Giovanni Boccaccio
Guido Cavalcanti
(Decameron, VI, 9)
In questa breve novella narrata da Elissa, la regina della sesta giornata, il protagonista è il poeta fiorentino Guido Cavalcanti, noto per le sue idee epicuree che, infastidito da alcuni nobili suoi concittadini, se la cava con una sagace battuta di spirito che è talmente sottile da richiedere una chiosa da parte di Betto Brunelleschi, il capo della brigata. Il racconto vuol essere un omaggio postumo al grande poeta stilnovista e contiene forse un riferimento all'episodio dell' "Inferno" dantesco che vedeva come protagonista il padre di Guido, Cavalcante.
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
► PERCORSO: La prosa del XIII-XIV sec.
► AUTORE: Giovanni Boccaccio
► OPERA: Decameron
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Guido Cavalcanti dice con un motto onestamente villania a certi cavalier fiorentini li quali soprappresso l’aveano.
Sentendo la reina che Emilia della sua novella s’era diliberata e che ad altri non restava a dir che a lei, se non a colui che per privilegio aveva il dir da sezzo [1], così a dir cominciò: Quantunque, leggiadre donne, oggi mi sieno da voi state tolte da due in su delle novelle delle quali io m’avea pensato di doverne una dire, nondimeno me n’è pure una rimasa da raccontare, nella conclusione della quale si contiene un sì fatto motto, che forse non ci se n’è alcuno di tanto sentimento contato. Dovete adunque sapere che ne’ tempi passati furono nella nostra città assai belle e laudevoli usanze, delle quali oggi niuna ve n’è rimasa, mercé [2] dell’avarizia che in quella con le ricchezze è cresciuta, la quale tutte l’ha discacciate. Tra le quali n’era una cotale, che in diversi luoghi per Firenze si ragunavano insieme i gentili uomini delle contrade e facevano lor brigate di certo numero, guardando di mettervi tali che comportar [3] potessono acconciamente le spese, e oggi l’uno, doman l’altro, e così per ordine tutti mettevan tavola [4], ciascuno il suo dì, a tutta la brigata; e in quella spesse volte onoravano e gentili uomini forestieri, quando ve ne capitavano, e ancora de’ cittadini; e similmente si vestivano insieme almeno una volta l’anno, e insieme i dì più notabili [5] cavalcavano per la città, e talora armeggiavano, e massimamente per le feste principali o quando alcuna lieta novella di vittoria o d’altro fosse venuta nella città. Tra le quali brigate n’era una di messer Betto Brunelleschi, nella quale messer Betto e’ compagni s’eran molto ingegnati di tirare Guido di messer Cavalcante de’ Cavalcanti, e non senza cagione; per ciò che, oltre a quello che egli fu un de’ migliori loici [6] che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale (delle quali cose poco la brigata curava), sì fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uomo molto, e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente, seppe meglio che altro uom fare; e con questo era ricchissimo, e a chiedere a lingua sapeva onorare cui nell’animo gli capeva che il valesse [7]. Ma a messer Betto non era mai potuto venir fatto d’averlo, e credeva egli co’ suoi compagni che ciò avvenisse per ciò che Guido alcuna volta speculando molto astratto dagli uomini diveniva. E per ciò che egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri [8], si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni eran solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse. Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d’Orto San Michele e venutosene per lo corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo quelle arche [9] grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata, e molte altre dintorno a San Giovanni, ed egli essendo tra le colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di San Giovanni, che serrata era, messer Betto con sua brigata a caval venendo su per la piazza di Santa Reparata, veggendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: - Andiamo a dargli briga -; e spronati i cavalli a guisa d’uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se ne avvedesse, sopra, e cominciarongli a dire: - Guido tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu arai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto? A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: - Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace - ; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò. Costoro rimaser tutti guatando l’un l’altro, e cominciarono a dire che egli era uno smemorato [10] e che quello che egli aveva risposto non veniva a dir nulla, con ciò fosse cosa che quivi dove erano non avevano essi a far più che tutti gli altri cittadini, né Guido meno che alcun di loro. Alli quali messer Betto rivolto disse: - Gli smemorati siete voi, se voi non l’avete inteso. Egli ci ha detta onestamente in poche parole la maggior villania del mondo; per ciò che, se voi riguardate bene, queste arche sono le case de’ morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che sono nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non litterati siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra. Allora ciascuno intese quello che Guido aveva voluto dire e vergognossi né mai più gli diedero briga, e tennero per innanzi messer Betto sottile e intendente cavaliere. |
[1] Per ultimo (si tratta di Dioneo). [2] A causa. [3] Sostenere. [4] Offrivano un banchetto. [5] I giorni delle ricorrenze solenni. [6] Filosofi, pensatori. [7] Se richiesto, sapeva fare onore a chi sapeva di meritarlo. [8] Epicurei. [9] Sepolcri. [10] Un matto, un insensato. |
Interpretazione complessiva
- Guido Cavalcanti (1259-1300) fu il grande poeta amico di Dante ed esponente assieme a lui del Dolce Stil Novo a Firenze: aveva fama, come del resto il padre Cavalcante, di essere seguace dell'epicureismo e di avere una visione materialista dell'esistenza, che negava l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio. Non a caso, forse, la novella si svolge tra le tombe di un cimitero, anche perché nel canto X dell'Inferno Dante descrive la pena degli epicurei (tra cui lo stesso padre di Guido) che consiste nel giacere in tombe infuocate, simboleggiando la mortalità dell'anima da loro teorizzata in vita (► TESTO: Dante e Farinata degli Uberti). Guido si cava d'impaccio dicendo a Betto e ai suoi compari che sono a casa propria, quindi che sono intellettualmente morti.
- Betto Brunelleschi fu un guelfo nero, di famiglia agiata, ucciso da un Donati nel 1311 e capo di una di quelle brigate di giovani che caratterizzavano la vita aristocratica della Firenze del XIII-XIV sec.: il rifiuto da parte di Guido di farne parte è da lui interpretato nella novella come un atto di scortesia, per cui decide con gli amici di "dargli briga" e di irriderlo in quanto impegnato nelle sue meditazioni filosofiche sulla non esistenza di Dio. La battuta di Guido è la più sottile tra quelle di questa giornata ed è propria di un raffinato intellettuale un po' sdegnoso degli altri uomini, molto lontano quindi dalla sagacia popolare di altri personaggi quali, ad es., il cuoco Chichibìo.
- Le tombe di marmo dove si svolge il racconto un tempo erano intorno al battistero di S. Giovanni e furono poi poste nella cattedrale di S.ta Reparata (oggi al suo posto sorge S. Maria del Fiore). Si riteneva che fossero le sepolture degli antichi abitanti della città.