Dante Alighieri
Definizione del volgare illustre
(De vulgari eloquentia, I, XVII-XVIII)
Nei capitoli finali del primo libro del trattato l'autore, dopo aver passato in rassegna le varietà dei volgari italiani e aver concluso che nessuno di essi corrisponde al volgare "illustre", definisce questo come la selezione delle migliori parlate della Penisola, aggiungendo gli aggettivi "cardinale", "aulico" e "curiale" di cui spiega il senso. La dotta dissertazione è più filosofica che linguistica e pone le premesse di una costruzione retorica che Dante non portò in realtà mai a compimento, dal momento che il volgare da lui usato in tutte le sue opere (inclusa la "Commedia") è di fatto quel fiorentino duramente criticato nei capp. precedenti di questo stesso libro.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Dante Alighieri
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Dante Alighieri
Interpretazione complessiva
- Dopo aver passato in rassegna le quattordici varietà di volgare parlate in Italia e non aver ravvisato in nessuna di esse il volgare "illustre", Dante definisce quest'ultimo come una selezione delle migliori caratteristiche di tutte le lingue parlate nella Penisola, da non intendersi dunque come semplice miscuglio di idiomi (tale sarà l'errata interpretazione di Trissino nel XVI sec.), ma come una sorta di costruzione retorica di una lingua non corrispondente a nessuna di quelle effettivamente parlate. L'autore definisce tale volgare come "illustre", in quanto capace di dare lustro a tutti gli altri volgari, "cardinale", poiché le altre lingue ruotano attorno ad esso e lo prendono come punto di riferimento, "aulico" e "curiale" in quanto degno di essere usato in una ideale reggia dagli uomini facenti parte della Curia, benché essa sia fisicamente assente in Italia (Dante pensa alla corte dell'imperatore che dovrebbe regnare a Roma, tuttavia identifica nelle corti dei vari signori italiani le "membra" della corte ideale assente). Risulta chiaro che l'autore non descrive una lingua "di popolo" parlata da una comunità, ma una lingua letteraria da forgiare con un lavoro "a tavolino" e che in certa misura egli identifica con quella già usata dai poeti Siciliani, bolognesi (tra essi soprattutto Guinizelli) e dagli Stilnovisti.
- Nei capitoli precedenti Dante ha svolto una disamina non solo linguistica ma anche letteraria dei volgari della Penisola, tracciando una rudimentale storia della poesia volgare delle Origini: la linea da lui individuata parte dai Provenzali e passa per i Siciliani (che Dante leggeva nella versione corretta dai copisti toscani, dunque in un volgare privo di quella patina regionale che forse non avrebbe approvato), Guinizelli e i suoi imitatori dello Stilnovo, tra cui egli include Cino da Pistoia e se stesso, indicato con la perifrasi amicus eius. Il "canone" stabilito da Dante risente certo delle polemiche letterarie con i Siculo-toscani e Guittone, tuttavia doveva corrispondere alla percezione dei contemporanei e ha finito per influenzare la storiografia letteraria dell'età moderna, mantenendosi immutata ancora al giorno d'oggi.