Torquato Tasso
Il concilio infernale
(Gerusalemme Liberata, IV, 1-19)
Il canto IV si apre con l'orrendo concilio dei demoni evocati da Plutone-Lucifero nell'inferno, preoccupato della piega che stanno prendendo gli eventi e smanioso di porre ostacoli sulla strada dei Crociati, onde ritardare l'inevitabile caduta di Gerusalemme già decisa dal fato: Tasso riecheggia luoghi della poesia classica e di Dante per descrivere la riunione di mostri e diavoli, i quali vengono incitati dal loro re a seminare divisioni e zizzania tra i nemici cristiani, anche utilizzando le lusinghe tentatrici della bellezza femminile e della seduzione (infatti nelle ottave successive entrerà in scena l'affascinante maga Armida, pronta a irretire con le sue arti i guerrieri crociati).
► PERCORSO: La Controriforma
► AUTORE: Torquato Tasso
► OPERA: Gerusalemme liberata
► PERCORSO: La Controriforma
► AUTORE: Torquato Tasso
► OPERA: Gerusalemme liberata
1
Mentre son questi a le bell'opre intenti, perché debbiano tosto in uso porse, il gran nemico de l'umane genti contra i cristiani i lividi occhi torse; e scorgendogli omai lieti e contenti, ambo le labra per furor si morse, e qual tauro ferito il suo dolore versò mugghiando e sospirando fuore. 2 Quinci, avendo pur tutto il pensier vòlto a recar ne' cristiani ultima doglia, che sia, comanda, il popol suo raccolto (concilio orrendo!) entro la regia soglia; come sia pur leggiera impresa, ahi stolto!, il repugnare a la divina voglia: stolto, ch'al Ciel s'agguaglia, e in oblio pone come di Dio la destra irata tuone. 3 Chiama gli abitator de l'ombre eterne il rauco suon de la tartarea tromba. Treman le spaziose atre caverne, e l'aer cieco a quel romor rimbomba; né sí stridendo mai da le superne regioni del cielo il folgor piomba, né sí scossa giamai trema la terra quando i vapori in sen gravida serra. 4 Tosto gli dèi d'Abisso in varie torme concorron d'ogn'intorno a l'alte porte. Oh come strane, oh come orribil forme! quant'è ne gli occhi lor terrore e morte! Stampano alcuni il suol di ferine orme, e 'n fronte umana han chiome d'angui attorte, e lor s'aggira dietro immensa coda che quasi sferza si ripiega e snoda. 5 Qui mille immonde Arpie vedresti e mille Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni, molte e molte latrar voraci Scille, e fischiar Idre e sibilar Pitoni, e vomitar Chimere atre faville, e Polifemi orrendi e Gerioni; e in novi mostri, e non piú intesi o visti, diversi aspetti in un confusi e misti. 6 D'essi parte a sinistra e parte a destra a seder vanno al crudo re davante. Siede Pluton nel mezzo, e con la destra sostien lo scettro ruvido e pesante; né tanto scoglio in mar, né rupe alpestra, né pur Calpe s'inalza o 'l magno Atlante, ch'anzi lui non paresse un picciol colle, sí la gran fronte e le gran corna estolle. 7 Orrida maestà nel fero aspetto terrore accresce, e piú superbo il rende: rosseggian gli occhi, e di veneno infetto come infausta cometa il guardo splende, gl'involve il mento e su l'irsuto petto ispida e folta la gran barba scende, e in guisa di voragine profonda s'apre la bocca d'atro sangue immonda. 8 Qual i fumi sulfurei ed infiammati escon di Mongibello e 'l puzzo e 'l tuono, tal de la fera bocca i negri fiati, tale il fetore e le faville sono. Mentre ei parlava, Cerbero i latrati ripresse, e l'Idra si fe' muta al suono; restò Cocito, e ne tremàr gli abissi, e in questi detti il gran rimbombo udissi: 9 «Tartarei numi, di seder piú degni là sovra il sole, ond'è l'origin vostra, che meco già da i piú felici regni spinse il gran caso in questa orribil chiostra, gli antichi altrui sospetti e i feri sdegni noti son troppo, e l'alta impresa nostra; or Colui regge a suo voler le stelle, e noi siam giudicate alme rubelle. 