Letteratura italiana
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Francesco Petrarca


«O cameretta che già fosti un porto»
(Canzoniere, 234)

Il sonetto esprime il dolore dell'autore per il suo amore infelice e la considerazione che la sua camera non gli offre più la pace durante le ore notturne, in cui è tormentato dalla pena per Laura e versa lacrime sconsolate: viene così rovesciato l'ideale classico del sapiente che vive nel suo isolamento e rifugge il contatto col "volgo profano" (delineato anche in opere come il "De vita solitaria"), per cui Petrarca arriva alla paradossale conclusione che proprio la folla gli consente di non abbandonarsi ai suoi pensieri e ritrovare un po' di serenità.

► PERCORSO: La lirica amorosa
► AUTORE: Francesco Petrarca
► OPERA: Canzoniere





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O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diürne,
fonte se’ or di lagrime nocturne,
che ’l dí celate per vergogna porto.

O letticciuol che requie eri et conforto
in tanti affanni, di che dogliose urne
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,
solo ver ’me crudeli a sí gran torto!

Né pur il mio secreto e ’l mio riposo
fuggo, ma più me stesso e ’l mio pensero,
che, seguendol, talor levommi a volo;

e ’l vulgo a me nemico et odïoso
(chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero:
tal paura ò di ritrovarmi solo.
O mia camera, che un tempo sei stata un rifugio sicuro dalle gravi angosce che provavo durante il giorno, ora durante la notte sei fonte di lacrime che il giorno cerco di nascondere per vergogna. O mio letto, che eri pace e conforto in tanti affanni, l'amore ti bagna con urne dolorose [con le mie lacrime] attraverso quelle mani di avorio [di Laura] che sono crudeli solo verso di me, così ingiustamente!


E io non fuggo solo il mio segreto e il mio riposo, ma soprattutto me stesso e il mio pensiero, mentre talvolta seguendolo mi sono alzato in volo [ho realizzato opere egregie];
e invece cerco quale mio rifugio il popolo a me ostile e odioso (chi l'avrebbe mai pensato?): è tale la mia paura di ritrovarmi solo.



Interpretazione complessiva

  • Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, CDE (C, E in assonanza). La lingua presenta i consueti latinismi, tra cui "nocturne" (v. 3), "et" (v. 5 e altrove). I vv. 1 e 5 sono legati dall'anafora "O... che", attraverso l'apostrofe ai due elementi cui si rivolge l'autore (la propria camera e il proprio letto), mentre nei vv. 2-3 l'antitesi "diürne" / "nocturne" è espressa tramite il parallelismo "tempeste" / "lagrime". Ai vv. 9-12 è presente l'anafora di "e(t)" che suggerisce un ritmo incalzante all'elencazione delle cose che il poeta rifugge e del "vulgo" che invece ora ricerca.
  • Nelle quartine l'autore si rivolge alla sua "cameretta" e al "letticciuol" attraverso il parallelismo "O... che", posto all'inizio delle due strofe, per dire che un tempo il raccoglimento interiore nelle ore notturne era fonte per lui di pace e serenità rispetto alle "tempeste" del giorno, mentre ora la solitudine gli causa ulteriore sofferenza per via dell'amore infelice per Laura, le cui mani "eburne" (d'avorio) e crudeli aiutano Amore a versare lacrime dalle "urne" (gli occhi di Petrarca). Nella prima quartina il poeta riprende la metafora della vita come viaggio in un mare in tempesta, rispetto alla quale la sua camera rappresentava un porto sicuro (immagine che ricorre anche in altri testi, specie nelle rime "in morte" di Laura come il sonetto 272; ► TESTO: La vita fugge, et non s'arresta una hora), mentre nella seconda l'antitesi ruota attorno ai termini "requie" e "conforto" che si oppongono agli "affanni", anche attraverso la crudeltà di Laura che respinge il corteggiamento di Petrarca (non mancano altre interpretazioni). Il v. 4 accenna alla "vergogna" provata dall'autore nel mostrare le proprie lacrime che perciò cerca di nascondere, tema che era già espresso nel sonetto proemiale in cui ammetteva di essere stato a lungo la "favola" del popolo (► TESTO: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono).
  • Il testo rovescia in modo paradossale l'ideale classico del sapiente come uomo solitario che rifugge il contatto col popolo a lui estraneo e trova serenità nel raccoglimento interiore e nell'otium letterario, modello espresso in opere come il De vita solitaria (► TESTO: Elogio dell'uomo solitario), col dire che adesso Petrarca ricerca al contrario proprio il "vulgo" che prima gli era "nemico et odïoso" in quanto, mescolandosi tra la folla, può evitare di abbandonarsi ai suoi pensieri che gli parlano di Laura e lo fanno soffrire. L'autore ribalta quindi la situazione descritta altri testi come il sonetto 35 (► TESTO: Solo et pensoso) in cui egli ricercava appositamente luoghi remoti e solitari per evitare il contatto con le altre persone e non mostrare il suo dolore per Laura, mentre il tema del profanum vulgus è una evidente ripresa dell'ode di Orazio (III, 1) in cui il poeta latino esprime disprezzo per la folla del popolo e si proclama sacerdote delle Muse, intento a sciogliere un inno che celebra la novità del regime augusteo che non tutti sono in grado di comprendere.


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