Giovanni Boccaccio
La novella delle papere
(Decameron, IV, Introduzione)
Nell'Introduzione alla quarta Giornata l'autore prende la parola in prima persona e si difende dalle accuse che da più parti erano giunte all'opera, le cui novelle evidentemente avevano iniziato a circolare prima della pubblicazione definitiva, accuse che riguardavano soprattutto il carattere eccessivamente licenzioso dei racconti che mal si adattava (secondo i detrattori di Boccaccio) a un autore che avrebbe dovuto usare il suo ingegno per produrre opere più degne. Per argomentare le sue tesi, e cioè che non vi è nulla di osceno o di immorale nella materia dell'eros trattata nel testo, Boccaccio narra una breve novella (la centounesima della raccolta) che dimostra proprio la naturalezza del sentimento amoroso e degli istinti sessuali, avente per protagonista un eremita e suo figlio. La novella, che resta priva di una conclusione, riprende i temi toccati in molti racconti del "Decameron" ed è caratterizzata da uno stile comico che si ritrova in altri episodi del libro.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
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Ma avanti che io venga a far la risposta ad alcuno, mi piace in favor di me raccontare non una novella intera (acciò che non paia che io voglia le mie novelle con quelle di così laudevole compagnia [1], qual fu quella che dimostrata v’ho, mescolare), ma parte d’una, acciò che il suo difetto stesso sè mostri non esser di quelle; e a’ miei assalitori favellando [2], dico che nella nostra città, già è buon tempo passato, fu un cittadino, il qual fu nominato Filippo Balducci, uomo di condizione assai leggiere, ma ricco e bene inviato ed esperto nelle cose quanto lo stato suo richiedea; e aveva una sua donna moglie, la quale egli sommamente amava, ed ella lui, e insieme in riposata vita si stavano, a niun’altra cosa tanto studio ponendo quanto in piacere interamente l’uno all’altro. Ora avvenne, sì come di tutti avviene, che la buona donna passò di questa vita, né altro di sé a Filippo lasciò che un solo figliuolo di lui conceputo, il quale forse d’età di due anni era. Costui per la morte della sua donna tanto sconsolato rimase, quanto mai alcuno altro amata cosa perdendo rimanesse. E veggendosi di quella compagnia la quale egli più amava rimaso solo, del tutto si dispose di non volere più essere al mondo, ma di darsi al servigio di Dio [3], e il simigliante fare del suo piccol figliuolo. Per che, data ogni sua cosa per Dio, senza indugio se n’andò sopra Monte Asinaio [4], e quivi in una piccola celletta si mise col suo figliuolo, col quale di limosine in digiuni e in orazioni vivendo, sommamente si guardava di non ragionare là dove egli fosse d’alcuna temporal cosa [5] né di lasciarnegli alcuna vedere, acciò che esse da così fatto servigio nol traessero, ma sempre della gloria di vita etterna e di Dio e de’ santi gli ragionava, nulla altro che sante orazioni insegnandoli; e in questa vita molti anni il tenne, mai della cella non lasciandolo uscire, né alcuna altra cosa che sè dimostrandogli. Era usato il valente uomo di venire alcuna volta a Firenze, e quivi secondo le sue opportunità dagli amici di Dio sovvenuto, alla sua cella tornava. Ora avvenne che, essendo già il garzone d’età di diciotto anni e Filippo vecchio, un dì il domandò ov’egli andava. Filippo gliele disse. Al quale il garzon disse: - Padre mio, voi siete oggimai vecchio e potete male durare fatica [6]; perché non mi menate voi una volta a Firenze, acciò che, faccendomi cognoscere gli amici e divoti di Dio e vostri, io che son giovane e posso meglio faticar di voi, possa poscia pe’ nostri bisogni a Firenze andare quando vi piacerà, e voi rimanervi qui? Il valente uomo, pensando che già questo suo figliuolo era grande, ed era sì abituato al servigio di Dio che malagevolmente le cose del mondo a sè il dovrebbono omai poter trarre, seco stesso disse: - Costui dice bene -; per che, avendovi ad andare, seco il menò. Quivi il giovane veggendo i palagi, le case, le chiese e tutte l’altre cose delle quali tutta la città piena si vede, sì come colui che mai più per ricordanza [7] vedute non n’avea, si cominciò forte a maravigliare, e di molte domandava il padre che fossero e come si chiamassero. Il padre gliele diceva; ed egli, avendolo udito, rimaneva contento e domandava d’una altra. E così domandando il figliuolo e il padre