10 Ed in vece del dí sereno e puro, de l'aureo sol, de gli stellati giri, n'ha qui rinchiusi in questo abisso oscuro, né vuol ch'al primo onor per noi s'aspiri; e poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro! quest'è quel che piú inaspra i miei martíri) ne' bei seggi celesti ha l'uom chiamato, l'uom vile e di vil fango in terra nato. 11 Né ciò gli parve assai; ma in preda a morte, sol per farne piú danno, il figlio diede. Ei venne e ruppe le tartaree porte, e porre osò ne' regni nostri il piede, e trarne l'alme a noi dovute in sorte, e riportarne al Ciel sí ricche prede, vincitor trionfando, e in nostro scherno l'insegne ivi spiegar del vinto Inferno. 12 Ma che rinovo i miei dolor parlando? Chi non ha già l'ingiurie nostre intese? Ed in qual parte si trovò, né quando, ch'egli cessasse da l'usate imprese? Non piú déssi a l'antiche andar pensando, pensar dobbiamo a le presenti offese. Deh! non vedete omai com'egli tenti tutte al suo culto richiamar le genti? 13 Noi trarrem neghittosi i giorni e l'ore, né degna cura fia che 'l cor n'accenda? e soffrirem che forza ognor maggiore il suo popol fedele in Asia prenda? e che Giudea soggioghi? e che 'l suo onore, che 'l nome suo piú si dilati e stenda? che suoni in altre lingue, e in altri carmi si scriva, e incida in novi bronzi e marmi? 14 Che sian gl'idoli nostri a terra sparsi? ch'i nostri altari il mondo a lui converta? ch'a lui sospesi i voti, a lui sol arsi siano gl'incensi, ed auro e mirra offerta? ch'ove a noi tempio non solea serrarsi, or via non resti a l'arti nostre aperta? che di tant'alme il solito tributo ne manchi, e in vòto regno alberghi Pluto? 15 Ah! non fia ver, ché non sono anco estinti gli spirti in voi di quel valor primiero, quando di ferro e d'alte fiamme cinti pugnammo già contra il celeste impero. Fummo, io no 'l nego, in quel conflitto vinti, pur non mancò virtute al gran pensiero. Diede che che si fosse a lui vittoria: rimase a noi d'invitto ardir la gloria. 16 Ma perché piú v'indugio? Itene, o miei fidi consorti, o mia potenza e forze: ite veloci, ed opprimete i rei prima che 'l lor poter piú si rinforze; pria che tutt'arda il regno de gli Ebrei, questa fiamma crescente omai s'ammorze; fra loro entrate, e in ultimo lor danno or la forza s'adopri ed or l'inganno. 17 Sia destin ciò ch'io voglio: altri disperso se 'n vada errando, altri rimanga ucciso, altri in cure d'amor lascive immerso idol si faccia un dolce sguardo e un riso. Sia il ferro incontra 'l suo rettor converso da lo stuol ribellante e 'n sé diviso: pèra il campo e ruini, e resti in tutto ogni vestigio suo con lui distrutto.» 18 Non aspettàr già l'alme a Dio rubelle che fosser queste voci al fin condotte; ma fuor volando a riveder le stelle già se n'uscian da la profonda notte, come sonanti e torbide procelle che vengan fuor de le natie lor grotte ad oscurar il cielo, a portar guerra a i gran regni del mar e de la terra. 19 Tosto, spiegando in vari lati i vanni, si furon questi per lo mondo sparti, e 'ncominciaro a fabricar inganni diversi e novi, e ad usar lor arti. Ma di' tu, Musa, come i primi danni mandassero a i cristiani e di quai parti; tu 'l sai, e di tant'opra a noi sí lunge debil aura di fama a pena giunge. |
