoccupa per la presenza del siniscalco e la possibilità che egli veda o senta qualcosa che possa nuocere alla sua reputazione. La notte produce in entrambi grande piacere, che ovviamente l'autore non descrive lasciando il tutto all'immaginazione dei lettori.
- L'amore di Lancillotto per Ginevra si carica di significati religiosi: egli la "adora" e si "inchina" di fronte a lei come a una "reliquia", quando alla fine della notte deve separarsi dalla donna soffre "come un martire", lasciando tra l'altro una gran quantità di sangue tra le lenzuola (quello perso dalle piaghe alla mano, con ulteriore riferimento al martirio religioso). Altrettanto tipico il riferimento alla simbologia classica di Amore che colpisce l'amante con la propria freccia, ripreso successivamente dai trovatori provenzali e dai lirici italiani del Duecento.
- La vicenda di Lancillotto e Ginevra viene citata anche da Dante nella Commedia (Inf., V, 127-138), quando Francesca spiega che lei e Paolo leggevano questo libro e, alla scena del bacio tra i due amanti della letteratura, anch'essi si baciarono e iniziarono una relazione adultera (► TESTO: Paolo e Francesca). Dante non conosceva probabilmente l'originale di Chrétien de Troyes ma un tardo volgarizzamento, da cui trasse gli elementi essenziali per caratterizzare l'amore di Paolo e Francesca come un amore cortese, al fine di condannarlo moralmente.