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Francesco Guicciardini


L'ambizione
(Ricordi, 15-17, 32, 118)

In questo gruppo di aforismi di contenuto morale Guicciardini loda l'ambizione umana, in quanto stimolo necessario a realizzare imprese degne di memoria, e dichiara di essere stato ambizioso lui stesso nel ricercare "onore e utile", anche se il raggiungimento di importanti incarichi di governo gli ha spesso portato più fatiche e fastidi che non le soddisfazioni personali che ricercava. Il punto di vista è quello, un po' cinico e disincantato, dell'uomo di Stato che ha raggiunto importanti traguardi ma non ha, forse, conseguito tutti gli obiettivi che si era prefissato all'inizio.

► PERCORSO: Il Rinascimento
► AUTORE: Francesco Guicciardini



15
Io ho desiderato, come fanno tutti gli uomini, onore e utile; e n'ho conseguito molte volte sopra quello che ho desiderato o sperato; e nondimeno non v'ho mai trovato drento [1] quella satisfazione che io mi ero immaginato; ragione, chi bene la considerassi, potentissima a tagliare assai delle vane cupidità degli uomini.

16
Le grandezze e gli onori sono comunemente desiderati perché tutto quello che vi è di bello e di buono apparisce di fuora, ed è scolpito nella superficie; ma le molestie, le fatiche, e fastidi e e pericoli sono nascosti e non si veggono; e quali se apparissino [2] come apparisce el bene, non ci sarebbe ragione nessuna da dovergli desiderare, eccetto una sola, che quanto più gli uomini sono onorati, reveriti e adorati, tanto più pare che si accostino e diventino quasi simili a Dio; al quale chi è quello che non volessi assomigliarsi?

17
Non crediate a coloro che fanno professione [3] d'avere lasciato le faccende e le grandezze volontariamente e per amore della quiete, perché quasi sempre ne è stata cagione o leggerezza o necessità; però [4] si vede per esperienzia che quasi tutti, come se gli offerisce [5] uno spiraglio di potere tornare alla vita di prima, lasciata la tanto lodata quiete, vi si gettano con quella furia che fa el fuoco alle cose bene unte e secche.

32
La ambizione non è dannabile, né da vituperare quello ambizioso che ha appetito d'avere gloria co' mezzi onesti e onorevoli; anzi sono questi tali che operano cose grande ed eccelse, e chi manca di questo desiderio, è spirito freddo e inclinato piú allo ozio che alle faccende. Quella è ambizione perniziosa e detestabile che ha per unico fine la grandezza [6], come hanno communemente e principi; e quali quando la propongono per idolo, per conseguire ciò che gli conduce a quella, fanno uno piano [7] della conscienzia, dell'onore, della umanità e di ogni altra cosa.

118
A chi stima l'onore assai, succede ogni cosa [8], perché non cura fatiche, non pericoli, non danari. Io l'ho provato in me medesimo, però lo posso dire e scrivere; sono morte e vane le azione degli uomini che non hanno questo stimulo ardente.

[1] Dentro.






[2] Se apparissero, se fossero visibili
.





[3] Che affermano.

[4] Perciò. [5] Non appena gli si presenta.





[6] È pericolosa e da condannare quell'ambizione che ha per unico scopo la grandezza.
[7] Spianano, abbattono.


[8] Consegue qualunque obiettivo.


Interpretazione complessiva

  • Guicciardini si interroga sull'ambizione degli uomini e conclude che essa non è in sé da condannare, in quanto è lo stimolo necessario per compiere imprese rimarchevoli e purché l'ambizioso non abbia come unico fine la grandezza personale, nel qual caso non userà mezzi onorevoli e virtuosi per raggiungere gli obiettivi che si era prefissato (anche se afferma che chi è onorato e rispettato è quasi simile a Dio, per cui la molla principale per conseguire alti risultati è un grande amor proprio e una certa dose di narcisismo). Anche sotto questo aspetto l'autore prende le distanze da Machiavelli, poiché per Guicciardini non ogni mezzo è lecito pur di realizzare i propri scopi e quale esempio di ambizione "perniziosa" egli propone proprio quella dei principi, disposti a trascurare la coscienza e l'onore pur di conquistare il potere che essi inseguono come un idolo. È evidente che il suo punto di vista non è tanto quello del sovrano ma quello del funzionario di Stato, che si sente spinto a diventare "grande" perché vuol rendersi utile alla propria patria e, per conseguenza, ottenere quei vantaggi personali che l'autore definisce altrove come "particulare".
  • Questo gruppo di pensieri ha come oggetto una riflessione amara dell'autore sulla sua precedente esperienza di vita e sui molti incarichi di importanza che ha rivestito per la Repubblica di Firenze prima e per i papi poi, col dire che, assieme agli onori e ai vantaggi legati al titolo che sono visibili a tutti, ci sono anche fastidi e pericoli che sperimenta solo il funzionario e che, contrappesati con gli elementi positivi del potere, rendono la vita pubblica assai meno attrattiva di quanto gli uomini semplici immaginano. Va ricordato che il servizio per i pontefici aveva costretto Guicciardini a lasciare Firenze e a vivere a Roma lontano dalla sua famiglia, senza contare che il sacco di Roma del 1527 era stato vissuto da lui come un fallimento della sua politica, forse mai del tutto superato negli anni seguenti.



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