rispondendo, per avventura si scontrarono in una brigata [8] di belle giovani donne e ornate, che da un paio di nozze [9] venieno; le quali come il giovane vide, così domandò il padre che cosa quelle fossero. A cui il padre disse: - Figliuol mio, bassa gli occhi in terra, non le guatare [10], ch’elle son mala cosa. Disse allora il figliuolo: - O come si chiamano? Il padre, per non destare nel concupiscibile appetito del giovane alcuno inchinevole disiderio [11] men che utile, non le volle nominare per lo proprio nome, cioè femine, ma disse: - Elle si chiamano papere. Maravigliosa cosa a udire! Colui che mai più alcuna veduta non n’avea, non curatosi de’ palagi, non del bue, non del cavallo, non dell’asino, non de’ danari né d’altra cosa che veduta avesse, subitamente disse: - Padre mio, io vi priego che voi facciate che io abbia una di quelle papere. - Ohimè, figliuol mio, - disse il padre - taci: elle son mala cosa. A cui il giovane domandando disse: - O son così fatte le male cose? - Sì - disse il padre. Ed egli allora disse: - Io non so che voi vi dite, né perché queste siano mala cosa; quanto è a me, non m’è ancora paruta vedere alcuna così bella né così piacevole, come queste sono. Elle son più belle che gli agnoli dipinti che voi m’avete più volte mostrati. Deh! se vi cal di me [12], fate che noi ce ne meniamo una colà su di queste papere, e io le darò beccare. [13] Disse il padre: - Io non voglio; tu non sai donde elle s’imbeccano -; e sentì incontanente più aver di forza la natura che il suo ingegno; e pentessi d’averlo menato a Firenze. Ma avere infino a qui detto della presente novella voglio che mi basti, e a coloro rivolgermi alli quali l’ho raccontata. |
[1] La brigata dei dieci novellatori. [2] Rivolgendomi ai miei detrattori. [3] Decise di abbandonare il mondo e di ritirarsi a fare l'eremita. [4] Il Monte Senario, non lontano da Firenze. [5] Evitava di parlare di qualunque cosa del mondo, terrena. [6] Non siete in grado di sopportare la fatica. [7] Come colui che non aveva mai visto niente di simile, né poteva ricordarsene. [8] Si imbatterono in un gruppo. [9] Da un matrimonio. [10] Non le guardare. [11] Propensione. [12] Se tenete a me, se vi importa di me. [13] Evidente allusione sessuale, come la successiva battuta del padre. |
Interpretazione complessiva
- Il brano è uno dei momenti del Decameron in cui l'autore prende direttamente la parola e non parla attraverso la voce dei dieci novellatori (come nel Proemio, nell'Introduzione alla prima Giornata e nella Conclusione) e qui il suo intento è ribattere alle accuse di chi lo criticava per l'oscenità di alcune novelle del libro, che evidentemente circolavano già in forma autonoma prima che l'opera venisse completata dall'autore. Il tema della novelletta raccontata, la centounesima della raccolta, è lo stesso già affrontato in altri testi e cioè l'impossibilità di reprimere gli istinti sessuali, in quanto l'eros è un aspetto naturale della vita umana e riguarda ogni persona, inclusi i religiosi per cui l'imposizione del celibato ecclesiastico è del tutto ipocrita; novelle significative a questo riguardo sono soprattutto quella di Masetto, III, 1 (► TESTO: Masetto da Lamporecchio) e quella della badessa, IX, 2 (► TESTO: La badessa e le brache).
- Protagonista della novella (che Boccaccio lascia volutamente senza conclusione, per non mescolarla a quelle "compiute" del libro) è un fiorentino che si ritira come eremita e alleva l'unico figlio senza mostrargli nulla del mondo, finché lo porta in città e il giovane si invaghisce di alcune giovani e belle donne: alla sua richiesta di sapere il nome di una tale bellezza, il padre risponde che si tratta di "papere" ed è evidente l'intento ironico del racconto, dal momento che il ragazzo non si cura del richiamo del genitore ("elle son mala cosa") e vorrebbe dare loro da "beccare", con esplicito riferimento sessuale. La novella si rifà anche alla tradizione medievale che interpretava la donna come tentatrice diabolica e "distrazione" dalla ricerca spirituale, ovviamente per rovesciarla in modo beffardo e affermare che i desideri carnali sono perfettamente normali e che è illusorio cercare di reprimerli attraverso norme di carattere morale. Giova ricordare che l'autore nell'ultima parte della sua vita cambiò posizione riguardo alla figura femminile ed espresse idee di stampo decisamente misogino, specie nel Corbaccio.