SCHEDA
La "tenzone" come genere poetico
La "tenzone" come forma poetica nasce nell'ambito della letteratura cortese in lingua d'oc nel XII sec., dove per tenso si intendeva uno scambio di liriche fra due o più trovatori per discutere intorno a un argomento di carattere letterario, morale o politico, a volte con stile raffinato ed elegante e talvolta, invece, con accenti polemici e scambi di ingiurie e oscenità. All'inizio i rimatori impegnati nella tenso si indirizzavano poesie intere, mentre dopo la metà del XII sec. si preferì una sorta di dialogo a strofe alternate, che costituivano poi un unico componimento; tale forma divenne quella normale nel XIII sec. e non erano rari i casi di tenzoni composte in realtà da un unico trovatore, che si fingeva in polemica con altri poeti. Non di rado le rime della risposta riprendevano, in tutto o in parte, quelle della proposta, nel qual caso si parla di risposta "per le rime" (da cui l'espressione ancora oggi in uso) e la consuetudine passò poi anche nelle tenzoni della poesia italiana del XIII sec. Una variante della tenso era il cosiddetto joc partit o partimen, che si aveva quando il trovatore che dava origine allo scambio proponeva un dilemma (sulla natura amorosa, per esempio, o su una questione politica) e suggeriva due tesi contrapposte, delle quali una veniva difesa con vari argomenti dall'interlocutore, l'altra dal suo avversario; non di rado veniva poi designato un terzo poeta che doveva fare da giudice e stabilire quale dei due contendenti dovesse prevalere in base alle argomentazioni esposte. La più antica tenso provenzale a noi giunta è quella fra Ugo Catola e Marcabruno (XII sec.), che dibattono sulla preferenza da accordare all'amore spirituale o sensuale, mentre famoso è lo scambio di rime tra Raimbaut d'Aurenga e Giraut de Bornelh sullo stile poetico, con il primo che sostiene il trobar clus e il secondo che prende le difese del trobar leu (► PERCORSO: Le Origini). Come genere letterario la tenzone è affine al "contrasto" tipico della poesia popolare e giullaresca, anche se quasi sempre a un livello tematico e stilistico più raffinato, benché alcuni esempi di tenzoni presentino un'acredine personale e un motteggio più vicino allo stile "comico" e, in qualche caso, ciò è dovuto al fatto che alcune tensos erano opera di trovatori-giullari che avevano familiarità con i caratteri della poesia popolare, a volte fingendo una polemica con interlocutori inesistenti per il gusto della finzione e della beffa.
Dalla poesia in lingua d'oc la tenzone si trasferì poi nel XIII sec. nelle scuole di poesia lirica in Italia, a cominciare da quella siciliana alla corte di Federico II di Svevia: dati gli stretti rapporti tra i poeti siciliani e i loro modelli provenzali non stupisce che le tenzoni fossero concepite come raffinati scambi di liriche su un tema da dibattere (talvolta secondo lo schema tutto occitanico del joc partit), con la differenza che in Italia si preferì in genere indirizzare poesie intere e si privilegiò la forma metrica del sonetto, creato proprio nell'ambito della scuola e sentito come componimento meno elevato della canzone, dunque più adatto alla discussione anche per la sua relativa brevità. Tra gli esempi di tenzone più noti vi è quello originato da un sonetto di Jacopo Mostacci che chiedeva un chiarimento sulla sostanza del sentimento amoroso, in particolare se esso nasca sempre dalla bellezza della donna, cui risposero con lo stesso metro Giacomo da Lentini e Pier della Vigna (► TESTI: Amore è uno desio; Però c'Amore non si pò vedere). Quando la lirica amorosa si trasferì in Toscana la tenzone come genere poetico sopravvisse e talvolta mantenne la sua natura di dotta discussione su tematiche amorose, tra i poeti "siculo-toscani" ma anche, ad esempio, tra il guittoniano Dante da Maiano e Dante Alighieri, mentre più avanti (con l'affermarsi dello Stilnovo e di una nuova maniera di verseggiare sull'amore) prevalse il tono polemico tra gli esponenti delle due scuole rivali che si rinfacciavano l'oscurità di linguaggio o l'attaccamento a una moda superata, come nel caso famoso del sonetto indirizzato da Bonagiunta da Lucca a Guido Guinizelli (► TESTO: Voi, ch'avete mutata la mainera), cui il poeta bolognese rispose col testo Omo ch'è saggio non corre leggero (► VAI AL TESTO). La tenzone a scopo polemico e con attacchi personali divenne quasi la norma nella poesia toscana del secondo Duecento e ciò trasse impulso dal gusto della beffa e del motteggio che era tradizionalmente presente nella letteratura di questa regione, per cui lo scambio di sonetti poteva dar luogo a ingiurie più o meno giocose e in tal modo il genere diveniva proprio della poesia comica, come nel caso del senese Cecco Angiolieri nel cui canzoniere vi è parte di una tenzone con Dante Alighieri, anche se non si hanno tracce delle risposte del poeta fiorentino.