Mentre i Crociati sono intenti a costruire le macchine da guerra, affinché vengano presto messe in uso, il grande nemico dell'umanità [Lucifero] volse i suoi occhi lividi contro i cristiani; e vedendoli ormai lieti e contenti, si morse entrambe le labbra per la rabbia e, come un toro ferito, espresse muggendo e sbuffando il suo dolore. Quindi, avendo pensato intensamente a come provocare danno ai cristiani, comanda che il suo popolo si raccolga nel suo regno (oh, che orribile concilio!); come se fosse impresa facile (ah, che pazzo!) contrastare la volontà divina: pazzo, poiché si ritiene uguale al Cielo e dimentica come tuoni adirata la destra di Dio. Il suono cupo della tromba infernale chiama gli abitanti delle ombre eterne. Le spaziose e oscure caverne tremano e l'aria buia rimbomba a quel frastuono; dalle più alte regioni celesti il fulmine non cade mai stridendo in tal modo, né la terra trema mai così scossa quando, rigonfia, chiude in se stessa i vapori. Ben presto gli dei dell'Abisso accorrono alle alte porte da ogni luogo, in varie folle. Oh, che forme strane e orribili! Che terrore e morte ci sono nei loro occhi! Alcuni imprimono sul terreno orme di belve e su un volto umano hanno capelli di serpenti attorcigliati, e dietro di loro si aggira una lunghissima coda che si piega e si snoda come una frusta. Qui potresti vedere immonde Arpie e mille Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni, sentiresti latrare moltissime Scille voraci, e fischiare Idre e sibilare Pitoni, e vedresti le Chimere vomitare scintille oscure, e orrendi Polifemi e Gerioni; e vedresti differenti aspetti confusi e mescolati in nuovi mostri, mai visti o uditi. Essi vanno a sedersi di fronte al re crudele, parte a sinistra e parte a destra. Plutone siede al centro, e con la mano destra regge il ruvido e pesante scettro; nessuno scoglio s'innalza in mare, nessuna rupe montana, neppure il monte Calpe o il grande Atlante, che non sembri un piccolo colle di fronte a lui, a tal punto solleva la grande fronte e le grandi corna. Il terrore accresce la sua orrenda maestà nell'aspetto feroce e lo rende ancor più superbo: gli occhi rosseggiano e lo sguardo brilla di veleno infetto come una infausta cometa, un'ispida e folta barba gli avvolge il mento e gli scende sul petto irsuto, e la bocca si apre come una profonda voragine, immonda di scuro sangue. Come dall'Etna escono tra la puzza e i tuoni i fumi di zolfo e fiamme, così dalla sua feroce bocca escono i neri fiati, con un fetore e scintille simili. Mentre egli parlava, Cerbero soffocò i suoi latrati e l'Idra ammutolì; il fiume Cocito arrestò il suo corso e gli abissi ne tremarono, e si udì il gran rimbombo con queste parole: «Divinità infernali, più degni di sedere là in cielo, di dove siete originari, che la grande caduta spinse con me dai regni più felici a questo antro orribile, gli antichi sospetti di Dio e il suo feroce sdegno sono fin troppo noti, come la nostra grande impresa [la ribellione]; ora Colui governa come vuole le stelle e noi siamo giudicate anime malvagie. E invece del giorno sereno e chiaro, del sole dorato, delle sfere celesti, ci ha rinchiuso qui in questo oscuro abisso, e non vuole che noi possiamo aspirare all'onore che avevamo prima; e dopo (ahimè, quanto è doloroso ricordarlo! questo è ciò che più acuisce la mia pena) ha chiamato nel bel trono celeste l'uomo, l'uomo vile e nato in terra dal vile fango. E questo non gli bastò; ma diede suo figlio [Cristo] in preda alla morte, solo per farci più danno. Egli venne e spezzò le porte dell'inferno, osò mettere piede nel nostro regno, e portar via le anime capitateci