Un ultimo interessante esempio di tenzone con scambio reciproco di lazzi e insulti nell'ambito della poesia toscana è quella tra Dante e Forese Donati, databile negli anni 1293-1296 e che consiste in una "corrispondenza" di sei sonetti (tre per parte) tra i due poeti che, sebbene amici, erano rivali politici e anche per questo si lanciavano varie ingiurie, con Dante che accusa Forese di essere un ladro e un ghiottone, di trascurare la moglie Nella lasciandola sola nel letto, di appartenere a una famiglia nota per i tradimenti coniugali e le ruberie, di essere povero e oberato di debiti (► TESTO: Chi udisse tossir la malfatata), mentre Forese ribatte accusando il rivale di viltà e di non aver vendicato una imprecisata offesa al padre, ritorcendogli contro l'accusa di povertà miserabile, anche se la sua modestia poetica non lascia dubbi su chi sia il vincitore di questo confronto in versi. La tenzone risale al periodo del cosiddetto "traviamento" di Dante, successivo alla morte di Beatrice e corrispondente a un periodo di bagordi e amori disordinati (forse di cui lo stesso Forese era compartecipe), dunque da un lato lo scambio di rime doveva avere carattere giocoso e assai meno acre di quanto sembri in apparenza, dall'altro è ovvio che la tenzone si inserisce in una fase di sperimentazione stilistica di Dante che abbandona i moduli della poesia stilnovista per scrivere versi di carattere "comico-realistico" (sono degli stessi anni anche le Rime petrose, di stile alto ma ispirate al trobar clus di Arnaut Daniel). Giova ricordare che Dante farà in certo modo la ritrattazione della tenzone nel canto XXIII del Purgatorio, in cui incontra l'anima del defunto Forese tra i golosi attribuendogli parole di affettuoso ricordo verso la moglie Nella, mentre i due poeti sono presentati come vecchi amici e senza l'acrimonia mostrata in modo artificioso nello scambio, con Dante che rievoca gli ultimi anni a Firenze come un periodo oscuro e all'origine del peccato che lo fa smarrire nella selva iniziale del poema.