in sorte, trionfando come vincitore, e osò spiegare qui a nostro scherno le insegne dell'inferno sconfitto [la croce]. Ma perché rinnovo il mio dolore parlando? Chi non ha già sentito le nostre offese? E in quale luogo, in quale tempo Dio cessò dal perseguitarci? Non si deve più pensare alle offese passate, dobbiamo pensare a quelle attuali. Orsù! non vedete ormai che Dio cerca di chiamare tutti i popoli al suo culto? Noi passeremo i giorni e le ore in ozio, e non ci sarà alcun pungolo che ci accenda il cuore? e sopporteremo che il popolo fedele a Cristo acquisti una forza sempre maggiore in Asia? e che conquisti la Giudea? e che il suo culto, il suo nome si diffonda sempre di più? che risuoni in altre lingue e si scriva in altre orazioni, e si incida in nuovi bronzi e marmi? Sopporteremo che i nostri idoli siano sparsi a terra? che il mondo converta a Lui i nostri altari? che i voti siano rivolti a Lui, che a Lui solo siano bruciati gli incensi e offerti l'oro e la mirra? che dove nessun tempio si chiudeva a noi, ora non resti alcuna strada aperta ai nostri riti? che ci manchi il consueto tributo di anime e Plutone regni in una reggia vuota? Ah, non sarà vero, poiché non sono ancora spenti in noi gli spiriti di quell'antico valore, quando circondati di ferro e alte fiamme combattemmo contro l'impero celeste. Fummo sconfitti in quel conflitto, non lo nego, eppure non mancò valore al nostro superbo disegno. Un evento casuale diede a Dio la vittoria, a noi rimase la gloria di un invitto coraggio. Ma perché indugio oltre? Andate, o miei fidi compagni, o mia potenza e mie forze: andate veloci ed opprimete i nemici prima il loro potere si rafforzi ulteriormente; prima che tutto il regno degli Ebrei bruci, si smorzi questa fiamma crescente; entrate fra loro e adoperate sia la forza sia l'inganno per infliggere loro il massimo danno. La mia volontà si compia come un destino: qualcuno vada errando in esilio, altri rimangano uccisi, altri siano travolti dalla passione lasciva dell'amore e faccia un idolo di un dolce sguardo e di un sorriso. Le spade siano rivolte contro il loro condottiero [Goffredo] dall'esercito ribelle e diviso al suo interno: crolli e vada in rovina il campo cristiano, e ogni sua traccia sia distrutta insieme ad esso». Le anime ribelle a Dio non attesero che queste parole arrivassero alla fine; ma già uscivano dalla profonda notte volando fuori, a rivedere le stelle, come rumorose e torbide tempeste che escano dalle grotte natie a oscurare il cielo, a portare guerra ai gran regni di mare e terra. Ben presto, spiegando le ali in tutte le direzioni, i demoni si sparsero per il mondo e iniziarono a macchinare inganni nuovi e diversi, a usare le loro arti. Ma tu, Musa, racconta come mandassero ai cristiani i primi danni e da quale luogo; tu lo sai, mentre a noi che siamo così lontani giunge a malapena il debole soffio della fama. |
Interpretazione complessiva
- L'episodio rappresenta il primo momento del poema in cui Tasso introduce l'elemento "demoniaco", descrivendo l'orribile concilio dei diavoli chiamati a raccolta da Plutone-Lucifero per opporsi alla presa di Gerusalemme seminando discordie tra i guerrieri cristiani: il passo costituisce una sorta di parodia e ribaltamento del concilium deorum tipico dell'epica classica e vuole indicare in modo grottesco l'appoggio dei demoni all'azione dei seguaci dell'Islam, in maniera conforme alla rappresentazione negativa e distorta della religione musulmana da parte di Tasso e di vari testi dell'età della Controriforma. Infatti Lucifero si rammarica sia della sconfitta subita all'epoca della sua ribellione contro Dio, sia soprattutto della Crociata che rischia di estirpare la fede "pagana" in Asia e di diffondere ulteriormente il culto cristiano, spargendo a terra gli "idoli" demoniaci e sottraendo all'inferno il consueto "tributo" di anime dannate. Sono evidenti in questo discorso gli stereotipi diffusi in Occidente sulla fede islamica di cui si sapeva poco, col dire ad es. che i musulmani sono pagani che adorano idoli e che sono dediti a pratiche magiche collegate al culto dei diavoli, delineando uno scontro di civiltà che adombra anche quello tutto interno al mondo cristiano tra cattolici e luterani nell'Europa della Riforma protestante. La descrizione degli "infedeli" come pagani idolatri e blasfemi rispetto alla fede cristiana era già evidente nell'episodio di Olindo e Sofronia del canto II, in cui il mago Ismeno sottrae un'immagine sacra della Vergine per compiere un rito magico che danneggerà i Crociati (► TESTO: Olindo e Sofronia).
- La descrizione del concilio infernale riecheggia quella dell'Ade pagano nell'Eneide, specie nel libro VI in cui Enea scende negli Inferi accompagnato dalla Sibilla: la "tartarea tromba" (3.2) ricorda Aen., VI.513-515, mentre l'elenco dei mostri pagani all'ott. 5 è una ripresa di Aen., VI.286-289, con un "crescendo" sottolineato dall'anafora di "e" nonché dalla ripetizione del verbo all'infinito ("fischiar / vomitar"). Numerosi anche i rimandi all'Inferno dantesco, a cominciare dal v. 1.6 che ricorda Inf., XXXIII.58 ("ambo le mani per dolor mi morsi"), mentre "fuor volando a riveder le stelle" (18.3 ) è un'evidente ripresa di Inf., XXXIV.139. Lucifero è definito anche classicamente Plutone e si presenta come avversario irriducibile di Cristo, il quale è sceso all'inferno dopo essere risorto per abbatterne le porte e trarne le anime dei patriarchi biblici destinati al paradiso, elemento presente anche in Dante (ad es. Inf., XII.38-39, "colui che la gran preda / levò a Dite", riferito appunto a Cristo trionfante). Il maligno è descritto come un mostro gigantesco e orrendo, cornuto, con una lunga barba e un'orrenda bocca dalla quale fuoriescono fiati maligni, dunque con un tono che tende piuttosto all'orrido e rientra più nello stile letterario della Controriforma che non in quello parodistico dell'Inferno dantesco.
- Lucifero incita i demoni a seminare discordie nel campo cristiano con la forza o l'inganno e in particolare indica le lusinghe amorose come mezzo per sviare i Crociati dal loro dovere, accennando alle "cure d'amor lascive" che dovranno distrarre i guerrieri e al "dolce sguardo" e al "riso" che dovranno diventare un idolo per i cristiani: non a caso nelle ottave immediatamente seguenti verrà introdotto sulla scena il personaggio della maga Armida, la bellissima incantatrice che si recherà al campo crociato facendo strage di cuori e attirando con le sue arti di seduzione i cavalieri per farli prigionieri, allo scopo di dare manforte agli assediati di Gerusalemme (► TESTO: Armida al campo dei Crociati). La fanciulla sarà anche causa indiretta della lite tra Rinaldo e Gernando che culminerà nell'uccisione del secondo e nell'abbandono del campo da parte di Rinaldo, che in seguito verrà catturato proprio da Armida che si è innamorata di lui; la supposta morte del campione crociato causerà una rivolta dei guerrieri contro Goffredo, accusato a torto di averlo fatto uccidere, sedizione che verrà soffocata non senza fatica dal capitano.