Dalla poesia in lingua d'oc la tenzone si trasferì poi nel XIII sec. nelle scuole di poesia lirica in Italia, a cominciare da quella siciliana alla corte di Federico II di Svevia: dati gli stretti rapporti tra i poeti siciliani e i loro modelli provenzali non stupisce che le tenzoni fossero concepite come raffinati scambi di liriche su un tema da dibattere (talvolta secondo lo schema tutto occitanico del joc partit), con la differenza che in Italia si preferì in genere indirizzare poesie intere e si privilegiò la forma metrica del sonetto, creato proprio nell'ambito della scuola e sentito come componimento meno elevato della canzone, dunque più adatto alla discussione anche per la sua relativa brevità. Tra gli esempi di tenzone più noti vi è quello originato da un sonetto di Jacopo Mostacci che chiedeva un chiarimento sulla sostanza del sentimento amoroso, in particolare se esso nasca sempre dalla bellezza della donna, cui risposero con lo stesso metro Giacomo da Lentini e Pier della Vigna (► TESTI: Amore è uno desio; Però c'Amore non si pò vedere). Quando la lirica amorosa si trasferì in Toscana la tenzone come genere poetico sopravvisse e talvolta mantenne la sua natura di dotta discussione su tematiche amorose, tra i poeti "siculo-toscani" ma anche, ad esempio, tra il guittoniano Dante da Maiano e Dante Alighieri, mentre più avanti (con l'affermarsi dello Stilnovo e di una nuova maniera di verseggiare sull'amore) prevalse il tono polemico tra gli esponenti delle due scuole rivali che si rinfacciavano l'oscurità di linguaggio o l'attaccamento a una moda superata, come nel caso famoso del sonetto indirizzato da Bonagiunta da Lucca a Guido Guinizelli (► TESTO: Voi, ch'avete mutata la mainera), cui il poeta bolognese rispose col testo Omo ch'è saggio non corre leggero (► VAI AL TESTO). La tenzone a scopo polemico e con attacchi personali divenne quasi la norma nella poesia toscana del secondo Duecento e ciò trasse impulso dal gusto della beffa e del motteggio che era tradizionalmente presente nella letteratura di questa regione, per cui lo scambio di sonetti poteva dar luogo a ingiurie più o meno giocose e in tal modo il genere diveniva proprio della poesia comica, come nel caso del senese Cecco Angiolieri nel cui canzoniere vi è parte di una tenzone con Dante Alighieri, anche se non si hanno tracce delle risposte del poeta fiorentino.
Un ultimo interessante esempio di tenzone con scambio reciproco di lazzi e insulti nell'ambito della poesia toscana è quella tra Dante e Forese Donati, databile negli anni 1293-1296 e che consiste in una "corrispondenza" di sei sonetti (tre per parte) tra i due poeti che, sebbene amici, erano rivali politici e anche per questo si lanciavano varie ingiurie, con Dante che accusa Forese di essere un ladro e un ghiottone, di trascurare la moglie Nella lasciandola sola nel letto, di appartenere a una famiglia nota per i tradimenti coniugali e le ruberie, di essere povero e oberato di debiti (► TESTO: Chi udisse tossir la malfatata), mentre Forese ribatte accusando il rivale di viltà e di non aver vendicato una imprecisata offesa al padre, ritorcendogli contro l'accusa di povertà miserabile, anche se la sua modestia poetica non lascia dubbi su chi sia il vincitore di questo confronto in versi. La tenzone risale al periodo del cosiddetto "traviamento" di Dante, successivo alla morte di Beatrice e corrispondente a un periodo di bagordi e amori disordinati (forse di cui lo stesso Forese era compartecipe), dunque da un lato lo scambio di rime doveva avere carattere giocoso e assai meno acre di quanto sembri in apparenza, dall'altro è ovvio che la tenzone si inserisce in una fase di sperimentazione stilistica di Dante che abbandona i moduli della poesia stilnovista per scrivere versi di carattere "comico-realistico" (sono degli stessi anni anche le Rime petrose, di stile alto ma ispirate al trobar clus di Arnaut Daniel). Giova ricordare che Dante farà in certo modo la ritrattazione della tenzone nel canto XXIII del Purgatorio, in cui incontra l'anima del defunto Forese tra i golosi attribuendogli parole di affettuoso ricordo verso la moglie Nella, mentre i due poeti sono presentati come vecchi amici e senza l'acrimonia mostrata in modo artificioso nello scambio, con Dante che rievoca gli ultimi anni a Firenze come un periodo oscuro e all'origine del peccato che lo fa smarrire nella selva iniziale del poema.